di Nathan Greppi
La rielezione di Donald Trump ha aperto numerose incognite sul futuro dei rapporti tra Washington e Gerusalemme, nonché su come viene vissuta la situazione post-7 ottobre dall’ebraismo americano. Per approfondire tutti questi aspetti, mercoledì 20 novembre si è tenuto un incontro su Zoom organizzato dall’associazione ebraica torinese Anavim, dal titolo Il microcosmo ebraico americano dopo le elezioni presidenziali. L’incontro è stato moderato da David Sorani, presidente di Anavim.
Le ragioni della vittoria di Trump
Il primo a intervenire è stato il giornalista Claudio Pagliara, corrispondente da New York per la Rai. “Le ragioni della vittoria di Donald Trump”, ha detto, “si possono riassumere in tre grandi filoni: il primo è l’effetto congiunto dell’inflazione e dell’immigrazione di massa avvenuta nei primi anni della presidenza Biden. La seconda ragione riguarda le fughe in avanti della sinistra ‘woke’, una parola che indica una fuga in avanti ideologica su questioni molto controverse nella società americana, come i diritti dei transgender, che sono andate molto contro il buonsenso del mainstream americano”.
“Il terzo fattore”, ha spiegato, “quello che ci interessa di più, sono la guerra in Ucraina e quella in Medio Oriente. Non perché gli americani si occupino molto di politica internazionale quando votano, ma perché sotto Biden è stata proiettata l’immagine di una leadership che non viene rispettata nel mondo”, mentre c’è chi spera che con Trump l’America tornerà a farsi rispettare come superpotenza.
Sul peso del carovita e dell’immigrazione nel favorire Trump, si è trovato d’accordo con Pagliara anche il giornalista e scrittore Simone Somekh, nato a Torino e anch’egli residente a New York: “Oltre alla fuga di voti dal centro, Biden ha dovuto affrontare quella a sinistra degli uncommitted, cioè coloro che hanno deciso di non votare Biden per il suo sostegno a Israele”. Durante le primarie democratiche del 2020, in cui si candidò anche Kamala Harris contro Biden, “fu un momento nella storia del Partito Democratico in cui i candidati facevano a gara a chi adottava le posizioni più progressiste e radicali. Anni dopo, riguardando quelle posizioni, è chiaro che gli elettori non le hanno apprezzate”.
Gli ebrei americani e Israele
Per quanto riguarda invece il voto ebraico alle elezioni americane, Somekh ha spiegato che “sebbene vi siano realtà ed esperienze diverse tra loro, possiamo comunque generalizzare e dire che, storicamente, gli ebrei americani hanno sempre preferito le politiche democratiche a quelle repubblicane, anche in questa elezione”. Tuttavia, se i reform e gli ebrei non affiliati a nessuna denominazione hanno preferito la Harris, “la maggioranza degli ebrei ortodossi ha votato Trump. Questo è importante, perché la questione dell’antisemitismo viene sentita soprattutto da quegli ebrei che vivono il loro ebraismo in maniera pubblica”.
Somekh ha aggiunto che “l’ebreo americano medio si definisce sostenitore d’Israele, è sionista, ritiene che i media americani non facciano un buon lavoro nel parlare di Israele ed è preoccupato per il crescente antisemitismo. Allo stesso tempo, però, non condivide le politiche di Netanyahu”. Inoltre, nonostante l’aumento dell’antisemitismo, “l’americano medio sostiene Israele, tranne una minoranza rumorosa ma molto attiva su internet, e in particolare su TikTok che ha molta presa sui giovani”.
Verso la fine, è intervenuta anche la Presidente UCEI Noemi Di Segni, la quale ha detto che “tutti in Italia stanno seguendo la situazione per capire a cosa porterà” in Israele e negli Stati Uniti, mentre “gli organismi internazionali sono forse ciò che ci fa arrabbiare di più”. Queste parole sono state dette prima che venisse emanato il mandato d’arresto per Netanyahu e Gallant da parte della Corte Penale Internazionale.