Elezioni Usa: le conseguenze sul Medio Oriente. Israele e Stati Uniti, il rapporto resterà saldo anche con Joe Biden

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Il video dell’evento del 29 novembre organizzato dall’Assessorato alla cultura della Comunità ebraica di Milano e dal Rabbinato centrale, dedicato al tema “Risultati presidenziali americane e conseguenze nelle politiche del Medio Oriente”, con Renato Coen e Daniele Fiorentino Introduce Fiona Diwan.

 

di Francesco Paolo La Bionda

Gli accordi di Abramo. Il riconoscimento della legittimità israeliana sul Golan. Il trasferimento dell’ambasciata americana da Tel Aviv a Gerusalemme. Un alacre attivismo in politica estera mediorientale. Per questo e altro, in segno di riconoscenza, il 70% degli ebrei israeliani avrebbe forse auspicato una vittoria di Donald Trump alle ultime elezioni americane. L’approccio del nuovo inquilino della casa Bianca Joe Biden verso Israele e il Medio Oriente sarà dunque sotto attento scrutinio, in patria come nello stato ebraico, quando il presidente eletto si insedierà il prossimo gennaio.

Un’occasione per approfondire gli scenari futuri nel rapporto tra i due Paesi l’ha offerta l’evento virtuale “Risultati presidenziali americane e conseguenze nelle politiche del Medio Oriente”, organizzato lo scorso 29 novembre da Kesher.

A far luce sul tema sono stati Renato Coen, caporedattore e conduttore di Sky Tg 24 e corrispondente dal Medio Oriente dal 2005 al 2011, e Daniele Fiorentino, docente di Storia degli Stati Uniti e Direttore del Dipartimento di Scienze Politiche dell’Università degli Studi Roma Tre.

I due hanno risposto alle domande della moderatrice Fiona Diwan, Direttrice di Bet Magazine e di Mosaico, e a quelle del numeroso pubblico (circa 200 persone) che ha assistito alla diretta, durata quasi due ore.

La politica estera americana in Medio Oriente, prima e dopo

I due esperti hanno dato una lettura in parte divergente della politica estera del presidente uscente americano. “Trump ha fatto degli show importanti, ad esempio con gli Accordi di Abramo, molto diversi da quelli conclusi da Israele con Egitto e Giordania, delle paci fredde. La linea di Trump si è caratterizzata per un disimpegno internazionale, sparendo dalla Siria e dal Nord Africa e lasciando le aree di influenza a Russia, Turchia e Iran”, ha sostenuto Renato Coen.

Daniele Fiorentino ha invece puntualizzato che “Nella storia della politica estera americana, gli Stati Uniti hanno sempre alternato momenti di maggiore e minore interventismo. Non vedo un disimpegno, anche se Trump è stato più radicale nel suo approccio rispetto al passato. Il coinvolgimento sullo scenario internazionale è stato diverso anche perché Trump si è dovuto occupare di altre questioni e per via del dilettantismo generalizzato della sua amministrazione”.

Sulla relazione con Israele, entrambi si sono trovati d’accordo sulla prospettiva di una sostanziale continuità. “Non c’è mai stato dubbio che gli Stati Uniti siano sempre stati il principale alleato strategico di Israele”, ha postulato il giornalista. “Biden non potrà rivoluzionare drasticamente le scelte dell’amministrazione precedente, ma potrà ricondurle alla moderazione. Sugli equilibri regionali e la sicurezza di Israele, potrebbe essere un punto a favore dello stato ebraico”, ha chiosato il professore.

Biden, Harris e Blinken: le figure chiave per gli esteri della nuova amministrazione

Il tratto caratterizzante del nuovo presidente americano e della sua squadra è stato individuato da Fiorentino proprio nella competenza negli affari internazionali. “Biden ha servito a lungo nella Commissione Affari Esteri del Senato, ha viaggiato in tutto il mondo. La sua amministrazione è la più esperta in politica estera in assoluto, anche grazie alla selezione del team da parte del presidente eletto”, ha spiegato, che riguardo ai rapporti pregressi con Israele ha poi aggiunto “Blinken [il futuro Segretario di Stato scelto da Biden n.d.r.] viene da una famiglia ebraica e il marito della madre è un sopravvissuto alla Shoah. La simpatia che ha dimostrato in passato a Israele è certa. Il circolo di consiglieri di politica estera di Biden ha una tradizione fortissima di diplomazia filo-israeliana, ma diversa da quella di Trump e quindi anche critica di certe scelte dell’amministrazione Netanyahu”.

