di Rav Giuseppe Laras
In occasione della festa di Channukkà, pubblichiamo otto pensieri scritti da Rav Giuseppe Laras sui significati della festa. Questo il sesto. QUI il primo. QUI il secondo. QUI il terzo. Qui il quarto. QUI il quinto.
Si è parlato dell’eterogeneità della coalizione guidata dai Maccabei. Parimenti abbiamo descritto le forze contrarie a essa: quella maggioritaria assimilazionista-ellenistica e quella minoritaria rappresentata da alcuni gruppi di ebrei molto devoti. Infine, abbiamo considerato il deteriorarsi della dinastia degli Asmonei.
Il carattere composito degli eventi che commemoriamo e celebriamo ha fatto sì che Hanukkhah, nel corso della nostra storia secolare, sia stata vissuta dagli ebrei di epoche e luoghi diversi spesso esaltando un particolare aspetto della festività rispetto ad altri. La nostra Tradizione ha tuttavia sapientemente mantenuto insieme, nella loro apparente dissonanza, gli elementi diversi che stiamo per considerare.
Il Sionismo e lo Stato di Israele vi hanno correttamente ravvisato una delle feste “nazionali” per eccellenza, mettendo in risalto in primo luogo la liberazione nazionale, l’indipendenza e l’autodeterminazione del Popolo Ebraico. Alcuni gruppi sionisti laici, tuttavia, sono riusciti, sopraffatti da un malinteso “verismo”, a negare il miracolo divino dell’olio –che è, invece, fondamentale-, insistendo unicamente sulla resistenza nazionale e sul suo valore politico. Gli ebrei dell’Emancipazione -e, oggi, tutto un certo mondo ebraico “liberal”- vi ravvisarono correttamente in nuce l’ideale della libertà religiosa e della tutela delle minoranze, rispetto all’omologazione intollerante e alla pervasività insidiosa e oppressiva delle maggioranze assolute. Tuttavia, costoro, con un errore macroscopico, si dimenticarono troppo spesso che, se questo è vero circa il mondo esterno, non è però assolutamente applicabile all’interno del mondo ebraico stesso, proprio a fronte delle vicende drammatiche che Hannukkhah rievoca e che abbiamo sinora ricordato. I fatti di Hanukkhah sembrerebbero essere, per così dire, aspramente contrari infatti a un facile “pluralismo” ebraico: i Maccabei lottarono contro gli ebrei ellenizzanti assimilati.
I Maccabei hanno salvato il particolarismo ebraico, facendo sì che gli ebrei potessero vivere da ebrei, servendo Dio, nella nostra unica e specifica maniera. Essi non si lasciarono irretire dall’ideologia ellenistica o dall’utopia -talvolta imbelle talvolta schizoide, repressiva e assassina- che si è tutti un unico genere umano, con un’unica fede, con istanze uniche da far valere e cittadini di un unico mondo. Salvando il particolarismo ebraico e le condizioni vitali pratiche per cui potesse continuare a esistere, i Maccabei hanno salvato l’ebraismo e tutti i contributi che l’ebraismo ha potuto nei secoli offrire al mondo intero. Non solo: salvando l’ebraismo “per quel che è rispetto a se stesso”, si sono insegnati pubblicamente a ebrei e non-ebrei (ecco un aspetto universale forse trascurato del carattere “pubblico” di Hanukkhah) i limiti e le tentazioni totalitarie che attraversano gli afflati universalistici. E questo è ancora di drammatica attualità!
Per comprendere il meglio possibile la questione e la posta in gioco occorre però considerare nuovamente la “coalizione” guidata dagli Asmonei: i Maccabei e i loro sostenitori -tra cui delle donne di eccezionale coraggio-; alcuni ebrei appartenenti a frange estremamente religiose e autoreferenziali, in genere poco propense a farsi coinvolgere dalla vita politica e dai suoi problemi secolari; non pochi ebrei “assimilati”, più o meno ellenizzanti ed ellenizzati, che, dinanzi alla scelta radicale tra il loro Popolo e il definitivo annichilimento assimilazionista, scelsero per il Popolo Ebraico. Vorrei sottolineare che questo multiforme manipolo di resistenti costituì una minoranza in seno al nostro stesso Popolo. Tuttavia, se non fosse stato per l’adesione e la collaborazione di questi diversi piccoli gruppi (di cui si può presupporre che quello degli ebrei ellenisti che fecero teshuvah fosse forse quello più numericamente nutrito) ai fini dell’insurrezione asmonea, i Maccabei non avrebbero mai vinto e, cosa assai più rilevante, avremmo tutti “perso” il Popolo di Israele.
Ed è su questo che dobbiamo ancora riflettere. La vittoria maccabaica e il miracolo divino dell’olio furono possibili a fronte di una minoritaria coalizione eterogenea che sembrerebbe attestare e ammettere un certo “pluralismo” ebraico.
