di Dan Margalit
Riprendiamo un interessante articolo di Dan Margalit uscito su Ha’aretz il 1 novembre e tradotto da israele.net sulle manifestazioni palestinesi di protesta in occasione del centenario dalla Dichiarazione Balfour.
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Spudoratamente, ma con premeditazione, l’Autorità Palestinese ha chiesto al primo ministro britannico Theresa May di scusarsi per la Dichiarazione Balfour, il cui centesimo anniversario cadeva giovedì. Sia Yasser Arafat che il presidente palestinese Mahmoud Abbas (Abu Mazen) hanno compreso che sminuire il legame storico tra ebrei e Terra d’Israele fa il gioco dei palestinesi nel conflitto tra i due popoli. Parte del contenzioso ruota attorno al diritto alla terra, che deriva dalla sovranità sull’eredità dei nostri antenati. Nella sua autobiografia Trial and Error, Chaim Weizmann scrisse che Arthur James Balfour gli aveva chiesto perché non si potesse creare uno stato ebraico in Uganda. “Signor Balfour – rispose Weizmann – supponga che io le offrissi Parigi al posto di Londra: accetterebbe? “Ma dottor Weizmann – replicò il ministro degli esteri britannico – noi abbiamo già Londra”. “E’ vero – ribatté Weizmann – ma noi avevamo Gerusalemme quando Londra era una palude”. Questa è la ragione dell’ostinata pretesa di Arafat, che al vertice di Camp David del luglio 2000 sostenne che non è mai esistito un Tempio ebraico sul Monte del Tempio di Gerusalemme. E’ la stessa logica che guida oggi Abu Mazen nel denigrare la Dichiarazione Balfour, che rappresenta il punto di partenza del vasto riconoscimento internazionale del diritto degli ebrei a una sede nazionale in Terra d’Israele.
Le poche decine di parole che costituiscono la Dichiarazione di Balfour sono state minuziosamente analizzate più e più volte. Leonard Stein scrisse un libro di 681 pagine sulle parole della Dichiarazione Balfour, esaminando scrupolosamente tutte le bozze. Ma la grande importanza di quel testo sta nel fatto che ricevette la convalida internazionale quando venne inclusa nella risoluzione della Società delle Nazioni che affidava al Regno Unito il mandato di governare il territorio. Il tentativo in corso di mettere in dubbio la sua validità è assurdo. E’ così che il mondo agì a quell’epoca. Nel 1915, due anni prima della Dichiarazione Balfour, vennero inviate le lettere di Henry McMahon come una promessa ai nazionalisti arabi. Intanto Francia e Inghilterra si spartivano il Medio Oriente con l’accordo formulato nel 1916 dai diplomatici Mark Sykes e Francois Georges-Picot. La Dichiarazione di Balfour, sancita dalla conferenza di San Remo del 1922, ha basi ancora più solide.
Le manifestazioni contro la Dichiarazione Balfour inscenate dai palestinesi a Ramallah non hanno alcun valore pratico. Sono solo una questione di simboli e di puntiglio. La richiesta all’Inghilterra di scusarsi costituisce la dichiarazione ufficiale da parte dei palestinesi che non riconoscono la legittimità di nessuna presenza ebraica sovrana in Terra d’Israele, nonostante tutto ciò che viene detto sul diritto di “due stati per due popoli”. Significa affermare che, quand’anche i palestinesi scendessero a patti con l’esistenza (temporanea?) di Israele, per loro lo stato di Israele rimane un trapianto estraneo, una specie di illegale bastardo diplomatico.
Chi ha dei dubbi su questo, provi a immaginare una opposta azione israeliana del tipo: mentre gli Stati Uniti e il resto del mondo sono alla ricerca di una formula diplomatica che consenta la ripersa dei negoziati, Israele esige che ogni passo sia condizionato a scuse formali da parte araba e palestinese per il sostegno che i capi arabi palestinesi diedero ai nazisti durante la seconda guerra mondiale e per la dichiarata intenzione della dirigenza palestinese di istituire campi di sterminio per gli ebrei in Palestina. Questa posizione assunta dal mufti di Gerusalemme, Haj Amin al-Husseini, si tradusse in ignominia per gli arabi di Palestina. Ma è chiaro che se Israele richiedesse ora l’ammissione formale di quel vergognoso errore, il mondo intero e anche molti in Israele lo considererebbero un espediente per delegittimare la controparte e impedire il dialogo. Ed è proprio così che si presenta la richiesta di Abu Mazen a Theresa May.
Durante i suoi trentun anni di dominio sulla Palestina/Terra d’Israele, la Gran Bretagna voltò le spalle all’impegno preso con la Dichiarazione Balfour. Questo atteggiamento raggiunse il culmine con la promulgazione dei due Libri Bianchi del 1930 e del 1939, che avevano lo scopo di rendere molto difficile agli ebrei istituire la loro sede nazionale. Tuttavia, fedele alla tradizione britannica, Londra non ha mai revocato l’impegno preso con la Dichiarazione di Balfour, vero punto d’appoggio della diplomazia sionista che avrebbe portato nel 1947 alla risoluzione dell’Assemblea Generale delle Nazioni Unite per la spartizione del paese e l’istituzione di uno stato ebraico.
Israele non è nato grazie alla Dichiarazione di Balfour, ma essa è stata certamente il primo passo nella realizzazione del sogno di Theodor Herzl di ottenere un documento basato sulla “Legge delle Nazioni” che riconoscesse uno stato ebraico. Ecco perché è così importante per i nemici di Israele eliminarla, anche nel suo centesimo anniversario.
(Da: Ha’aretz, 1.11.17)