di Roberto Zadik
Spinti da ideali sionisti e stanchi dell’atmosfera che si respirava a Varsavia in quel periodo, l’agronomo polacco Isaac Luminsky e la moglie Esther decidono, nel 1895, di partire per la Terra promessa. Poco dopo le nozze, alla fine dell’estate s’imbarcano sulla nave, ansiosi di ricominciare da zero nel futuro Stato d’Israele.
Per cambiare vita, per riscaldare al sole del Mediterraneo il sentimento della sua glaciale consorte e magari migliorare la loro situazione economica, Isaac parte ignaro di quanto li attenderà. Una volta arrivata a destinazione la coppia, piena di sogni e di progetti, approda al porto di Jaffa.
Esther è da sempre una fervente sionista e dopo aver partecipato da ragazza all’organizzazione Hovevei Zion, movimento che da tempo incoraggiava gli ebrei polacchi a ritornare nella terra dei Padri, finalmente pensa di realizzare il suo desiderio di vivere in Israele. Ma i piani di Luminsky sono meno generici; ha in mente qualcosa di molto preciso. Uomo intraprendente, opportunista e pragmatico al tempo stesso, infatti, intendeva raggiungere il suo gruppo di amici pionieri, esploratori e agricoltori, partiti prima di lui, per coltivare la terra assieme a loro. E applicare quanto appreso all’Università di Montpellier dove si era laureato in Agronomia, specializzandosi nella coltivazione di frutti e cereali.
L’approdo è traumatico: dopo le peripezie del viaggio, il mal di mare, le liti con gli arabi incontrati per la prima volta, che all’arrivo hanno gettato le valigie in mare scatenando la disperazione di Esther per la perdita dei suoi costosi e amatissimi vestiti, Luminsky e la sua consorte giungono alla colonia Ashkenaz. Ingannevolmente descritta dai marinai della nave come un posto pieno di rigogliose coltivazioni, il luogo è invece inospitale e il terreno desertico e sterile. Aveva ben altre aspettative, il povero Luminsky! trova solo strade vuote, mosche e serrande abbassate. Dopo quella esperienza, Isaac viaggia per un mese spostandosi da una città all’altra in cerca di una terra da coltivare, ma invano. Incontra gente, cerca di ambientarsi seguendo i consigli dell’organizzazione Hovevei Zion, ma la strada è tutta in salita.
Questa è, a grandi linee, la vicenda che lo scrittore Alon Hilu, nato a Haifa 38 anni fa, descrive nel suo libro La tenuta Rajani, pubblicato da Einaudi (pp. 306, 21 euro). Un romanzo che è anche la storia epica della prima generazione di pionieri: intrecciando narrazione e fatti realmente accaduti, dopo aver consultato lettere e manoscritti firmati dallo stesso Luminsky, Hilu descrive che cos’è successo a uno dei mitici pionieri protagonista della prima Aliyà, avvenuta dagli ultimi decenni dell’800 all’inizio del nuovo secolo. Non a caso il libro ha scatenato numerose polemiche: opportunista, affarista e calcolatore, il personaggio Luminski che cerca a tutti i costi di accaparrarsi le terre migliori non è certo l’eroe a cui la mistica del pionierismo ci ha abituato. Ecco la trama: Luminsky nelle sue peregrinazioni è in cerca di un terreno in cui cominciare la propria attività. La situazione agricola è veramente sfavorevole; in seguito alle visite a Hadera, a Zichron Yaakov e a Petah Tikva, Isaac è molto sconfortato e non sa cosa fare. Ma all’improvviso avviene l’incontro che gli cambierà la vita. A Jaffa, Luminsky viene avvicinato da un bimbo, di nome Salah e da sua madre Afifa. Salah gli consegna una lettera di invito da parte di una misteriosa Madame Rajani. Salah e Afifa conducono Luminsky nella loro fatiscente fattoria. Sono presenze inquietanti, personaggi diffidenti e pieni di pregiudizi nei confronti degli ebrei ma affascinati dalla personalità di Isaac. Ma com’è la tenuta della misteriosa Madame Rajani e dove si trovava esattamente? A cavallo di un ronzino, prestatogli a Nevè Shalom da Srurika, una contadina ebrea, Luminsky giunge, attraversando una selva di siepi e rovi pungenti, alla tanto sospirata cascina. È un luogo sperduto, che forse durante le sue lunghe peregrinazioni aveva già sfiorato. Sembra abbandonato e gli alberi sono piantati in modo disordinato, il terreno è pieno di erbacce… ma ci sono anche piante da frutto, rigogliose e piene di doni succosi. Il terreno è infatti estremamente fertile, pieno di sorgenti e corsi d’acqua che lo irrigano. In mezzo al terreno sorge una palazzina, descritta minuziosamente: è caduta completamente in rovina, ma affascina il protagonista per l’eco di un’antica opulenza. Luminsky ha trovato il suo Eldorado? Forse, ma il destino è in agguato. Si sta affezionando a Salah ed è molto attratto da sua madre Afifa. Luminsky si distacca così sempre di più dalla moglie Esther per cedere alla tentazione di ricostruire nella tenuta la sua nuova vita. Afifa è una donna sensuale e insoddisfatta del rapporto con il marito, il vecchio, autoritario e burbero Mustapha Abu Al Salah, che spesso la lascia a casa da sola, mentre lui parte per misteriosi affari. Proprio in questi momenti, Luminsky corteggia la donna e, col passare del tempo, i due si addentrano in un legame erotico molto intenso, descritto da Hilu con maliziosa ironia. Ma a quel punto anche la personalità di Luminsky muta improvvisamente, rivelando i suoi lati più oscuri: avidità, ambiguità e spiccata attitudine alla menzogna e al raggiro. Infatti, approfittando delle circostanze, travolto dalla propria ingordigia intende impadronirsi della tenuta. E sembra avere l’occhio lungo, il nostro Isaac. Infatti la fatiscente tenuta Rajani si trasformerà, un secolo più tardi, nel luogo dove sorgono le due Torri Azrieli, simbolo di Tel Aviv… Il talento narrativo di Hilu trasporta il lettore ai tempi della nascita dello Stato ebraico raccontando con abilità e con spirito polemico, luoghi e persone. In patria l’autore è stato criticato per l’immagine che dà di Isaac Luminsky e dei primi pionieri sionisti. Ma gli è stato anche riconosciuto un notevole sforzo di analisi sociologica nel mettere a fuoco le diverse mentalità dei due popoli al centro della trama e della storia passata e presente dello Stato d’Israele, quello ebraico e quello musulmano.