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Terrorismo e controterrorismo al tempo del Covid-19: un dibattito al Festival della Diplomazia di Roma

Eventi

di Nathan Greppi
I recenti fatti avvenuti in Francia dimostrano come, anche in questo periodo, il terrorismo jihadista è ancora una minaccia considerevole. Ma come è mutato nel contesto della pandemia? E come si evolvono i mezzi dei servizi di intelligence per contrastarlo? Di questo si è parlato in un dibattito online all’interno del Festival della Diplomazia di Roma, dal titolo Challenges to full counterterrorism cooperation: are terrorist taking advantage of Covid? (il video si può rivedere cliccando qui).

Il dibattito, tenutosi in lingua inglese e moderato dal segretario del festival Giorgio Bartolomucci, ha visto parlare per primo Fayiz Khoury, ambasciatore giordano in Italia: “Con il lockdown sono diminuiti i reclutamenti faccia a faccia,” ha spiegato, aggiungendo però che “Daesh (l’ISIS, ndr) ha basato gran parte delle sue infiltrazioni in Medio Oriente sulle disparità economiche e sociali di quei paesi. Se guardiamo all’impatto del Covid-19, paesi che avevano già diversi problemi finiranno per patirne ancora di più.”

Fayz Khoury, ambasciatore giordano in Italia

Per quanto riguarda invece possibili attentati in Europa, l’inviato del Corriere della Sera Maurizio Caprara ha spiegato che “hanno del materiale su cui lavorare: da ottobre in almeno 26 paesi si è protestato contro le misure per affrontare il Covid-19. Questi sono sentimenti che possono essere utili per i terroristi, anche se non bisogna confonderli con i manifestanti.” Ha puntato il dito contro i social network, in cui le frustrazioni sociali e personali vengono amplificate.

Rebecca Mieli, analista italiana che vive in Israele, si è concentrata su come Hezbollah (nella foto dei militanti) ha cercato di reagire in Libano alla diffusione del virus: “Sin dall’inizio della diffusione del Covid, Hezbollah e il regime iraniano hanno sfruttato la crisi per indottrinare i loro membri e manipolare l’opinione pubblica. La situazione è cambiata completamente ad agosto, quando il Libano si è ritrovato sull’orlo di una crisi economica. Le principali cause sono le sanzioni imposte dagli Stati Uniti a Hezbollah e all’Iran e la crisi del Covid. Una terza ragione è stata la catastrofica esplosione del porto di Beirut, che non ha avuto solo un costo economico ma ha anche colpito il famoso senso di resilienza libanese.” Hezbollah, che ha ampliato il suo sistema di welfare per la popolazione, “ha fatto della sanità un’arma potente in Libano, e i suoi sostenitori spesso fanno presente quanto ha avuto successo il partito nel combattere il virus.”

Rebecca Mieli, analista italiana

L’esplosione di Beirut ha colpito duramente l’immagine dei partiti di governo, compresa Hezbollah, tanto che secondo la Banca Mondiale la percentuale di coloro che vivono sotto la soglia di povertà “è passata da un terzo nel 2018 a circa metà della popolazione nel 2020.” Siccome Hezbollah era vista come responsabile della crisi in quanto forza di governo, ha cercato di sostituirsi allo stato nell’ampliare il sistema sanitario.

Quello della disinformazione e della propaganda legate alla crisi è un tema che è stato affrontato anche da Matteo Colombo, ricercatore dell’ISPI esperto di mondo arabo: “Quando osserviamo la comunicazione di questi gruppi jihadisti è interessante vedere le loro reazioni alle notizie sul virus.” Secondo lui “ci sono 3 temi ricorrenti nella loro comunicazione: 1) Gli infedeli (l’Occidente, la Cina, l’Iran sciita) sono ostili all’Islam e faranno di tutto per indebolirlo; 2) Stiamo vivendo un evento straordinario, nel senso che capita molto raramente, il che li fa pensare che ci stiamo avvicinando all’Apocalisse; 3) Non vi è sconfitta definitiva; anche se l’ISIS è stato sconfitto militarmente in Iraq e in Siria, credono che sia solo un incidente della storia, e che un giorno torneranno forti come prima.”

Al termine del dibattito, alcuni studenti collegati hanno fatto domande ai relatori: una studentessa israeliana ha chiesto alla Mieli su come Israele può contrastare l’influenza dell’Iran in Libano tramite il suo sostegno a Hezbollah: “Israele e i paesi sunniti dell’area si stanno coalizzando anche per questo,” ha risposto la Mieli. “Le ragioni della loro alleanza sono più economiche che politiche, ma contrastare l’influenza iraniana nella regione è uno dei più importanti. Probabilmente, se Hezbollah vuole mantenere la sua credibilità e tenere le mani sul paese, dovrebbe accettare i negoziati tra Israele e il Libano.”