di Anna Balestrieri
È nella cornice dello splendido Salone Vanvitelliano del Palazzo della Loggia di Brescia che è stata inaugurata la mostra “Stelle senza un cielo: bambini nella Shoah”, aperta fino al 18 gennaio. L’apertura è stata accompagnata da un incontro aperto alla cittadinanza in presenza degli organizzatori, delle autorità e del giornalista Gad Lerner.
La mostra è stata voluta dalla Casa della Memoria bresciana, una realtà associativa nata più di vent’anni fa dalle volontà congiunte dell’Associazione Familiari Caduti e delle autorità cittadine per testimoniare e commemorare la strage di Piazza della Loggia. Nella presentazione, la coordinatrice Emanuela Zanotti ha evidenziato il ruolo educativo svolto nel territorio dall’associazione, che ha intensificato nel corso degli anni la portata della propria missione civica, ampliando il compito didattico dalla commemorazione dell’attentato fascista a tematiche universali come la Shoah. “La mostra”, secondo Zanotti, “ci costringe ad incrociare gli sguardi indifesi di questi occhi che ci obbligano ad un’assunzione di responsabilità, a non abbassare lo sguardo”, poiché “come dice Elie Wiesel, l’indifferenza è peccato”.
È stata data lettura del saluto della presidentessa onoraria dell’associazione “Figli della Shoah” Liliana Segre: “io fui bambina ad Auschwitz, io fui bambina della shoah, fummo strappati ai nostri genitori, ai nostri affetti, ai più elementari diritti, in milioni di casi, strappati alla vita. La mostra rende solo uno spaccato per ricordare, come disse Primo Levi, che “questo è stato e questo può sempre ancora accadere” e i pannelli ci ricordano quanto i bambini siano rimasti aggrappati alla vita “perché la cultura aiuta a vivere e a sopravvivere, ad immaginare qualcosa di altro, di diverso dalla nostra qualsiasi condizione attuale”. Un tassello per celebrare la cultura l’anno della cultura delle città di Bergamo e Brescia (2023), un mattone “indispensabile per creare cittadine e cittadini solidali e democratici” secondo la senatrice.
Enrico Grisanti, consigliere dell’associazione Figli della Shoah ed autore del documentario “Sciesopoli, un luogo della memoria” (2015), ha illustrato la mostra. I pannelli tematici mostrano vari aspetti dell’infanzia così come fu vissuta dai bambini della Shoah prima dei campi di sterminio, dal lavoro forzato all’istruzione, dai riti di passaggio alla casa e alle amicizie. La vita cui fu sottoposto più di un milione di bambini, tra chi perì nelle intemperie o a causa degli esperimenti del dottor Mengele e chi riuscì a sopravvivere, come coloro che giunsero a Sciesopoli – la colonia-kibbutz di Moshe Zeiri nata nell’immediato dopoguerra per restituire salute, forze e speranza agli orfani vittime della Shoah sugli spazi di una colonia fascista a Selvino, nelle prealpi bergamasche della Val Seriana -e vi trovarono la propria prima vera casa.
I testi hanno carattere didattico e sono evidentemente indirizzati ad un pubblico alle prime armi con la tradizione ebraica. Viene per esempio spiegato cosa sia il bar mitzvah, accompagnandolo con testimonianze di coloro che furono costretti a celebrarlo al tempo della persecuzione nazista. Seguono storie, come quella dell’amicizia tra Maud Stecklmacher e Ruth Weiss, o quella delle sorelle Silberstein, vittime entrambe della deportazione ma con destini diversi, gli uni segnati dalla speranza e gli altri dalla tragedia.
È intervenuto infine Gad Lerner, che ha parlato della barbarie del suprematismo e della violenza che impazzavano nella regione di Leopoli, da cui proviene la sua famiglia, già prima dell’operazione Barbarossa. La memoria dello scrittore di “Scintille” (Feltrinelli, 2009) torna più spesso a quei luoghi dal 24 febbraio 2022, dove lo scontro tra nazionalismi ha carattere suprematista, ma con una sostanziale differenza. “Nell’ideologia di Putin gli ucraini sono russi che non accettano di esserlo, non ammettono di esserlo e vanno riportati alla loro matrice originaria cui hanno voluto ribellarsi”. Lerner nega che la Shoah sia incomparabile con altre forme di genocidio che si sono verificate dopo di essa. Coloro che nel dopoguerra annegarono nel mar Mediterraneo nel tentativo di raggiungere un luogo di accoglienza, “i clandestini del mare” ricordati dall’omonimo libro di Ada Sereni e dal monumento sul modaiolo lungomare di Tel Aviv, sono una testimonianza che “quando ci misuriamo con i suprematismi di oggi non dobbiam dare per scontato, come diceva il sindaco, che la democrazia sia un bene acquisito, così come si vede in Brasile, negli Stati Uniti ed anche in Europa: chi crede che si dovrebbe dimenticare e lasciare nell’oblio ha un secondo fine, vorrebbe renderci queste cose più sopportabili, vorrebbero renderci i bambini di un altro colore che affogano nel Mediterraneo accettabili”.
Virginia Magoni, assessore alla Cultura del Comune di Selvino, ha chiuso con un invito a visitare la mostra ed il luogo che ha reso questi bambini uomini e permesso loro di partire verso Eretz Israel.