I 10 motivi per cui Gerusalemme è la capitale di Israele

Israele

di Paolo Castellano
Il 5 dicembre sul sito del Jerusalem Center for Public Affairs è stato pubblicato un interessante articolo che elenca in 10 punti le motivazioni per cui oggi bisognerebbe riconoscere Gerusalemme come capitale israeliana. Il decalogo, scritto dopo la notizia della decisione di Trump di spostare l’ambasciata americana da Tel Aviv a Gerusalemme, è stato creato da Alan Baker, esperto di diritto internazionale e direttore del sopracitato centro di studi. Ecco qui la sua lista:

  1. «Gerusalemme è stata la capitale ufficiale dello stato di Israele e il centro del suo governo sin dal 1950. Gerusalemme è la sede del Presidente di Israele, della Knesset, della Suprema Corte, e il luogo di molti ministeri di governo e istituzioni sociali e culturali. Gerusalemme è un antico centro spirituale della religione ebraica ed è anche considerata la città santa dai membri di altri credi religiosi. Israele protegge i luoghi sacri delle tre principali religioni».
  2. «Nel 1967, la Giordania ha rifiutato gli avvertimenti di Israele e ha incominciato un aggressivo conflitto contro Israele, bombardando Gerusalemme. In risposta all’attacco e per difendersi, Israele ha imposto la propria presenza nella parte Est di Gerusalemme, poi controllata dalla Giordania». 
  1. «Come noto, lo status di Israele a Gerusalemme Est è interamente legittimato e accettato dalla comunità internazionale sotto la legge internazionale del conflitto armato».
  2. «L’unificazione del 1967 di Gerusalemme con Israele attraverso l’estensione della sua legge, giurisdizione e amministrazione nella zona orientale della città – non accettata dalla comunità internazionale – non ha alterato la legalità della presenza di Israele e del governo nella città».
  3. «Gli Stati Uniti hanno ripetutamente stabilito che la questione di Gerusalemme deve essere risolta in una negoziazione come parte di un solo, durevole e comprensivo accordo di pace».
  4. «Le numerose risoluzioni generate politicamente e le dichiarazioni dell’ONU, UNESCO, e altri, nel tentativo di revisionare e distorcere la lunga storia di Gerusalemme e di negare le basi religiose, legali e i diritti storici del popolo ebraico e dello stato di Israele a Gerusalemme, non hanno valore legale e non sono vincolanti. Non rappresentano nulla ma sono solamente un’interpretazione politica di quegli stati che hanno votato per approvarle».
  5. «L’Organizzazione per la Liberazione della Palestina e Israele hanno stabilito negli accordi di Oslo che “la questione di Gerusalemme” è uno stato permanente di negoziazioni che può essere risolto solo attraverso una diretta negoziazione tra le due parti in campo. Il Presidente degli Stati Uniti, come i presidenti della Russia ed Egitto, il re di Giordania, e i rappresentanti ufficiali dell’Unione Europea, sono tra i firmatari come testimoni degli accordi di Oslo».
  6. «Né le risoluzioni ONU/UNESCO e neppure le dichiarazioni dei governi, dei leader e delle organizzazioni possono imporre una soluzione alla questione su Gerusalemme. Questi soggetti non possono nemmeno dettare o pregiudicare il risultato di tali negoziazioni».
  7. «Il riconoscimento del fatto che Gerusalemme sia la capitale di Israele e che la sede dell’ambasciata americana a Gerusalemme sia una sovrana prerogativa degli Stati Uniti non pregiudica e non influenza i processi della negoziazione della pace. Questi elementi sarebbero un riconoscimento di una lunga situazione fattuale e la rettifica di una storica ingiustizia».
  8. «Le dichiarazioni del re di Giordania, dei rappresentanti palestinesi, e dei leader arabi in cui viene detto che il riconoscimento di Gerusalemme come capitale di Israele o il trasferimento dell’ambasciata USA a Gerusalemme danneggeranno il processo di pace e scateneranno un’ondata di violenza, non sono altro che inconsistenti minacce e sfortunati tentativi di destabilizzare la sovranità del governo israeliano. Arrendersi a tali intimidazioni, che inneggiano alla violenza e al terrorismo, costituirebbe un pericoloso precedente e un segno di debolezza».