di Redazione
Inaugura martedì 26 settembre alle 18 a Milano, presso il Memoriale della Shoah, la mostra La memoria degli oggetti. Lampedusa, 3 ottobre 2013. Dieci anni dopo. Prodotta da 8 per mille Istituto Buddista Italiano Soka Gakkai, è un progetto di Carta di Roma e Zona, ideato e curato da Paola Barretta, Imma Carpiniello, Valerio Cataldi, Adal Neguse e Giulia Tornari, con le fotografie di Karim El Maktafi.
A dieci anni dal naufragio del 3 ottobre 2013, quando al largo di Lampedusa persero la vita 368 persone, donne, uomini e bambini che dall’Eritrea cercavano di raggiungere l’Europa, l’esposizione ricorda la prima grande tragedia del Mediterraneo. Per la prima volta infatti, quel giorno di inizio ottobre, i corpi dei naufraghi furono visibili al mondo intero. Un evento che cambiò la percezione dei naufragi e che scatenò una reazione emotiva a livello politico, mediatico e sociale. Da quella tragedia, dal 2014 a oggi, si contano oltre 31.000 persone morte nel Mediterraneo con la speranza di raggiungere l’Europa.
Presentata negli spazi del Memoriale della Shoah, luogo simbolo della memoria, la mostra, che sarà aperta fino al 31 ottobre, comprende gli oggetti e le foto appartenuti ai migranti e il lavoro fotografico inedito di Karim El Maktafi che li ha documentati attraverso degli still-life, ma anche è immortalato il mare e i paesaggi di Lampedusa, luogo simbolo di approdo ma anche di tragedie e naufragio, e realizzato i ritratti di alcuni dei soccorritori come Giusi Nicolini, già Sindaco di Lampedusa, e di alcuni sopravvissuti e parenti delle vittime. Arricchiscono l’esposizione gli audio dei primi che prestarono soccorso, il video del barcone inabissato e i servizi televisivi di Valerio Cataldi, il giornalista Rai che a dicembre 2013 rivelò al TG2 il trattamento disumano riservato agli ospiti del centro di prima accoglienza dell’isola teatro della strage, che poi venne chiuso.
Altro protagonista al Memoriale della Shoah è Adal Neguse, rifugiato eritreo, con i suoi disegni e la sua storia: fratello di Abraham, vittima del naufragio, racconta con i tratti della matita le atrocità delle torture subite dai giovani del suo Paese che tentano di scappare dal regime. Non esiste alcun tipo di documentazione delle torture, per questo Adal le ha disegnate e i suoi disegni sono stati acquisiti come prova dalle Nazioni Unite nella risoluzione che condanna il regime eritreo per crimini contro l’umanità. Oggi è un cittadino svedese, approdato a Malta su un barcone, rimpatriato e rinchiuso in un carcere sull’isola di Dalak, nel Mar Rosso e poi torturato.
La memoria degli oggetti nasce proprio dalle cose appartenute alle persone migranti morte quel tragico 3 ottobre, repertati allora dalla polizia come corpi di reato, prove da portare in tribunale che hanno consentito di identificare le persone decedute anche grazie alle rilevazioni del DNA, di dare loro un nome e restituire dignità anche ai loro familiari. Una macchinetta rossa di un bimbo, un paio di occhiali da sole, una boccetta di profumo, uno specchio rotto, una bussola, un biglietto scritto a penna e ripiegato con cura nella tasca: oggetti di vita quotidiana, l’immagine più evidente di una umanità in fuga. Alcuni familiari hanno dovuto aspettare fino anche a 12 mesi per il riconoscimento dei corpi e anche per vedere tutelati i loro diritti, come banalmente avere un certificato di morte.
L’intento della mostra in occasione dell’anniversario è anche quello di sollevare questioni cruciali che vanno oltre l’individuo, che riguardano i diritti umani e il valore della vita in un mondo globalizzato e di fare un primo passo verso la costruzione di una memoria condivisa.
Per questo la scelta del Memoriale della Shoah è particolarmente significativa. «Questo per il Memoriale è un impegno importante, in linea prima di tutto con le azioni intraprese insieme alla Comunità di Sant’Egidio tra il 2015 e il 2017, quando abbiamo accolto oltre 8000 persone arrivate in Italia come rifugiate, e con il proprio scopo sociale», ricorda Roberto Jarach, presidente Fondazione Memoriale della Shoah di Milano, «Il Memoriale è un luogo legato agli orrori che guerre e ingiustizie hanno creato, e oggi deve essere quindi spazio di riflessione su questi temi».
«Il Memoriale non vuole e non può essere soltanto un monumento, un luogo di ricordo di ciò a cui ha portato l’antisemitismo, ma sente come suo dovere quello di combattere la battaglia contro tutti i pregiudizi e di farlo insieme a tutti coloro che vogliono difendere ogni giorno i valori di democrazia, uguaglianza e libertà -, aggiunge Marco Vigevani, presidente Comitato Eventi della Fondazione Memoriale -. Oggi quella scritta indifferenza voluta all’ingresso del Memoriale da Liliana Segre deve spingerci a una riflessione profonda sul nostro presente, su come vogliamo vivere l’essere comunità umana, sull’indifferenza che dobbiamo noi per primi superare. Abbiamo una responsabilità: chiedere, informarci, sensibilizzare, stimolare momenti di riflessione.»
