di Fiona Diwan
Oblio e grandezza di uno dei padri della psicoanalisi italiana
La sua vicenda umana e intellettuale è stata rimossa, anzi cancellata. Il nome di Enzo Bonaventura non dice nulla a chi oggi studia psicologia e risulta di fatto sconosciuto ai più. Eppure stiamo parlando di un personaggio a suo modo geniale, uno dei padri nobili della psicoanalisi italiana, vittima di un colpevole oblio e di un destino tragico, oggetto di un inquietante caso di rimozione collettiva. Perseguitato ed espulso dal mondo accademico italiano in quanto ebreo, convinto sionista, lascerà l’Italia all’indomani delle Leggi Razziali per andare nell’allora Palestina mandataria, dove morirà pochi anni dopo, nel 1948, nella sanguinosa imboscata araba al convoglio dei medici dell’Hadassah, nei pressi di Gerusalemme.
«Una personalità poliedrica, interdisciplinare, un uomo di immensa cultura, non solo psicologica ma anche musicale, fisico-matematica e ebraica. Una mente aperta e sperimentale», spiega David Meghnagi, docente di Psicologia clinica all’Università Roma Tre e artefice dell’attuale riscoperta di Enzo Bonaventura, nonché curatore della ristampa della sua opera più importante, La Psicoanalisi (Marsilio, pp. 314, euro 27,00), una vera operazione culturale con cui Meghnagi punta a una più ampia rivalutazione del pensiero dello studioso e alla pubblicazione di tutte le sue opere. «Il suo destino è stato quello di finire in un cono d’ombra che ne ha oscurato la storia, l’avventura intellettuale, il pensiero pionieristico e originale, specie in ambito pedagogico. Inseguo Bonaventura da 30 anni, mi è molto caro, lo sento vicino. Acquistai la sua opera più importante, La Psicoanalisi già a Tripoli, da ragazzo, in Libia, una copia della prima edizione che conservo gelosamente. Un vero gioiello, in un momento storico in cui, tra il 1933 e il 1938, non si pubblicavano libri sulla psicoanalisi, considerata da Giovanni Gentile e dal Regime qualcosa di degenerato e perverso. Bonaventura diresse il Laboratorio universitario di Firenze avviando ricerche di grande spessore scientifico su Henry Bergson e sulla verifica della percezione del tempo, ricerche sull’attenzione, sul tempo di apprendimento e sulla durata del presente psichico.
Nel 1929, dedica a questo tema il volume Il problema psicologico del tempo, la sua opera più famosa nel campo della psicologia sperimentale. Eppure, a ogni concorso accademico non vincerà mai la cattedra, arrivando sempre secondo (mentre Cesare Musatti sarà terzo classificato)». Primo a tenere in Italia un intero corso sull’opera di Freud, Bonaventura pubblica, poco prima della sua espulsione dall’università, una poderosa sintesi del pensiero di Freud, appunto quella oggi ripubblicata da Marsilio.
«Fin dall’inizio della sua carriera, Bonaventura patisce un’esclusione – prosegue Meghnagi -. In quanto ebreo, fu un perseguitato razziale – cosa che non accadde ad esempio a Musatti che si era procurato un falso certificato di battesimo e che verrà emarginato non per il suo ebraismo, ma da una società bacchettona e perbenista che considerava la psicologia equivoca, quasi pornografica, con le sue questioni intime e di sesso -. Una rimozione psicanalitica della sua figura, un vero desaparecido della storia delle idee, una voce silenziata e poi dimenticata. Dopo la guerra qualcuno mise in giro la voce che fosse stato Padre Gemelli ad averlo aiutato a scappare dall’Italia, cosa non vera ma che servì a riabilitare il prelato, in odore di collaborazionismo. In quegli anni, tra il 1945 e il 1948, molti personaggi che erano stati ambigui durante la guerra, fecero di tutto per riabilitare la propria immagine. Bonaventura fu volutamente dimenticato perché finì, suo malgrado, dentro un ingranaggio più grande».
La seconda tragedia è quella della sua morte. Scampato alla Shoah, andrà in Israele dove gli verrà affidata la cattedra di Psicologia e la direzione di un importante laboratorio pedagogico alla Hebrew University di Gerusalemme. Dopo la sua morte all’età di 57 anni, nel 1948, il suo insegnamento verrà sospeso e la cattedra riattivata solo nel 1957. «Il suo pensiero è attualissimo e tra i suoi grandi allievi c’è stato anche Silvano Arieti, lo psichiatra italiano di famiglia ebraica, scappato negli Usa, che è stato uno dei più grandi studiosi della schizofrenia del XX secolo – conclude Meghnagi -. In Israele, a Gerusalemme, c’è una via in suo nome mentre la scuola di pedagogia dell’Università di Bar Ilan è stata fondata da un suo allievo. Ma l’Italia lo ha cancellato. Era un personaggio complesso, inclassificabile, una figura scomoda e non catalogabile, un eclettico. Fu un sionista convinto, aveva una robusta cultura ebraica e aveva studiato al Collegio Rabbinico di Firenze, era shomer mitzvot e coniugava studi secolari e religiosi in maniera sublime. Fu una figura di primo piano nella vita accademica e ebraica italiana. Ne ho ripercorso le tracce grazie alla moglie del figlio di Enzo Bonaventura, cognata dello scrittore israeliano Abraham. B. Yehoshua (è stato lui a mettermi in contatto con lei). Vorrei riuscire a far pubblicare in Italia tutte le sue opere, da quelle sui modelli pedagogici italiani a quelle sull’identità del bambino ebreo in Israele, fino alle riflessioni su Maimonide di cui era un attento conoscitore».
Attivissimo sul piano della solidarietà, si adoperò nell’aiuto dei profughi ebrei che cercavano rifugio in Italia e partecipò in modo attivo alla vita della Comunità ebraica di Firenze, di cui fu per anni consigliere. Infine, tornato in Italia dopo la guerra, nel 1945, per un anno sabbatico, Bonaventura constata con amarezza che nessuno, fra i colleghi che detengono il potere sulla psicologia accademica, è interessato a un suo eventuale rientro. Nonostante il prestigio e la fama acquisiti, l’idea di un possibile ritorno di Enzo Bonaventura nella sua vecchia università, è solo un “fastidio”. Una complicazione da evitare per dei concorsi, pensati per altri. Per lui, in Italia, non c’è più posto.