di Ilaria Myr
GERUSALEMME – ‘One people, one destiny’, un popolo un destino: era questo il titolo del Summit organizzato dall’ufficio stampa del governo israeliano (GPO) per i media ebraici del mondo, che si è tenuto dal 19 al 22 dicembre a Gerusalemme. Un’occasione preziosa e unica per incontrare colleghi di tutto il mondo – 100 da 25 Paesi, fra cui Sud Africa, Canada, Panama, Turchia -, e per conoscere da dentro molti aspetti della società israeliana difficili da vedere ‘da fuori’ Israele. Soprattutto, un’opportunità importante per tutti per riflettere sui rapporti fra diaspora e Eretz Israel. Come ha detto il Ministro della Diaspora Nachman Shay alla serata di Gala di apertura tenutasi al David Citadel Hotel: “Gli israeliani non sanno cosa vuol dire essere diaspora e non conoscono il contributo che la diaspora ha dato e continua a dare allo Stato di Israele. Abbiamo un comune denominatore, che è l’identità ebraica, non dobbiamo dimenticarlo”.
All’evento di apertura è intervenuto anche il Ministro degli esteri Benny Gantz, che ha sottolineato come “la Storia ci ha dimostrato che affrontiamo ogni minaccia solo uniti…. Ricordiamoci che siamo più forti uniti e che il prossimo capitolo della nostra storia deve essere anche un trionfo, perché altrimenti da soli non ce la facciamo e perché il nostro destino è uno”.
Dentro la politica interna ed estera
La prima mattina di attività del Jewish Media Summit 2022, ospitata all’interno del Ministero degli esteri, è stata dedicata a conoscere più da vicino lo scenario politico e alcune delle questioni ‘calde’ che interessano Israele. Divisi in gruppi, i giornalisti hanno potuto confrontarsi con esperti su diversi temi: i rapporti con la diaspora, l’antisemitismo fuori da Israele e il pericolo di un accordo per il nucleare con l’Iran.
In seduta plenaria, abbiamo parlato dell’importanza degli Accordi di Abramo per lo Stato di Israele, che hanno portato all’apertura delle relazioni con Emirati Arabi Uniti e Bahrein, insieme ad alcuni rappresentanti impegnati nella questione. Lior Haiat, portavoce del Ministero degli Esteri, ha raccontato l’emozione di essere il primo diplomatico israeliano a entrare ad Abu Dhabi, mentre Ido Moed, del Ministero degli esteri, ha ricordato la commozione del cantare l’Hatikva, l’inno nazionale, negli Emirati Arabi Uniti. Shifra Weiss, portavoce all’ambasciata israeliana ad Abu Dhabi, ha testimoniato la sensazione di “essere finalmente accettati negli Emirati” (impensabile solo fino a qualche anno fa) e ha raccontato che nei prossimi mesi verranno costruite una moschea, una sinagoga e una chiesa su progetto di uno stesso architetto, a rappresentare quindi il dialogo e l’unità tra le tre religioni. Mentre Uri Rothman, della divisione Medio Oriente e processo di pace del Ministero degli Affari Esteri, ha spiegato come gli Accordi di Abramo, rendendo possibile il passaggio delle merci da Dubai, abbiano facilitato per Israele enormemente le attività di importazione ed esportazione da e per l’Estremo Oriente. “Stiamo attualmente parlando con Egitto e Giordania (paesi con cui Israele ha formalmente siglato la pace, ndr) per progetti congiunti nell’ambito green– ha continuato -. In Giordania esporteremo enormi quantità di acqua, e realizzeremo, grazie al sostegno degli Emirati Arabi, in Giordania una piattaforma per sfruttare l’energia solare”.
Inoltre, sono stati ricordati gli ottimi rapporti con il Marocco, che proprio negli ultimi anni si stanno rafforzando. “È un paese che ha un legame molto forte con la sua storia e cultura ebraica – ha spiegato – e lo stesso re Mohammed VI mantiene ottimi rapporti con la propria comunità ebraica”.
Alla Knesset, regno della democrazia
Nel pomeriggio abbiamo visitato la Knesset, la sede del parlamento israeliano. Interessante è stato capire come sono disposti i 120 seggi al suo interno – a forma di menorà – e come interagiscono fra loro i deputati. Bellissimo anche vedere le opere realizzate all’interno dell’edificio da Marc Chagall: mosaici e splendidi arazzi creati ad hoc dall’artista.
Illuminante è stato poi l’incontro con quattro rappresentanti di forze politiche diverse – Yuli Edelstein (Likud, partito al governo) Sharren Heskel (Mahane Mamlachti, opposizione), Gilad Kariv (Avodà, opposizione) e Yitzak Pindrus (Agudat Israel, governo) – con opinioni e visioni ovviamente differenti, emerse anche nelle risposte date alle numerose domande fatte dai giornalisti invitati al Summit. Fra gli aspetti più sentiti come critici, la questione del rinnovo dell’Alta Corte di Giustizia e l’educazione nelle scuole ortodosse.