Il docente di Roma Tre si è inoltre espresso positivamente sulla Vicepresidente eletta Kamala Harris, che molti in America e in Israele temono essere troppo legata alla frangia più radicale, e più critica con Gerusalemme, del partito. “Kamala Harris non è così a sinistra, è anzi piuttosto conservatrice. È stata a parlare tre volte all’AIPAC, che è la più grande associazione a favore di Israele negli Stati Uniti. A proposito di Israele, durante uno dei suoi interventi, Kamala Harris ha dichiarato: ‘Noi abbiamo tradizioni comuni, sono stata a visitare la Corte Suprema Israeliana, che mi ha dimostrato la sovranità della legge in questo Paese come accade da noi’. Giocherà un ruolo fondamentale in politica estera e verso l’ebraismo americano”.

Meno ottimista è stato Renato Coen, che detto: “Nella mia opinione, nella futura amministrazione statunitense non c’è un’idea chiara sulla politica estera mediorientale. Anthony Blinken è stato uno dei fautori dell’accordo sul nucleare con l’Iran. Come spesso capita in Medio Oriente, dove da millenni si vive di paradossi, probabilmente l’amministrazione di Joe Biden cercherà un nuovo accordo con l’Iran cercando di mantenere buoni rapporti col fronte sunnita”.

Gli altri: l’approccio verso le monarchie del Golfo e l’Iran

Nel corso del dibattito si è toccato naturalmente anche il tema del rapporto statunitense con gli altri attori del Medio Oriente, cosa che ha per Israele ricadute quasi altrettanto importanti della sua relazione bilaterale con Washington. A partire dalle monarchie del Golfo sempre più orientate verso la normalizzazione dei rapporti con Israele come Emirati Arabi Uniti e Bahrein, con gli Accordi di Abramo, e l’Arabia Saudita, con il Principe ereditario Moḥammad bin Salmān protagonista il 22 novembre di un non così segreto incontro con Netanyahu.

“Secondo le fonti, Moḥammad bin Salmān farebbe subito e senza problemi la pace con Israele, ma il padre, anziano ma ancora regnante, la vincola alla risoluzione della questione palestinese”, ha riferito a questo proposito Coen.

Nondimeno, secondo Fiorentino il rapporto americano con l’Arabia Saudita sarà ridefinito. “Non credo che Biden accorderà come ha fatto Trump un sostegno indiscusso agli alleati; solleverà a più riprese invece le questioni dei diritti umani e dei diritti civili. Gli Stati Uniti non faranno però grandi interventi, la vera sfida per questa amministrazione è il COVID. Ricordiamo che la cattiva gestione dell’epidemia è stata una delle ragioni della sconfitta di Trump”.

Sul riavvio e sulla riapertura del dialogo americano con l’Iran, entrambi gli esperti si sono trovati d’accordo nel giudicare preferibile anche per Israele il ritorno alle trattative e all’identificazione di interlocutori interni al regime degli ayatollah, pur senza rinunciare agli strumenti di pressione quali le sanzioni.

“Non controllare l’Iran e non sapere ciò che avviene laggiù è la cosa più pericolosa per Israele, tanto che deve ricorrere ad operazioni clandestine. D’altra parte le sanzioni servono sono un ottimo strumento di pressione, hanno messo oggi il paese in ginocchio”, ha opinato Coen.

“Rispetto all’Iran la possibilità di una riapertura delle trattative, non è detto che rappresenti uno sviluppo negativo per Israele”, ha commentato Fiorentino “Potrebbe essere invece una di quelle linee di credito insieme a una moderata apertura verso i palestinesi che potrebbe portare maggiore equilibrio nella regione. Teheran non può essere messa in un angolo, soprattutto in vista delle elezioni interne del prossimo anno e in considerazione dell’assassinio di Mohsen Fakhrizadeh-Mahabadi, scienziato a capo del programma nucleare iraniano, di cui è stato accusato Israele”.