Annessioni: luci e ombre di una scelta controversa e epocale

Israele

di Aldo Baquis, da Tel Aviv

L’annessione della valle del Giordano e l’estensione della legge israeliana sugli insediamenti ebraici nella West Bank sono la nuova frontiera della politica del Governo di Netanyahu e Gantz. Ma si moltiplicano le pressioni internazionali su Gerusalemme perché rinunci del tutto ai suoi piani, o almeno ne riduca l’impatto sull’area. A rischio la pace con la Giordania. Cresce la rabbia palestinese

Determinato a lasciare una impronta indelebile di sé nella Storia di Israele, dai primi di luglio Benyamin Netanyahu intende procedere verso la estensione della legge israeliana sui 128 insediamenti ebraici in Cisgiordania e sulla valle del Giordano, inclusa la sponda settentrionale del mar Morto. Negli ultimi due anni ha ottenuto lo spostamento dell’ambasciata degli Stati Uniti da Tel Aviv a Gerusalemme e il riconoscimento Usa all’annessione delle alture del Golan, avvenuta 40 anni fa. Con la pubblicazione a gennaio del Piano Trump per il Medio Oriente ha avuto da Washington il nulla osta a procedere con annessioni in Cisgiordania. Quel progetto prevede inoltre la creazione – con una lunga serie di limitazioni e di imposizioni – di uno “Stato palestinese” in parte della Cisgiordania, a Gaza e in aree del Negev che Israele dovrà sgomberare. Gerusalemme con i suoi Luoghi Santi resterà unificata sotto sovranità israeliana, mentre i palestinesi avranno la loro capitale nel rione di Abu Dis che lambisce Gerusalemme est.

Per la leadership palestinese, progetti del genere non sono degni nemmeno di essere presi in considerazione. La loro realizzazione, avverte, rischia di scatenare una fiammata di violenze. Netanyahu e il suo partner di governo Benny Gantz (leader del partito Blu Bianco) reputano che il Piano Trump sia “una occasione storica” per Israele ed entrambi concordano sulla necessità che – anche per motivi militari – la valle del Giordano resti per sempre sotto sovranità israeliana. Oltre tutto, le elezioni presidenziali negli Stati Uniti sono vicine e il candidato democratico Joe Biden ha già chiarito che lui al Piano Trump si oppone nettamente.

All’inizio di giugno Gantz, attuale Ministro della Difesa, ha dunque ordinato al Capo di Stato Maggiore generale Aviv Kochavi di preparare le forze armate a tutti gli scenari possibili legati alla annessione. In realtà, quei preparativi avrebbero dovuto iniziare già a gennaio. Ma ancora adesso l’esercito non sa con esattezza quali siano i progetti di Netanyahu né ha visto carte geografiche dettagliate in merito. In teoria ce ne sono almeno tre: la prima è il “Piano concettuale” pubblicato da Trump come base per negoziati israelo-palestinesi di quattro anni, che prevede l’annessione ad Israele del 30 per cento della Cisgiordania, con 111 insediamenti e con la inclusione del 96 per cento dei coloni. Ma alcuni mesi fa, in campagna elettorale, Netanyahu ha pubblicato un’altra carta geografica che prevede la annessione ad Israele del 20 per cento della Cisgiordania: la valle del Giordano e il nord del mar Morto. In quell’area abitano appena 6-7 mila israeliani, su un numero complessivo di 430 mila coloni ebrei (Gerusalemme est esclusa).

Da destra è giunta una terza possibile carta di annessione che include oltre alla valle del Giordano anche una zona attorno a Gerusalemme fittamente abitata da coloni. Ma quale sarà in definitiva la decisione del premier, ancora non è noto.

 

