di Jonathan Misrachi
Giovedì 17 Marzo, al Memoriale della Shoah si è tenuto un seminario di aggiornamento per docenti intitolato “Dopo la Shoah – ritorno alla vita e antisemitismo contemporaneo”. L’evento, organizzato dall’associazione Figli della Shoah in collaborazione con l’Istituto di studi Yad Vashem e il Memoriale della Shoah di Milano, ha visto la partecipazione di circa duecento docenti da Milano e dintorni. L’obiettivo principale della giornata è stato quello di fornire agli insegnanti di qualsiasi grado scolastico (dalla scuola elementare all’università) gli strumenti per insegnare questo evento storico, riuscendo a trasmettere in maniera corretta gli elementi che caratterizzano questo delicato argomento. Per farlo, l’associazione Figli della Shoah ha deciso di focalizzare i contenuti degli interventi su uno degli aspetti meno trattati, ossia quello del ritorno alla vita “normale”, col rientro al contesto civile e la complicata re-integrazione nella società. Liliana Segre, celebre testimone degli orrori dei campi di sterminio, ha avuto modo di poter raccontare l’inizio della sua “seconda vita” da superstite, con una testimonianza da brividi. Provare a riportare i concetti espressi da Liliana Segre in questo articolo rischia di banalizzarli e probabilmente è professionalmente impossibile.
Dopo i saluti del vicepresidente della Fondazione del Memoriale, Roberto Jarach, durante la mattinata, la direttrice dell’International Institute for Holocaust Research Yael Orvieto ha realizzato il primo dei suoi due interventi, inquadrando il suo discorso sulle prime lettere inviate dai superstiti dei campi dopo la liberazione. Lettere, o frammenti di esse, in cui emergono le prime sensazioni dei sopravvissuti che come primo istinto cercano di scrivere ai propri cari (famigliari, amici o conoscenti che hanno cercato di salvarli): “queste lettere raccontano la caratteristica dei superstiti di raccontare come prima necessità – spiega Iael Orvieto – scrivono nella propria lingua madre, o in Yiddish, o in ebraico, ed emerge subito il dilemma di capire cosa realmente è successo. Un altro aspetto imponente è quello del lutto, durante la Shoah non c’era tempo per guardarsi indietro, pensare ai morti e piangerli. Era una corsa per la sopravvivenza. Anche il concetto di vendetta è ricorrente ma ogni sopravvissuto lo interpreta a modo suo”. Queste lettere non rappresentano solo la necessità di fornire informazioni ma fungono anche da “processo terapeutico” per riallacciarsi a loro modo di vivere prima della guerra, ai codici culturali della vita “normale”. “C’è un forte bisogno di riallacciarsi ad una rete sociale, come gli amici o i famigliari e nonostante il dolore e il lutto, che sono gli elementi più presenti, c’è anche una forte voglia di ritornare a vivere e a sperare per il futuro”.
Prima del secondo intervento della direttrice, Yiftach Ashkenazi ha mostrato diverse testimonianze filmate raccolte da Yad Vashem.
La seconda parte dell’esposizione di Iael Orvieto è concentrata sul rientro dei profughi dai campi di concentramento: “Qual è la soluzione per chi torna e non ha più la propria casa, il proprio lavoro, i propri beni? Sono problemi seri nel contesto sociale, perché sono 250.000 i DPs tornati in un’Europa dilaniata dalla guerra”.
Silvia Lombroso, superstite ebrea genovese, scrive nel diario che pubblicherà nel 1945: “Sarà la lava livellatrice che brucia e divora, ma prepara il ricco fiorire dei mandorli o sarà la melma sassosa che uccide il seme?” C’è un bisogno di mantenere la memoria parlando ma anche di tacere e cercare di dimenticare, due necessità che si mischiano.
Dopo la pausa pranzo e la visita del Memoriale Betti Guetta ha tenuto una conferenza sull’antisemitismo contemporaneo in cui è stato presentato il progetto del CDEC “antenna antisemitismo” in cui vengono raccolti dati sugli episodi di antisemitismo in Italia. Inoltre, è stato analizzato dal punto di vista sociologico il fenomeno del pregiudizio antisemita che in questo periodo trova spazio nei nuovi luoghi di diffusione come il web e i social network, spazi in cui la violenza verbale è molto acuta. Secondo gli studi sociologici a riguardo, la maggioranza delle persone si pongono in maniera neutra nei confronti dell’argomento ciò mostra una palese indifferenza che secondo la relatrice Betti Guetta rappresenta un pericoloso problema.
Il seminario è poi concluso con le presentazioni di progetti didattici da parte di Patrizia Biagi per la scuola secondaria di I° grado e di Marco Maggi per la scuola secondaria di II° grado.
@jonnyMisra