di Nathan Greppi
Lunedì 19 giugno, al Teatro Franco Parenti, l’Associazione Milanese Pro Israele (AMPI) ha organizzato un grande convegno dal titolo Israele, Lgbt: ben oltre il pinkwashing, per discutere dei diritti LGBT nello Stato Ebraico e la loro delegittimizzazione da parte del movimento BDS.
Polemiche in sala
E purtroppo stavolta non tutto si è svolto in tranquillità: infatti, poco dopo l’inizio delle discussioni, due donne hanno iniziato ad affiggere in sala dei volantini con messaggi del tipo “Basta apartheid” o “Fermate la violenza”; ciò inizialmente ha attirato l’attenzione dei presenti, ma fortunatamente la serata è continuata senza interruzioni, e tutti coloro che si trovavano sul palco hanno mantenuto un contegno esemplare.
Gli interventi
A introdurre il convegno è stato Yuri Guaiana, attivista dell’Associazione Radicale Certi Diritti, il quale ha ricordato che “amare Israele vuol dire amare la democrazia.” Ha inoltre raccontato di un fatto accaduto all’ultimo Gay Pride di Torino, una persona che sfilava con la bandiera di Israele è stata aggredita da altri manifestanti. Ha inoltre introdotto il tema del pinkwashing, la teoria secondo la quale gli attivisti LGBT israeliani siano influenzati dal loro governo. Ed è per questo che, ha concluso Guaiana, è stato deciso di invitare a parlare i “diretti interessati”.
Dopo di lui Alessandro Litta Modignani, presidente dell’AMPI, ha ringraziato i presenti ha passato la parola a Carlo Riva, presidente della sinagoga progressista Lev Chadash, la prima di questo genere in Italia. Egli ha affermato che la loro “non è una sinagoga per omosessuali, è una sinagoga e basta, aperta a tutti.” Ha parlato brevemente anche Barbara Bonvicini, Segretario dell’Associazione Radicale Enzo Tortora, la quale ha affermato che oltre alle attività di Certi Diritti e dell’Associazione Luca Coscioni (rispettivamente per i diritti LGBT e per l’eutanasia legale) i radicali si occupano anche di cattiva informazione.
Dopo il suo intervento Guaiana ha ringraziato Radio Radicale che ha ripreso tutto l’evento, per poi dare la parola a Flavio Romani, presidente dell’Arcigay, il quale tempo fa si è recato in Israele dove ha discusso con un deputato del Likud con il quale, testuali parole, non era d’accordo su niente tranne sul fatto che questo deputato era sposato con un uomo. Per lui i fatti di Torino non rappresentano la comunità LGBT italiana, e spera che non succeda mai più.
E dopo tutti questi saluti hanno cominciato a parlare gli ospiti israeliani: il primo è stato Yaniv Weizman, da 9 anni responsabile dei rapporti con la comunità LGBT per il consiglio comunale di Tel Aviv, appena arrivato da Roma assieme al marito. Egli ha raccontato di come da ragazzo, nel moshav in cui è cresciuto, la tv non dava modelli da imitare per i ragazzi gay, mentre durante un viaggio a San Francisco c’era un programma per ragazzi LGBT. In seguito si trasferì a Tel Aviv, da lui vissuta come “una magia”, che di recente è stata nominata la città più gay-friendly al mondo, tanto che l’ultimo Pride ha ospitato oltre 200.000 persone.
Dopo di lui è arrivato il turno di Yael Dorov, direttrice della casa di accoglienza Beit Dror, per minorenni LGBT in difficoltà. La Dorov ha dichiarato che purtroppo anche in Israele c’è l’omofobia, e quando i ragazzi gay vengono cacciati di casa spesso non hanno un posto dove andare. “A Tel Aviv vengono ragazzi gay da tutta Israele, e se sono fortunati vengono da noi, accettiamo tutti senza chiedergli chi siano, ebrei o arabi, cristiani o musulmani”. Ha continuato che quelli maggiormente a rischio di essere cacciati di casa sono: 1) ultra-ortodossi; 2) arabi; 3) transgender. Alcuni di loro arrivano in condizioni orribili, e loro cercano di abbracciarli per convincerli che il mondo non sta crollando. Purtroppo, nonostante i loro sforzi, le statistiche rivelano dati inquietanti: l’80% dei trans a Tel Aviv si prostituiscono, il 40% ha tentato il suicidio, e 4 si sono suicidati solo nel 2016. Dal 2002 ad oggi, Beit Dror ha ospitato oltre 1.100 adolescenti di 13-18 anni, di cui il 90% hanno subito abusi sessuali prima di arrivare e solo un terzo poi ritorna dalla propria famiglia. La casa gli offre letti, appartamenti e un rifugio, e attualmente stanno cercando di aumentare il numero di appartamenti per ospitare persone fino ai 30 anni.
Dopo di lei è arrivato Jonathan El Khoury, cristiano libanese cresciuto in Israele. Nato nel ’92, nel 2000 fuggì dal Libano a Cipro con la madre, dopo che Israele si era ritirata dal sud del paese e il padre di Khoury, un membro dell’Esercito del Libano del Sud (formato da libanesi cristiani e alleato di Israele contro l’OLP e Hezbollah) fuggì in Israele. Un anno dopo Jonathan poté ricongiungersi con il padre. All’inizio crebbe in scuole ebraiche, dove all’inizio ebbe difficoltà a integrarsi a causa della lingua. Secondo lui è vero che in Israele ci sono razzismo e omofobia, ma è anche vero che in quanto cittadini devono dare il loro contributo al loro paese. Spesso egli si chiede che cos’è, libanese o israeliano, ma alla fine si considera entrambe le cose e molto altro, ognuno di noi ha la libertà di scegliere cosa vuole essere.
E infine ha preso la parola Giovanni Quer, ricercatore esperto di antisemitismo che ha vissuto in Israele. Ha ricordato come anni fa, ai Pride di Toronto, un gruppo noto come Queers against Israeli Apartheid (scioltosi nel febbraio 2015) sfilò con slogan contro Israele. Questo gruppo, ha spiegato Quer, “è parte di una galassia più ampia nota come BDS, per il quale Israele deve cessare di esistere.” Altri due eventi di boicottaggio legati al mondo LGBT sono avvenuti uno l’anno scorso, quando l’organizzazione ebraica A Wider Bridge (ebraica, non israeliana) è stata attaccata da un gruppo di manifestanti che ha impedito loro di parlare a un importante congresso LGBT e li ha costretti a lasciare l’edificio, e l’altra nelle ultime settimane, quando il movimento BDS ha convinto due registi, un sudafricano e un canadese, a rimuovere i loro film dal Festival del Cinema LGBT di Tel Aviv, ignorando che allo stesso festival partecipavano anche due registi arabi. Il BDS presenta numerose contraddizioni, come il fatto che considera il nazionalismo sionista incompatibile con i diritti LGBT ma intanto promuove il nazionalismo palestinese. Non si tratta di essere pro Israele o pro Palestina, ha concluso Quer, ma pro diritti umani. Il problema è che questa idea viene corrotta dall’interno da questi movimenti, che promuovono una loro agenda politica.