di Nathan Greppi
Sala piena per la proiezione del documentario Memoria di Ruggero Gabbai avvenuta lunedì 28 gennaio nell’Aula Magna dell’Università degli Studi di Milano per onorare il Giorno della Memoria. Dopo i saluti istituzionali, è stato proiettato il documentario, realizzato con il sostegno del CDEC e uscito per la prima volta nel 1997. Il film raccoglie numerose interviste agli ebrei italiani deportati nei campi di sterminio di Auschwitz-Birkenau, tra cui Liliana Segre, Nedo Fiano e Sabatino Finzi.
Il dibattito
Alla proiezione è seguito un dibattito in cui il primo a prendere la parola è stato proprio Gabbai, secondo il quale con il film “ci si immerge a piene mani nel buco nero del ‘900”. “Bisogna dire però che nel film emerge l’italianità, il film inizia in Italia con i colori di Roma e Firenze, e gradualmente ci porta alla monocromia del campo”. Quando Gabbai realizzò Memoria assieme agli storici del CDEC Marcello Pezzetti e Liliana Picciotto furono anche motivati da “l’idea che Spielberg aveva di fare un archivio dopo Schindler’s List, una mappa videografica di tutta Europa. Allora ci siamo detti ‘perché non iniziamo noi a fare la nostra, con la nostra sensibilità e conoscenza storica italiana?’”.
In seguito, riferendosi a una scena in cui Rubino Romeo Salmoni ricorreva a espressioni forti e colorite, il regista ha sottolineato che “oggi siamo abituati a vedere e ascoltare di tutto, ma 22-23 anni fa stupì per essere stata usata in quel contesto”. Questa autenticità colpì Roberto Benigni, che volle alcuni dei sopravvissuti protagonisti del documentario sul set de La vita è bella, oltre alla collaborazione di Pezzetti per la sceneggiatura. “Dopo la morte di Primo Levi abbiamo detto ‘adesso è il momento in cui anche gli altri devono parlare’, cosa che per tanti anni nessuno ha avuto il coraggio di fare. Ci sono dei cicli nella vita, loro hanno sentito che era giunto il momento, noi siamo stati i catalizzatori ma il grande merito va riconosciuto al coraggio, la dignità e la grande forza di narrazione dei protagonisti del film.”
Dopo di lui ha parlato il sociologo Nando Dalla Chiesa, il quale ha detto: “Mi chiedo che consapevolezza ci sia di ciò che ha portato alle memorie che abbiamo visto, dei percorsi che portano a quelle situazioni, […] ed è impressionante come non riusciamo a imparare tutto quello che dovremmo imparare da queste storie.” Ha confessato che “ho un grande senso di colpa per non aver a suo tempo capito cosa sarebbe accaduto a Sarajevo. Ho passato tutta la mia gioventù a ragionare sull’Olocausto più di quanto fosse consentito a scuola alla mia età. Era stata una conquista rendersi conto di quanto era accaduto, ma non era bastato per riuscire a fiutare per tempo quello che si stava scatenando accanto all’Italia.”
Progetti sulla Memoria
Subito dopo sono intervenuti tre ricercatori della Statale che hanno presentato vari progetti dell’ateneo relativi al tema della memoria: il primo a intervenire è stato Emanuele Edallo, assegnista di ricerca che si occupa del censimento degli ebrei milanesi che portò alla loro deportazione, che ha parlato di una mostra sull’argomento che ha organizzato dal 23 ottobre al 18 novembre: “La mostra nasce dal ritrovamento di un fondo archivistico rinominato ‘Fondo Israeliti’ che è rimasto nascosto o dimenticato per 70 anni negli scantinati di Via Larga, che, dopo molte visite all’Archivio Civico di Milano – e grazie alla mia insistenza e alla lungimiranza del direttore, siamo riusciti a riportare alla luca questo fondo. Si parla di 3800 schede, una cinquantina di registri e tutta la documentazione relativa alle richieste di discriminazione e tutto l’iter per il riconoscimento dell’appartenenza o meno alla cosiddetta ‘razza ebraica’”.
Ha spiegato che assieme ad altre due ricercatrici ha pensato poi di rendere pubblici questi dati, e “il risultato è stato fondamentalmente una grandissima parete di 5 x 20 metri, con rappresentati i nomi e le vite di tutte queste persone: ad ogni nome sono stati legati dei colori e dei segni grafici, che andavano a rappresentare tutta una serie di dati raccolti dal censimento.” Alla mostra sono venute 9-10.000 persone.
Dopo di lui ha parlato Giacomo Aresi, studente dell’ultimo anno che si occupa di un progetto chiamato Promemoria Auschwitz, “che ogni anno accompagna 1.000-2.000 studenti delle scuole medie e superiori a Cracovia e ad Auschwitz. Il viaggio è preceduto da degli incontri di formazione, fatti in università.” Si è poi soffermato su “quello che è il senso, secondo me, di un progetto di questo tipo. Io credo molto in un progetto di questo tipo che riesce a trasformare un luogo terribile in uno dove possono nascere delle riflessioni. Secondariamente, credo molto nel progetto perché riesce a trasformare un modo di vivere la memoria, che spesso è stanco, far diventare la memoria un’urgenza e farla vivere in modo militante.”
E infine è venuto il turno di Stefano Marrone, studente al Master di Public History. “Questa mostra è un’indagine sul nostro passato che cerca di porre l’attenzione sul pubblico. A questo passato dobbiamo cercare di porre degli interrogativi affinché diventi una chiava di lettura per il presente, e la sfida più grande e far uscire da una ristretta cerchia del mondo accademico la ricerca storica e diffonderla il più possibile. Una data come quella della Giornata della Memoria stimola degli interrogativi profondi, e quindi nel nostro piccolo abbiamo cercato di porci degli interrogativi sulla storia del nostro ateneo.”
Ha poi spiegato che a Milano “negli anni di guerra tra il ’43 e il ’45 sono arrivati moltissimi professori che fino all’ultimo avevano aderito al fascismo.” Lui e gli altri studenti del Master hanno analizzato questo capitolo, e si sono accorti che in Italia a giudicare i crimini fascisti furono tribunali italiani anziché delle forze alleate, e “di fatto, degli oltre 43.000 italiani processati per qualche forma di collaborazionismo si hanno 6000 effettive condanne, che, dopo un compromesso, scendono a quota 600”.