A Beit Shemesh, le due anime di Israele

Israele

di Mara Vigevani

Quale sarà la Israele dei prossimi decenni? Laica, intellettuale, scientifica o sempre più religiosa e legata all’ebraismo ultraortodosso? Girando per le strade di Beit Shemesh, cittadina tra Gerusalemme e Tel Aviv, diventata famosa mesi fa in tutto il mondo per essere stata teatro dell’aggressione contro una bambina vestita “troppo immodestamente” (indossava una t-shirt a maniche corte), la tensione fra i due modus vivendi si può toccare con mano. Al di là della cronaca, la realtà è incandescente.

I quartieri sono nettamente divisi: quelli degli ultraortodossi -che si distinguono per i balconi usati come ripostiglio di passeggini, giochi per bambini e biancheria pulita di tutte le taglie-, e gli altri, dove convivono laici e religiosi così detti “con la kippà all’uncinetto”. Per chi comunque non notasse la differenza tra le due zone, non ci si può sbagliare: immensi cartelloni apposti sui tetti dei palazzi all’entrata dei quartieri haredim ordinano a grosse lettere rosse e blu: “Levush zanua” ossia “abbigliamento modesto”.

In molti hanno già usato il termine “Guerra fraterna” e Beit Shemesh ha dimostrato, negli ultimi anni, che la guerra esiste davvero e che nessuna delle parti intende mollare.

Lo sa bene Hadass Margolit, la madre di Na’ama, la bambina che per recarsi a scuola deve passare in una via del quartiere ultraortodosso. Ha subito per mesi insulti e sputi da parte di haredim, per il solo fatto di non essere considerata abbastanza religiosa nel suo modo di vestire. La famiglia Margolit, non intenzionalmente, è capitata a vivere proprio in trincea: al confine tra la Beit Shemesh laico/religiosa nazionalista e quella haredit.

Due mondi separati

Una strada si snoda tra i due quartieri. Non è neppure grande, sembra una via come tante, ma divide due mondi diversi, separati, che lottano per averla vinta uno sull’altro. Ultima tattica usata dagli haredim: mandare lettere ai vicini di casa dall’altra parte della “trincea” minacciando violenze. Il motivo: le loro televisioni possono essere viste dalle finestre. Una lotta di quartiere, ma soprattuto una sfida demografica.

Secondo il Ministero della Educazione di Beit Shemesh, nell’anno scolastico 2012/2013 tre quarti dei bambini che inizieranno la prima elementare saranno haredim. Il rimanente 25 per cento, un totale di 625 bambini, inizierà la scuola pubblica laica o quella religiosa.

Secondo Shmuel Greenberg (del partito ultraortodosso United Torah) e vice sindaco della città, ci sono più haredim nelle fasce di età più giovani. Dei 7.000 bambini di età compresa tra i 5 e gli 8 anni, 5.800 sono haredim.

Zvi Volisky, nato e vissuto a Beit Shemesh da sempre, ex rappresentante del movimento “Hen” al Comune, non accetta di abbandonare a un destino ultrareligioso la sua città. “Beit Shemesh è stato il sogno sionista di molti. Qui sono arrivati immigrati da tutto il mondo e insieme hanno costruito una cittadina in una splendida vallata. Lasciarla in mano agli heredim e andarcene, significherebbe abbandonare il sogno sionista di questa vallata”. La lotta tra laici e ultraortodossi non è peraltro cosa nuova, anche se nell’ultimo anno si è inasprita. Già sette anni fa, fu bruciata una piccola pizzeria di Ramat Beit Shemesh, il quartiere oggi completamente haredi, ma allora ancora “misto”. Il motivo: troppe ragazze andavano a trovare il proprietario, un giovane uomo di bella presenza.

Ma quanti sono i violenti?

Nei negozi gli scaffali sono strettamente divisi tra uomini e donne; il negozio di scarpe del piccolo centro commerciale ha persino due entrate: donne e bambini da una parte e uomini dall’altra. “Noi vogliamo vivere la nostra vita seguendo le regole della Torà, non siamo interessati a dare fastidio agli altri”, spiega il proprietario di un piccolo supermercato. “Gli atti di violenza degli ultimi mesi sono delle provocazioni di un gruppo anarchico che ha interesse a farsi notare”. In effetti non è chiaro quanti siano gli haredim che fanno parte della comunità più estremista, denominata Hasidei Gur. C’è chi parla di 400 persone, altri ne contano migliaia.

Dov Lipman è haredi, ma ha creato il gruppo “Or hadash” che vuole contrastare gli estremisti ultrareligiosi: “Anche noi soffriamo a causa loro: minacce e automobili bruciate sono all’ordine del giorno. In molti hanno paura di loro”, racconta “ma è difficile contrastarli perché vengono aiutati, con laute sovvenzioni, da ricchi americani altrettanto estremisti”.

Sono i Hasidei Gur che hanno introdotto nelle strade degli haredim una divisione sempre più marcata tra uomini e donne: marciapiedi, negozi, autobus.

“Questo gruppo di hassidim crede che la spiritualita sia in netto contrasto con la sessualità e per questo la loro vita viene regolata da durissime norme che separano uomini e donne, anche se sposati”, spiega Nava Wasserman della Università di Bar Ilan, il cui dottorato è incentrato sulla vita dei Hasidei Gur. Ma al di là di questo gruppo, c’è da dire che gli ultra-ortodossi sono diventati il 10 per cento della popolazione israeliana e se una volta vivevano in determinati quartieri, oggi, sia per problemi di spazio dovuti alla crescita demografica, sia per la forza politica acquisita negli anni, sono diventati sempre più aggressivi nel voler imporre le loro regole ai quartieri confinanti. “È chiaro che Israele si trova davanti a una sfida che non sono sicuro possa affrontare”, spiega Menachem Friedman, professore all’Università di Bar Ilan ed esperto del mondo haredì e della società ultraortodossa. “Si tratta di una sfida che deciderà dell’esistenza del Paese e del proprio carattere”. Nel microcosmo di Beit Shemesh, la lotta è già iniziata, ma dopo gli atti di violenza contro le donne sugli autobus separati e le bambine, ora i casi di contrasto tra laici e religiosi sono sempre più frequenti, anche a livello politico. Risale a poche settimane fa la rivoluzionaria decisione del sindaco di Tel Aviv di far viaggiare i mezzi pubblici anche di sabato. Sarà il Parlamento a dover decidere in ultima istanza, e già i partiti religiosi minacciano di abbandonare la coalizione.

Anche la Corte Suprema ha improvvisamente stabilito, 6 voti contro 3, che che la legge Tal del 2002, che disciplina gli studenti delle scuole religiose e di fatto esenta gli ebrei ultraortodossi dal servizio militare, è incostituzionale. La Knesset avrà ora cinque mesi di tempo per riscriverne un’altra. Molti commentatori la definiscono una sentenza storica e prevedono che potrebbe essere il motivo di una eventuale caduta del Governo, dovuta ai partiti religiosi che minacciano ancora una volta di abbandonare la coalizione.