Le vittime dell'attentato a Barkan

Prosegue la caccia all’uomo in Cisgiordania dopo l’attentato alla fabbrica di Barkan

Israele

di Stefano Scaletta
Tel Aviv – Prosegue la caccia all’uomo dell’esercito israeliano in Cisgiordania dopo l’attentato terroristico che nella giornata di ieri ha sconvolto il paese. Mobilitate nella ricerca le unità speciali della polizia di frontiera, le unità dell’antiterrorismo e le forze di sicurezza dello Shin Bet. L’attacco, verificatosi nella mattinata di domenica nella zona industriale di Barkan, presso gli uffici della fabbrica dove lavoravano le due vittime, Kim Levengrond Yehezkel (28) e Ziv Hagbi (35) (nella foto), è il terzo grave episodio in poche settimane, dopo l’omicidio di Ari Fuld (40), avvenuto vicino Hebron, e l’aggressione all’arma bianca di un passante a Gerusalemme. Secondo quanto riportato da fonti ufficiali IDF, il 23enne palestinese Ashraf Walid Suleiman Na’alwa, anch’egli impiegato nella fabbrica come elettricista, sarebbe già stato identificato come l’autore del brutale duplice omicidio.

Anche se al momento sembrano falliti i tentativi da parte di Hamas di costituire una propria infrastruttura del terrore in West Bank, l’eventualità di una nuova ondata di violenza, con il rischio concreto dell’apertura di un secondo fronte interno oltre alla Striscia di Gaza, allarma comunque i vertici militari e politici di Israele, che studiano le contromosse per evitare il precipitare della situazione come successo nel 2015 con l’Intifada dei coltelli. A preoccupare maggiormente le forze di sicurezza israeliane in Cisgiordania, secondo quanto afferma l’analista Yaniv Kubovich, non sarebbe tanto l’attività politica di Hamas, la cui capacità operativa sul territorio pare essere ancora limitata, bensì l’opera di “lupi solitari”, radicalizzatisi attraverso internet e i social media e più difficili da intercettare.

Nella zona industriale dove ieri mattina è avvenuto l’attentato lavorano 8.000 palestinesi, mentre sono circa 100.000 i palestinesi con permesso di lavoro in Israele. I vertici militari giudicano controproducente la politica di demolizione sistematica delle abitazioni degli attentatori poiché tale linea viene percepita dalla popolazione palestinese come una punizione collettiva e porta con sé il rischio concreto di una escalation della violenza in tutta la regione. Solo il mese scorso il generale Gadi Eisenkot ha paventato questa possibilità nel corso di una riunione del proprio gabinetto di comando, mentre il capo del servizio di sicurezza Shin Bet Nadav Argaman aveva lanciato l’allarme già nel mese di agosto.