di Fiona Diwan
C’è un evento di questi giorni, sulla cui portata forse non si è abbastanza riflettuto: la partenza del Giro d’Italia da Israele e precisamente da Gerusalemme (Venerdì 4 Maggio). Un evento che connette il passato col presente, Gino Bartali con la nascita dello Stato d’Israele, la memoria della Shoah e le staffette partigiane con il sogno sionista, lo sforzo atletico con la volontà di esistere e di durare, la pazienza della formica come richiede ogni allenamento che si rispetti – e ogni sogno che vuole diventare realtà – con la tensione muscolare protesa sull’obiettivo. Calvari e muri di pianto, roveti desertici che ardono di caldo e il gesto atletico che incontra l’impasto di luce e fatica. Ecco allora le fughe e le volate lungo i declivi aridi della Giudea, lungo le pendici del Carmelo e le discese tra i vigneti biondi di Ziqron Yaacov. La bicicletta è l’immagine visibile del vento, i ciclisti si inerpicano in alto dove la vita sembra sempre un po’ incredula. Il ciclismo è eroico e inattuale, fuori dal tempo, fuori dalla modernità ma dentro al futuro, è tecnologico con quella sua eterna necessità di superare la forza di gravità, con qualcosa di antico e passionale, arcaico come il bisogno di sognare, ossessivo come la lotta per resistere.
Il ciclismo somiglia a Israele.
Il Giro d’Italia che parte da qui è un evento epocale non solo per la portata politica, sportiva, simbolica o per il suo valore di esempio e audacia. È epocale perché normalizza e regala “una notte di quiete”, una ebrezza di stabilità a chi da 70 anni non sa che cosa sia la quiete. E perché fa sentire finalmente lo Stato d’Israele “come tutti gli altri”, normale appunto.
Citavo poco fa Gino Bartali, personaggio a cui è dedicato un libro appena uscito in Francia, Un velò contre la barbarie nazie, di Alberto Toscano, prefazione di Marek Halter (Colin editore). Ebbene, entrato a far parte della rete clandestina di Giorgio Nissim a cui era affiliato anche il rabbino di Firenze Nathan Cassuto, Gino Bartali recapiterà, con la scusa di allenarsi, un numero spropositato di documenti falsi a circa 800 ebrei, durante la Seconda Guerra Mondiale. Nascosti sotto il sellino e nel manubrio, porta le sue preziose carte. Fa anche 350 chilometri in un giorno per recapitare il suo pericoloso cargo. Il rabbino Cassuto gli affida anche delle fotografie e documenti da portare nei conventi che nascondono famiglie di ebrei. Gino pedala, sulle strade della Toscana, Abruzzo, Lazio… È un campione, si deve allenare, è il rivale di Fausto Coppi, chi potrebbe mai sospettarlo? Eppure, qualche lettera verrà intercettata e Gino entrerà nella “Villa Triste” di Firenze dove sarà lungamente interrogato dal maggiore Mario Carità e dalla sua famigerata “squadra degli assassini”, salvato dalla tortura solo grazie all’ammirazione di due giovani camicie nere che sbandierano i complimenti fatti a Bartali dal Duce in persona.
Per un pelo, la catastrofe è schivata. Il segreto di Bartali è stato ben custodito per lungo tempo, Gino era la discrezione fatta persona, non si vantò mai nemmeno una volta delle sue gesta, neppure a guerra finita. Nel 2012, Yad Vashem ne fa un Giusto tra le nazioni per aver consapevolmente rischiato la vita per salvare degli ebrei. Oggi Bartali continua a correre sulle colline di Gerusalemme e questo Giro d’Italia, alla fine, è anche un’ultima vittoria postuma, un omaggio alla sua generosità sportiva e umana. E da oggi, è anche cittadino onorario di Israele.
Editoriale del Bet Magazine – n° 5, Maggio 2018