Il problema delle enclavi

Da un esame delle tre carte geografiche balza subito agli occhi un problema comune: quello delle enclavi. Il Piano Trump lascia all’interno delle aree omogenee palestinesi 17 piccoli insediamenti ebraici. Gli abitanti potranno restare nelle loro case. Ma per gli spostamenti necessiteranno di continui accompagnamenti militari. Occorrerà approntare per loro strade che passino fuori da località palestinesi vicine. Il potenziale di frizioni e di attentati sarà costante. Esponenti del movimento dei coloni affermano di opporsi alla costituzione dello Stato palestinese prevista da Trump e denunciano che quegli insediamenti sono destinati ad essere “soffocati” dai vicini palestinesi. Preannunciano che lotteranno per impedirne la realizzazione. Non meno assillante la questione delle enclavi palestinesi che si troveranno all’interno delle zone annesse da Israele. Per chi da Tel Aviv vuole recarsi a Gerusalemme esistono due arterie principali: la superstrada 1 e la 443 che entra in Cisgiordania e corre a sud di Ramallah. Tutta l’area compresa fra quelle arterie passerà – secondo il piano Trump – ad Israele. All’interno ci sono otto villaggi palestinesi, il cui status è ancora nebuloso. Più grave ancora la situazione di Gerico (zona autonoma palestinese, parte dell’Autorità nazionale palestinese), che si troverà comunque all’interno di una enclave controllata da Israele. Si tratta di 43 mila abitanti (inclusa la vicina Aqbat Jaber). I palestinesi nella intera valle del Giordano sono almeno 70 mila. Le loro enclavi dovranno essere circondate da reticolati, più o meno vasti a seconda che includano o no le aree agricole. Ciò significa altri pattugliamenti per l’esercito, l’approntamento di strade apposite per il traffico palestinese, l’istituzione di posti di blocco e l’apertura di cancelli di accesso alle zone agricole. Una vita molto disagiata per chi vivrà all’interno e un volume di lavoro addizionale per i soldati israeliani. Netanyahu, in un’intervista al giornale Israel ha-Yom, ha intanto chiarito che i palestinesi delle enclavi non saranno considerati residenti in Israele e resteranno “soggetti palestinesi”. Non è escluso che su questo fronte Israele possa trovarsi esposto a critiche e a pressioni internazionali.

La profondità strategica

All’altezza di Natanya, la linea armistiziale con la Cisgiordania passa a circa 16 chilometri. Nessun Paese – specie se in perenne stato di belligeranza – può sopravvivere con una profondità strategica talmente esigua. Dal 1967 in poi tutti i responsabili militari israeliani hanno stabilito che il “confine di sicurezza” di Israele deve essere lungo il fiume Giordano, a circa 100 chilometri dal mar Mediterraneo. Là occorre una presenza militare israeliana permanente, per sventare possibili offensive da est e per bloccare eventuali avanzate nemiche sulle ripide alture che corrono ad ovest del Giordano. Là il dirigente laburista Igal Allon fece approntare una pista – la strada 80 – che corre in collina parallelamente al Giordano, a 10 chilometri dal fiume. Fu concepita per far affluire rapidamente rinforzi militari, nel caso.

Ma nel 1994, con una mossa geniale, Yizhak Rabin firmò con re Hussein un trattato di pace che, fra l’altro, includeva l’impegno della Giordania a prevenire qualsiasi atto di belligeranza dal proprio territorio verso Israele e anche l’impegno a non aderire mai a coalizioni regionali che avessero propositi aggressivi verso lo Stato ebraico. Da allora la cooperazione di sicurezza fra i due eserciti lungo il confine è stata stretta e proficua.

Di fatto Rabin aveva così assicurato ad Israele una “aggiunta” di profondità strategica equivalente all’intero territorio della Giordania. Centinaia di chilometri, fino all’Iraq. Il Piano Trump, in questi mesi, sta facendo vacillare due elementi fondamentali per la sicurezza di Israele in Cisgiordania: la cooperazione attiva dei servizi di sicurezza preventiva palestinese e quella della Giordania. Una annessione israeliana della valle del Giordano sarebbe vista da re Abdallah come una grave infrazione degli accordi di pace. Manifestazioni palestinesi di violenza in Cisgiordania potrebbero alimentare tensioni anche nel suo regno dove, negli ultimi mesi, spirano venti accesamente anti-israeliani legati, fra l’altro, a forniture di gas naturale dalla piattaforma marina Leviathan, a sud di Haifa. Queste forniture sono state denunciate da deputati del movimento islamico.

L’OPINIONE PUBBLICA

In parlamento il governo Netanyahu-Gantz ha una maggioranza solida. I progetti di annessione sono contestati solo dalla debole opposizione di sinistra. L’estrema destra, che si oppone a quella parte del Piano Trump che parla di una entità politica palestinese, plaude invece all’estensione della legge israeliana sugli insediamenti ebraici: una richiesta che veniva invocata da tempo. Quanto all’israeliano della strada, pare soddisfatto del livello di amicizia raggiunto da Netanyahu con l’amministrazione Trump. Nei sondaggi pubblicati all’inizio di giugno, la maggioranza relativa si diceva senz’altro compiaciuta per gli imminenti sviluppi sul terreno e non particolarmente in ansia per le possibili ripercussioni regionali.