Il quotidiano Il Foglio ha lanciato un appello per una giornata della kippah, da celebrare il prossimo 27 gennaio, in occasione della Giornata della Memoria.
“Il primo febbraio verrà celebrato il World Hijab Day, la Giornata mondiale del velo islamico – si legge sul quotidiano del 14 gennaio-. Bene. Noi, nel nostro piccolo, quest’anno trasformeremo il 27 gennaio, la Giornata della memoria, nella nostra e nella vostra Giornata della kippah. Gli ebrei non devono nascondersi. L’occidente non deve nascondersi. Noi ci mettiamo la faccia. Se volete metterla anche voi inviate al Foglio la vostra foto a kippah@ilfoglio.it: la kippah ve la regaliamo noi”.
Qui di seguito, pubblichiamo l’appello completo del direttore del Foglio Claudio Cerasa.
“La colpa è nostra, naturalmente, e se c’è un islamista che si fa esplodere a Mosul, un terrorista che uccide vignettisti, un fondamentalista che accoltella israeliani, una coppia di integralisti che fa una strage in un centro disabili, un uomo che a nome dell’Isis spara tredici colpi di pistola a un poliziotto di Philadelphia, la responsabilità è sempre dell’occidente mascalzone che, con il linguaggio, con le parole, con le guerre, con le bombe, non fa altro che provocare, in ogni angolo del mondo, la reazione del jihadismo e dell’integralismo di matrice islamista.
Siamo noi che provochiamo, ovvio, non sono loro che agiscono, e forse, chissà, il modo migliore per non provocare questa reazione è quella di ritirarsi, di farsi da parte, di nascondersi, di fare di tutto per non innescare una possibile contro azione. E dunque meglio non parlare di islam, dice il progressista collettivo, meglio non fare sciocchezze, meglio non chiamare le cose con il loro nome. Meglio, molto meglio, preoccuparsi di far calare un velo ipocrita sulle radici del male e della violenza. Meglio, molto meglio, formulare appelli accorati contro la dilagante emergenza mondiale dell’islamofobia.
Meglio, dunque, non parlare dei problemi veri, del rapporto che esiste tra uso della violenza e interpretazione dell’islam. E meglio, in definitiva, farsi da parte per evitare problemi. La ritirata culturale dell’occidente è un tema purtroppo presente con una certa costanza nella quotidianità delle cronache mondiali ma quando la ritirata si trasforma in una resa occorre smetterla di fischiettare, occorre smetterla di far finta di nulla e occorre semplicemente guardare la realtà con occhi diversi.
Mettiamoci la kippah, no? E’ successo questo. Tre giorni fa a Marsiglia, nell’indifferenza dei grandi giornali, un insegnante che indossava la kippah è stato aggredito mentre si avvicinava alla Sinagoga. Il giorno dopo il concistoro israelitico di Marsiglia – nella stessa Francia che nel 2015 ha registrato l’84 per cento di attacchi antisemiti in più rispetto all’anno precedente e nella stessa Europa dove i veli islamici proliferano, dove le donne sono pronte a coprirsi il volto per protestare contro l’islamofobia, dove i simboli cristiani vengono nascosti in nome del politicamente corretto, dove i presidi di alcune scuole, ad Amsterdam, hanno dato la propria disponibilità a eliminare dal calendario scolastico un giorno di festività cristiana per sostituirlo con uno caro ai fedeli di religione islamica – ha invitato i fedeli della comunità ebraica a rassegnarsi, a non provocare e a non indossare più la kippah “in attesa di giorni migliori”.
Haïm Korsia, Gran Rabbino di Francia, si è dissociato dal concistoro di Marsiglia, affermando che “Noi continueremo a portare la kippah”, ma il dato resta, il trend è drammatico e la potenza dei simboli ha un valore universale. Secondo un sondaggio di qualche tempo fa della European Union’s Fundamental Rights Agency, un terzo degli ebrei in Europa ha già rinunciato a indossare simboli religiosi per paura di farsi riconoscere. Lo scorso anno, a febbraio, un appello simile a quello arrivato dal Concistoro di Marsiglia fu formulato dal presidente del consiglio centrale degli ebrei in Germania, Josef Schuster, che invitò gli ebrei a “evitare la kippah dove ci sono molti musulmani”.