Dopo Washington, sarà Jerico, nella West Bank, la sede del prossimo incontro dei colloqui di pace fra Israele e Palestina; la data, come ha comunicato ieri (8 agosto) John Kerry, è fissata per il 14 agosto.
Il secondo incontro dei colloqui di pace rilanciati da Kerry, avviene mentre il governo Netanyahu da segnali in certo modo contrastanti: da un lato la liberazione (il 13 agosto) di 26 palestinesi detenuti nelle carceri israeliane, dall’altro l’assenso preliminare alla costruzione di 800 nuove case nella West Bank.
Ciononostante, a livello internazionale, l’aspettativa nei confronti di questo nuovo tavolo di trattative rimane alta; non altrettanto sembra di poter dire per la popolazione israeliana. Almeno, questo è quanto emerge da un sondaggio svolto alla fine di luglio dall’Israel Democracy Institute insieme all’Università di Tel Aviv, su un campione di 602 intervistati.
I risultati del sondaggio, pubblicati nei giorni scorsi su tutti i giornali israeliani, dicono infatti che il 63% degli ebrei israeliani
è contrario ad un accordo di pace che preveda il completo ritiro dalla Cisgiordania e uno scambio di terre – anche nel caso in cui Israele dovesse mantenere entro i suoi confini il Blocco di Etzion, a sud di Gerusalemme, Ma’aleh Adunim a est di Gerusalemme e Ariel in Cisgiordania, a 34 kilometri da Tel Aviv. Il 50% degli ebrei israeliani si dice contrario anche al trasferimento all’Autorità palestinese dei quartieri arabi di Gerusalemme con un regime speciale per i luoghi santi.
Se si svolgesse oggi un referendum su un accordo di pace che prevedesse il ritiro dalla Cisgiordania e l’abbandono degli insediamenti, il 58% degli intervistati ebrei israeliani e il 33% di quelli arabi israeliani ritiene che l’accordo verrebbe respinto. Solo il 29% degli ebrei e il 58% degli arabi ritiene che il referendum otterrebbe una maggioranza favorevole al ritiro. Per il 34% degli ebrei israeliani e il 20% di arabi israeliani invece non vi è alcuna necessità di un referendum poiché ritengono che le decisioni in merito all’accordo debbano essere lasciate al governo e alla Knesset
Quanto poi alla necessità di sottoporre a referendum gli accordi di pace, il 62% degli ebrei israeliani e il 72% di arabi israeliani ritiene che esso sarebbe necessario solo se gli accordi prevedessero il ritiro dalla Cisgiordania e lo smantellamento degli insediamenti.
Nel corso del sondaggio, è stato chiesto agli intervistati se nutrono fiducia nel premier Netanyahu e nel modo in cui condurrà le trattative: per il 60% degli ebrei israeliani il premier condurrà i negoziati in modo da garantire la sicurezza di Israele; non la pensa così invece il 37% degli ebrei israeliani e il 29% degli arabi israeliani. Sempre riguardo al primo ministro e alla sua capacità di riuscire a raggiungere un accordo con i palestinesi, il 48% degli ebrei israeliani e il 32% degli arabi israeliani ritiene che ciò sarà possibile, nella misura in cui la firma dell’accordo dipenderà da Israele.
Altra questione scottante su cui è stata chiesta l’opinione degli israeliani è quella del cosiddetto “diritto al ritorno” – che riguarderebbe un piccolo numero di palestinesi rifugiati (mentre per gli altri, sarebbe previsto compenso economico): il 77% degli ebrei israeliani si è detto contrario al riconoscimento di tale diritto.
In generale il 63% degli ebrei israeliani ritiene che il governo israeliano sia veramente interessato a tornare al tavolo dei negoziati; solo il 29% ritiene che anche l’Autorità Palestinese nutra il medesimo interesse.
Tra gli arabi israeliani, il 58% dice che gli israeliani sono sinceri; l’85% ritiene che i palestinesi sono veramente interessati alle trattative.