«La forza di quegli oggetti è che ci costringono a guardarci in tasca», spiegano nei testi che accompagnano le immagini Valerio Cataldi e Imma Carpiniello di Carta di Roma e Associazione Museo Migrante, «a cercare quegli occhiali da sole, quell’orologio, quella boccetta di profumo, quello specchietto, quel telefono. Ci costringono a riconoscere che la nostra vita è piena delle stesse cose. Che solo il caso ci ha consentito di non aver bisogno di afferrare quegli oggetti e lasciare per sempre il nostro mondo».
«In un’epoca in cui l’indifferenza e la disinformazione possono rapidamente diluire l’impatto emotivo di una tragedia», evidenzia nel suo scritto Giulia Tornari di Zona, «questa esposizione può servire come potente richiamo alla nostra responsabilità collettiva. E nel farlo, offre la possibilità – forse addirittura un imperativo – di usare la memoria non solo come un atto di ricordo, ma come uno strumento per l’azione e il cambiamento».
Nell’ambito dell’esposizione è previsto un programma di un ciclo di incontri di approfondimento.
Accompagna la mostra La memoria gli oggetti una pubblicazione dal titolo omonimo, realizzata da Départ Pour l’Image, con le fotografie di Karim El Maktafi, l’illustrazione di Adal Neguse e i testi di Paola Barretta, Imma Carpiniello, Valerio Cataldi, Cristina Cattaneo, Anna Conti, Giulia Tornari, Roberto Natale, Adal Neguse, Giusi Nicolini, Milena Santerini, Vera Vigevani Jarach e Padre Mussie Zerai.
Karim El Maktafi è un fotografo italo-marocchino, nato a Desenzano del Garda nel 1992. Nel 2013 si è diplomato presso l’Istituto Italiano di Fotografia di Milano. Nel 2016 ha ottenuto una borsa di studio a Fabrica dove ha realizzato il progetto “Hayati”, vincitore del PHMuseum 2017 Grant – New Generation Prize, e finalista del CAP Prize 2017. Karim porta avanti progetti a lungo termine tra Italia e Marocco e la sua ricerca fotografica esplora il concetto di identità e appartenenza attraverso la fotografia documentaria e il ritratto. Il suo lavoro è stato esposto a La Triennale di Milano, il Museo Macro a Roma, il Museum in Der Kulturbrauerei a Berlino, e in altri festival di fotografia in Europa, oltre ad essere stato pubblicato, tra gli altri, su The Washington Post Magazine, National Geographic USA, Internazionale, Vogue Italia.
L’accesso alla mostra incluso nel biglietto d’ingresso al Memoriale: 10 euro intero, 5 euro studenti e over 65, gratuito per portatori di handicap e giornalisti, 22 euro biglietto cumulativo famiglia.
Il Memoriale è aperto dal lunedì alla domenica dalle 10.00 alle 16.00 (chiuso il venerdì). Apertura straordinaria ultimo venerdì del mese con ingresso gratuito dalle 10.00 alle 18.00.
Info: https://www.memorialeshoah.it/visita/
600 libri feriti per ricordare ogni giorno la guerra in Ucraina
Nell’atrio del Memoriale è anche in mostra fino a novembre 600 DAYS OF WAR, una installazione degli artisti Lorenzo e Simona Perrone, iniziata alla Biblioteca Sormani di Milano il 24 febbraio 2023, ad un anno esatto dall’inizio della guerra, con una montagna di 365 LibriBianchi feriti a morte.
Il Memoriale della Shoah è anche luogo di memoria e di conoscenza: un centro polifunzionale dove ospitare incontri, dibattiti, mostre per ricordare le atrocità del passato e, soprattutto, dove creare occasioni di dialogo e di confronto fra
le culture. L’intento è quello di educare i giovani a superare le barriere linguistiche, culturali e sociali, perché la barbarie del XX secolo che vide nella Shoah il segno del massimo degrado dell’umanità, non possa più ripetersi.
Per ogni giorno di guerra, gli artisti aggiungono un libro ferito, ricordandoci che ogni giorno si contano nuove vittime: donne e bambini, civili, soldati, una catastrofe umanitaria che, con la distruzione di oltre 300 luoghi di cultura come
biblioteche, scuole, università, si è trasformata anche in un genocidio culturale.
Lorenzo e Simona Perrone, sono una coppia di artisti che da sempre trasforma i libri di recupero in sculture, imbiancandoli e trattandoli con gesso e vernice acrilica. Attraverso questo gesto di trasfigurazione gli artisti fanno sì che ogni
libro diventi un archetipo, che rappresenta la cultura, il sapere, la presa di coscienza, il pensiero migliore della nostra civiltà.
La collocazione di 600 DAYS OF WAR al Memoriale, anticipa una grande mostra focalizzata sul conflitto in Ucraina prevista per novembre 2023.
Il progetto è promosso e prodotto dal Comune di Milano – Cultura, Biblioteca Sormani, Fondazione Memoriale della Shoah di Milano e LibriBianchi in collaborazione con la casa di produzione YAM112003 e Enemj.com