di Roberto Zadik
In Israele sono giorni molto intensi e il 4 novembre saranno passati 25 anni da quando il premier Itzhak Rabin fu ucciso da Yigal Amir che gli sparò mentre a Tel Aviv, durante una manifestazione, cantava Shir ha Shalom (Canto per la pace). A questo proposito il Times of Israel ha sottolineato la preoccupazione dell’attuale premier Netanyahu, 71 anni lo scorso 21 ottobre, che durante le proteste popolari di questi mesi, scatenate dalle accuse per corruzione a suo carico, avrebbe ricevuto diverse “minacce contro di lui e la sua famiglia”. Giovedì 29 ottobre, data ebraica dell’anniversario di Rabin, il premier, commemorando l’assassinio, durante una speciale seduta parlamentare indetta alla Knesset, ha affermato che “è in corso una campagna di incitamento all’uccisione del primo ministro e dei suoi famigliari e nessuno dice nulla”.
Nel suo intervento Netanyahu non ha però specificato quali fossero queste minacce. Secondo l’articolo, la polizia avrebbe analizzato sui social network una serie di attacchi, anche se la loro attendibilità resta dubbia. “Non dobbiamo accettare nessuna forma di incitamento all’odio riguardo a chiunque, che siano ebrei, arabi o personalità politiche. Se non lo faremo ci troveremo ancora sull’orlo dell’abisso” ha proseguito durante la seduta parlamentare. Ha poi espresso la necessità di una condanna globale di qualsiasi discorso violento sottolineando l’importanza della democrazia e dei social network “anche se nemmeno lì devono esservi messaggi che inneggino all’omicidio e alla violenza verso nessuno”.
L’assassinio di Rabin avvenne in un clima politicamente a dir poco esplosivo, come ha rievocato il Times of Israel e, come ben si vede nel documentario di Amos Gitai Rabin-The Last Day, un misto di cronaca politica e fiction, in seguito agli accordi di Oslo la società israeliana era in subbuglio e durante le proteste di quei tormentati mesi Rabin era stato accusato dalla folla di essere “un traditore”.
Le reazioni al discorso di Netanyahu, la commemorazione del presidente Rivlin
In seguito al discorso di Netanyahu, subito sono arrivate le reazioni di alcuni esponenti della sinistra israeliana. La deputata del Meretz, Tamar Zandberg ha infatti espresso la propria indignazione su Twitter: “E’ davvero doloroso nel pieno delle commemorazioni su Rabin, sentire che adesso la vittima è Netanyahu”. Successivamente Yair Lapid leader del partito di centro Yesh Atid (C’è un futuro) ha detto “l’eredità di Rabin non è collegata né alla pace né alla guerra ma alla fiducia. La gente che credeva in lui, gli crede ancora oggi”. Soffermandosi sul momento attuale Lapid, attualmente in coalizione con Netanyahu ha ricordato la difficoltà dell’attuale momento politico israeliano “uno dei più difficili nella nostra storia non solo per la pandemia del Covid ma per il ritorno dell’incitamento all’odio e della legittimazione della violenza”. Questo però secondo lui deve far riflettere perché “l’odio rappresenta uno strumento politico e un fallimento della leadership”.
A conferma di questa situazione il portavoce della Knesset Yariv Levin ha sottolineato il vistoso peggioramento di questo clima così avvelenato in questi anni, proprio dopo l’assassinio di Rabin. Egli ha ricordato come si siano rafforzati “l’odio fratricida, la polarizzazione e un’atmosfera inaccettabile anche quando vi è netto dissenso fra le parti”.
In tema di interventi istituzionali, il presidente israeliano Reuven Rivlin durante la cerimonia di commemorazione di Rabin tenutasi a Gerusalemme giovedì 29 ottobre (nella foto durante la cerimonia del 2019) ha acceso una candela in sua memoria nella sua residenza esprimendo profonda amarezza per le divisioni che ora più che mai lacerano la società israeliana. “Mi interrogo sull’anima del Paese che Yitzhak amava così tanto e venticinque anni dopo la sua morte il Paese è diviso come il Mar Rosso e l’odio ribolle sotto i nostri piedi. E’ incredibile che ci siano delle minacce contro giornalisti e cittadini, che la polizia venga offesa, che qualcuno consideri l’omicidio di un premier”. L’articolo ha ricordato il contributo militare di Rabin, comandante delle forze dell’esercito a capo della squadra che vinse la Guerra dei Sei Giorni e successivamente impegnato nella ricerca della pace, vincendo il Premio Nobel nel 1994, un anno prima della sua morte, in quel 4 novembre 1995.
Yigal Amir, per i servizi segreti “è ancora oggi una minaccia per la sicurezza nazionale”
Secondo un articolo apparso sull’edizione francese del Times of Israel, Yigal Amir, l’uomo che sparò a Rabin, stando a quanto affermano i membri dei servizi segreti dello Shin Beth rappresenterebbe ancora oggi un pericolo. Nonostante Amir, 50 anni compiuti lo scorso 23 maggio, nato a Herzlya da famiglia yemenita, sia stato condannato all’ergastolo, i servizi segreti affermano che ancora oggi abbia dei sostenitori fuori dalla prigione che potrebbero rivelarsi minacciosi. A conferma di questo, il sito, sempre riportando le informazioni fornite dall’indagine dei servizi segreti, ha rivelato che recentemente dei giovani, identificati come attivisti di destra, hanno formato un gruppo di supporto ad Amir e che, stando agli inquirenti, sarebbero disposti a commettere i suoi stessi crimini.
Durante l’inchiesta sono emersi diversi particolari decisamente sconvolgenti. A quanto pare Amir non si sarebbe mai pentito del suo gesto e probabilmente per questo motivo potrebbe tentare di dirigere questa organizzazione avendo cercato ripetutamente di farsi scagionare dall’ergastolo attraverso alleanze politiche. Infatti la moglie, Larissa Trembovler, ebrea russa sposata in circostanze controverse nel 2005, avrebbe creato il partito (Mishpat Tzedek-Giusto processo) invitando la giustizia israeliana a rivedere la condanna del marito assieme a quella “di tutti gli innocenti finiti in galera”. L’interessante articolo ha raccontato anche che in questi anni, Amir vivrebbe in condizione di totale isolamento nella sua cella. Le restrizioni a suo danno sarebbero state inasprite dopo una sua presunta telefonata al rapper Yoav Eliasi, soprannominato “L’Ombra”, attivista di estrema destra, implorandolo di battersi per la sua scarcerazione, ma egli avrebbe rifiutato.
Sempre giovedì 29 ottobre si è tenuta una commemorazione a Tel Aviv, nel luogo dell’omicidio di Rabin, diventata poi Kikar Rabin (Piazza Rabin); sono state accese 25.000 candele proprio come nel novembre del 1995 poco dopo il suo assassinio.
(Foto: The Times of Israel, Mark Neiman, GPO)