di Giovanni Panzeri
L’ultima sessione della conferenza descrive il graduale processo di trasformazione delle relazioni tra cattolici ed ebrei durante il dopoguerra, e l’evoluzione della prospettiva teologica della Chiesa rispetto all’ebraismo, fino a culminare con la promulgazione di “Nostra Aetate” durante il Concilio Vaticano II.
La storia di Notre Dame de Sion
Durante il primo intervento della sessione Celia Deutsch, sorella della Nostra Signora di Sion, ha descritto la storia della sua congregazione.
“Tutti pensano che la storia di Nostra Aetate inizi con un piccolo gruppo di leader cattolici ed ebraici” spiega Deutsch “ma in realtà il documento è il frutto diretto e indiretto di un movimento molto più largo, di persone che hanno lavorato fianco a fianco per decenni. La Signora di Sion è parte di quello sforzo”.
La congregazione viene fondata nel 1843 da Marie Alphonse Ratisbonne, un ebreo convertito, a Parigi. È molto influenzata dal filo-semitismo, e si pone da subito l’intenzione di stabilire un ponte tra cattolici, ebrei ed altre religioni, attraverso l’educazione dei bambini e in seguito il soccorso dei bisognosi.
Una delle sue caratteristiche principali, e forse il segreto del suo successo, racconta Deutsch, è l’assoluto divieto di proselitismo. Nonostante questo divieto, uno degli obiettivi della comunità, dalle origini fino a poco tempo fa, era la conversione degli ebrei attraverso la preghiera.
“La prima cosa che mi viene in mente pensando alla congregazione” continua Deutsch “ sono amicizia e ambiguità. Amicizia perché si basa sul legame tra le persone e sul lavoro di gruppo, nonostante o anche grazie alle nostre differenze. Ambiguità perché per lungo tempo questa comunità è stata attraversata da tendenze contrastanti”.
Durante la Shoah la congregazione e le comunità affiliate si impegnarono nella resistenza all’oppressore e nel soccorso ai membri della comunità ebraica.“Le Sorelle e i Padri di Sion riuscirono a nascondere circa 600 bambini e 400 adulti a Parigi” afferma Deutsch “ e molti altri nel resto del paese, la congregazione s’impegnò nel nascondere ebrei e forgiare documenti”.
Nel dopoguerra la congregazione si libera gradualmente di vari tradizionali elementi dottrinari antigiudaici, come la concezione del deicidio, ma conoscerà una vera e profonda riforma solo dopo la risoluzione dell’ “Affair Finaly”, durante il quale la congregazione fu coinvolta nel rapimento, di fatto, di due bambini ebrei battezzati.
Il secondo intervento, da parte della ricercatrice Claire Maligot, descrive i cambiamenti e le evoluzioni teologiche della chiesa romana nel dopoguerra, pesantemente influenzate dalla nascita di associazioni ebraico-cristiane e organizzazioni rappresentative ebraiche che si attivarono lavorando per definire il concetto di antisemitismo e stabilire relazioni tra gruppi di fedi diverse indipendenti dalle decisioni vaticane.
“La radice di queste tensioni teologiche” afferma Maligot “deriva dalla difficoltà di riconoscere le radici cristiane dell’antisemitismo da parte del vaticano,” continua “il Vaticano vedeva l’antisemitismo come un peccato morale individuale, e gli era difficile affrontare il problema a livello strutturale”.
La Nostra Aetate e il bisogno di riconoscere l’alterità
Conclude la sessione il rabbino David Mayaan, con una riflessione sugli effetti positivi e i limiti di Nostra Aetate, e come superarli. Secondo Mayaan Nostra Aetate rappresenta, essenzialmente, per la chiesa l’inizio di un profondo processo di riflessione su se stessa.
Il che non è necessariamente negativo anzi, ma Il rapporto con l’altro viene vissuto in modo passivo, come un tentativo di ritrovare, nella figura dell’altro, se stesso e il proprio equilibrio.
Per accetarsi davvero, secondo Mayaan, è fondamentale che le due religioni inizino a rispettare la propria alterità, ad accettare che l’altro si possa muovere ed evolvere in modi a te completamente estranei, il chè comprende una certa dose di rischio.
“il processo di essere sorpreso dall’altro, di rimanere attonito di fronte alla sua realtà, è una componente cruciale di un vero dialogo” afferma Maayan “questa pratica è, in qualche modo, una disciplina, e può essere dura da adottare. Tuttavia riconoscere l’altro è importante, può far paura perché la realtà vissuta dall’altro non può svanire nel nostro mondo, ma per la stessa ragione rappresenta una magnifica occasione per liberarsi dai ristretti limiti del nostro io”.
Conclusioni
La conferenza è giunta al termine in presenza di importanti figure istituzionali, tra cui il vescovo Ausiliario di Reims Etienne Veto, il rabbino David Sandmel (in passato segretario del Comitato Internazionale Ebraico per le Consultazioni Interreligiose), il dottor Alberto Melloni (Responsabile UNESCO per il pluralismo religioso e la pace), l’Onorevole Deborah Lipstadt (Inviato Speciale degli Stati Uniti per la lotta all’Antisemitismo) e il Reverendo Padre Mark Lewis (Rettore della Pontificia Università Gregoriana).
La presidente dell’Unione delle Comunità Ebraiche Italiane, Noemi di Segni, ha fatto le considerazioni conclusive.
“A nome delle Comunità Ebraiche Italiane ringrazio tutti per aver portato a termine questo percorso, a cui lavoriamo duramente da più di un anno” ha dichiarato Di Segni “non credo che le aspettative di chi ha lavorato al programma e ha assistito alla conferenza siano rimaste deluse. Abbiamo sviscerato un tema difficile. Abbiamo studiato e ci siamo ascoltati nel rispetto reciproco, il che non è un passo avanti solo per la Chiesa Cattolica, è una prova difficile anche per noi ebrei capire il modo giusto di stare accanto ai nostri amici cattolici, il nostro doloroso passato è una barriera che non è facile superare”.
“Abbiamo conosciuto altri periodi di buio” ha poi affermato riferendosi ai recenti avvenimenti in Israele “L’abbiamo visto anche nei tempi della Shoah, nei secoli di oppressione della Chiesa, ma non solo come ebrei, perché oppressione sono state anche le crociate, oppressione sono tutti i massacri compiuti in nome della fede e della religione. Ognuno di noi ha la responsabilità di essere un portatore di luce, di bene, di curare questo mondo affidatoci da dio e saperlo mandare nella giusta direzione.”