Proviamo ad attualizzare il problema della componente “ellenistica-assimilata” che, messa urgentemente alle strette, scelse per la fedeltà a Israele e per la sopravvivenza del Popolo Ebraico. È evidente che chi, ad esempio, oggi sceglie a cuor leggero di non iscrivere i figli a una scuola ebraica, considera l’ebraismo come secondario o come accessorio nella propria vita. È una scelta. Parimenti, questa scelta si ripropone drasticamente con il matrimonio misto: quanto è determinante, per la mia vita e per quella della mia discendenza, l’ebraismo? E, per converso, con uguale intensità, quanto la mia vita e quella dei miei figli è determinante per la sopravvivenza dell’ebraismo?
Quanto insegnano sia i Maccabei sia gli ebrei assimilati che si unirono a loro è che essere ebrei significa prima o poi porre a se stessi difficili scelte prioritarie. Questo è anche quello che ci insegnano tutte le generazioni ebraiche precedenti alle nostre: la sopravvivenza di Israele è per gli ebrei una scelta prioritaria nelle loro vite. Altrimenti perché, a che scopo e per chi sarebbero rimasti ebrei quei relativamente pochi che si intestardirono a esserlo nonostante pogrom, povertà, Inquisizione, roghi, dhimmitudine, Gherùsh (espulsione da Spagna e Portogallo), marranesimo, conversioni forzate e ritorni, oppressione politica, Shoah, nazisti, comunisti, terroristi islamici? È solo in seno a quest’orizzonte generale di scelta che, eventualmente, qualora qualcosa andasse rotto, sarebbe possibile e avrebbe senso “raccogliere i cocci” e “salvare situazioni compromesse”.
È fondamentale per noi oggi sapere che nella coalizione dei Maccabei vi fossero anche degli ebrei assimilati. L’insegnamento è che si deve fare di tutto perché queste persone non siano mai escluse e perché non venga tolta loro possibilità di azione nel nostro Popolo. Noi abbiamo bisogno di queste persone, nessuno escluso. Le guerre del ’67 e del ’73 hanno risvegliato in molti ebrei lontani, in varie parti del mondo, il senso di appartenenza al Popolo di Israele -la loro “ebraicità”- e alcuni sono andati anche a combattere, talora sacrificando la loro vita, per difendere lo Stato di Israele e l’ebraismo. Forse che per la coalizione maccabaica si trattasse di una situazione così diversa?
Ma vi è un ulteriore gruppo da prendere in considerazione, quello dei “pii” che, pur minoritari nei loro rispettivi gruppi di appartenenza, aderirono alla rivolta dei Maccabei.
Tempo fa lessi su un giornale ebraico di un illustre rabbino che, al capezzale della figlia moribonda, decise a un certo punto di assentarsi per pregare la preghiera pomeridiana di Minchà. Nell’assentarsi, pare abbia detto all’inserviente che, se la figlia nel frattempo fosse morta, non dovevano comunque disturbarlo mentre pregava. Ricordo che quando lessi questo articolo rimasi turbato, senza parole e scandalizzato. Vi sarà del “religioso” in tutto ciò, ma, personalmente, ho molta fatica a ravvisarvi dell’ “umano”. È possibile, certamente, che io mi sbagli, tuttavia, credo che noi ebrei religiosi dobbiamo ricordarci che i nostri comportamenti e stili di vita non possono e non debbono, anche se magari mossi dalle più alte e vertiginose intenzioni, scandalizzare lo tzibbùr – il pubblico delle nostre sante Kehillòth-, turbandolo, sminuendolo o ignorandolo – quindi, implicitamente, disprezzandolo-.
Non è più accettabile che l’ortodossia ebraica, che ha e che deve rivendicare un ruolo guida in seno al Popolo di Israele, si appiattisca per pigrizia, sfiducia in se stessa e timori alle posizioni sostenute al suo interno da ampie cerchie del mondo Haredì. E, in relazione ad alcune aree delle correnti Haredì, è sempre più chiaro che si tratta anche di un problema religioso che, come talora accade in Israele, essi siano un “peso sociale” per gli altri ebrei.
Cosa c’entra questo con i Maccabei? C’entra eccome, perché tra le loro schiere vi furono anche alcuni ebrei religiosi che scelsero di non essere autoreferenziali, cosa che, difatti, l’ebraismo non è e non deve essere. I Rabbini nei secoli hanno sviluppato l’ebraismo con dinamicità, facendone una Tradizione compatta e duttile al contempo, che potesse integrarsi con i più avanzati e sofisticati sistemi culturali. E integrazione non è per sinonimo di assimilazione.
I pessimisti tra i religiosi e gli assimilazionisti à la page (che, tuttavia, numericamente sembrano essere di più) tristemente concorderebbero su un’unica questione dirimente dinanzi alla Menorah da accendersi: essi avrebbero entrambi, sebbene da prospettive diversissime ed elidentesi, informato gli altri ebrei che non c’era abbastanza olio.
L’ebraismo sopravvissuto è quello composito, eterogeneo e talora teso al suo interno che ha deciso di comunque accendere il Ner Tamìd.