di Laura Ballio
Alla scoperta della Sicilia Ebraica, a Palermo, quest’anno città capofila della Giornata europea della Cultura ebraica. Fino al 1492 esistevano 51 Comunità e 35 mila ebrei, molti dei quali convertiti a forza e divenuti marrani. Oggi, molti siciliani si chinano sul proprio passato e riapre un’antica sinagoga
Più di 500 anni dopo l’editto spagnolo del 1492, che decretava l’espulsione degli ebrei dalla Sicilia (o la loro conversione forzata al cattolicesimo), Palermo avrà di nuovo una sinagoga. Facendo seguito all’annuncio ufficiale, se ne è occupato anche il sito del New York Times: «Dopo cinque secoli una nuova comunità ebraica sta per rimettere le radici nel capoluogo siciliano, rivendicando un’antica e spesso dolorosa storia. Stavolta ad aiutarla è la diocesi palermitana», ha scritto Elisabetta Povoledo, corrispondente in Italia del gruppo editoriale americano. «L’arcivescovo di Palermo, Corrado Lorefice, ha infatti garantito alla risorgente comunità ebraica l’uso di un oratorio abbandonato, che diventerà la prima sinagoga stabile dopo un così lungo periodo».
Il sito designato, fotografato per il NYT da Gianni Cipriano, è l’ex oratorio barocco di Santa Maria del Sabato, un nome che non sembra un caso. Del resto, in questa storia, niente sembra casuale, anzi, tutto è collegato grazie a un fil rouge che intreccia memorie antiche e recenti, radici perdute e ritrovate.
Ma, secondo la ricostruzione di Elisabetta Povoledo, questa è anche una storia di donne, se è vero che alla nuova sinagoga si è arrivati grazie al percorso che tre signore di stanza a Palermo hanno compiuto alla riscoperta della loro identità ebraica. Evelyne Aouate, nata in Algeria e cresciuta a Parigi, è arrivata nel capoluogo siciliano nel 1959: «E per vent’anni ho pensato di essere l’unica ebrea in città. Eppure la comunità è una parte di Palermo e della sua storia; gli ebrei sono stati qui per 15 secoli». Maria Antonietta Ancona, anestesista in pensione, padre ebreo ma cresciuta nel cattolicesimo (come molti appartenenti alla rinato nucleo palermitano, secondo il NYT), ha iniziato a riscoprire le proprie radici una trentina d’anni fa quasi fossero «una necessità impellente» e ha seguito il percorso di conversione scegliendo il nome ebraico di Miriam. Infine Luciana Pepi, anche lei convertita, insegna lingua, cultura e filosofia ebraica all’Università di Palermo. Sono loro che, una mattina della scorsa primavera, hanno aperto cancello e portone dell’oratorio di Santa Maria del Sabato («Alcuni studiosi hanno ipotizzato che il nome sia riconducibile alla memoria delle celebrazioni dello Shabbat», ha detto Luciana Pepi al quotidiano americano). È in vicolo Meschita, in quella parte di centro storico che una volta era la Giudecca, il quartiere ebraico di Palermo, dove sorgeva la Grande Sinagoga della città. Adesso, nell’oratorio consegnato ancora con l’altare in loco ma con statue e crocifissi già rimossi, fervono i lavori di ristrutturazione.
Come nota Elisabetta Povoledo, il lavoro più imponente consiste però «nel riconnettere i palermitani con una storia che molti non sapevano nemmeno di avere». «Perché – ha spiegato Maria Antonietta Ancona, – i libri di storia hanno sorvolato a lungo sulla presenza degli ebrei in città, come a volerla cancellare». Ma le cose sono un po’ migliorate quando, 25 anni fa, un gruppo di cui faceva parte anche Evelyne Aouate ha fondato l’Istituto Italiano di Studi Ebraici, con l’intento di riscoprire l’importante identità ebraica della Sicilia, quando un abitante su tre era ebreo.
«Un po’ per volta, stiamo cercando di rinnovare la memoria», ha confermato al NYT la signora Aouate, illustrando i risultati delle ricerche che hanno riempito molti buchi nel passato degli ebrei siciliani. A cominciare dai documenti che ne attestano la presenza nell’isola almeno dal primo secolo d.C.; pare addirittura che, a un certo punto, in Sicilia esistessero 51 comunità, fra le quali Palermo era la più numerosa e importante.
L’editto spagnolo del 1492 coinvolse 35mila ebrei, almeno 5mila solo nel capoluogo. Anche qui rimasero alcuni Marrani, che praticavano l’ebraismo in segreto dopo essere stati convertiti al cattolicesimo contro la loro volontà. Un mikvè è stato ritrovato in un cortile di Palazzo Marchesi, dove nel XVI secolo erano ospitati gli uffici dell’Inquisizione, mentre a Palazzo Chiaramonte-Steri, sede del tribunale ecclesiastico e delle prigioni, sono stati rinvenuti numerosi graffiti in ebraico.
Per quanto riguarda la storia a noi più vicina, gli archivi municipali di Palermo (la cui grande sala della seconda metà del XIX secolo potrebbe essere stata ispirata alla Grande Sinagoga) ha recentemente ospitato una mostra di documenti degli anni successivi alle leggi razziali del 1938, che evidenziano l’espulsione degli ebrei palermitani dall’università e dalle cariche pubbliche.
Quanti siano gli ebrei che oggi vivono nel capoluogo non è dato sapere. Secondo Evelyne Aouat sarebbero parecchi, se si includessero anche quelli nati da solo padre ebreo… fatto sta che al momento pare non sia stato possibile riunire un sufficiente numero di uomini per fare minyan. Rav Pierpaolo Pinhas Punturello, rappresentante di Shavei Israel, l’organizzazione con sede a Gerusalemme, che assiste chi è in cerca dell’identità ebraica perduta ed è impegnata nella ricostituzione delle comunità nel meridione, ha dichiarato al New York Times di aver notato un crescente interesse nei confronti dell’eredità ebraica in Sicilia e in altre parti del Sud d’Italia: «Ogni volta che vengo qui trovo nuove persone che ricercano le proprie origini e vogliono andare a fondo nel loro percorso».
Oltre alla disponibilità della Curia nel concedere l’oratorio di Santa Maria del Sabato, anche le istituzioni e la pubblica amministrazione stanno ormai dimostrando di sentirsi coinvolte nella ricostruzione della comunità ebraica palermitana: tre anni fa sono stati per la prima volta accesi i lumi di Chanukkà a Palazzo Steri, una delle sedi dell’Università; inoltre la municipalità dovrebbe coprire la maggior parte dei costi per il restauro dei locali della futura sinagoga, mentre la comunità si occuperà del sofisticato sistema di sicurezza e di tutti gli arredi sacri. «Vorremmo anche una bellissima Menorah», ha concluso Evelyne Aouate.