di Avi Shalom
È il giornale israeliano che esce in edicola da più tempo, esattamente 100 anni. Stiamo parlando di Ha’aretz, il quotidiano di area “liberal” dello Stato ebraico. Per l’occasione, la storica redazione è stata addobbata con festoni di palloncini bianco-azzurri e con una mostra di fotografie in cui si sono ripercorse le storie parallele del giornale e del Paese.
Si è così passati da momenti di giubilo – la proclamazione di indipendenza dello Stato ebraico (1948) e la vittoria militare nella Guerra dei Sei Giorni su eserciti arabi che minacciavano di annientarlo (1967) – allo sconforto durante la Guerra del Kippur (1973) e poi con l’uccisione di Yitzhak Rabin (1995).
In un messaggio ai dipendenti, l’editore Amos Schocken ha ribadito che in questo secolo Ha’aretz “non ha mai deviato dalle finalità enunciate nel primo numero”. I suoi valori – ha elencato – sono “il rispetto dei diritti umani, la costituzione di un libero mercato, l’aspirazione alla pace con i vicini arabi e il rispetto – ma non la sottomissione – verso l’ebraismo”.
Ha’aretz aveva mosso i primi passi nel 1919, in un periodo vorticoso: poco dopo la dichiarazione Balfour del 1917 (sul “Focolare ebraico”), con la fine della Prima Guerra Mondiale e con l’inizio della presenza britannica in Palestina. I fondatori erano attivisti sionisti immigrati dalla Russia dopo la rivoluzione bolscevica. Con sé portavano valori sionisti di stampo liberale, spesso in contrasto con la prevalente ideologia socialista di David Ben Gurion.
Già allora maturò quella vocazione di non conformismo che resta tipica del giornale. In fedeltà al dovere di informazione, nel 1977 Ha’aretz – pur vicino alle posizioni della “colombe” – non esitò a rivelare un’infrazione valutaria della moglie dell’allora premier laburista, Yitzhak Rabin. Provocò così le sue dimissioni che spianarono la strada alla sorprendente vittoria elettorale del Likud di Menachem Begin.
Pur capace di innovarsi tecnologicamente (oggi ha 110 mila abbonati, fra carta stampata e digitale) Ha’aretz ha mantenuto con orgoglio dal 1936 il suo logo caratteristico disegnato dalla grafica tedesca Franziska Baruch. Sostituiva un altro logo di eccezione disegnato da Zeev Jabotinsky, teorico del sionismo revisionista. Il suo particolare formato “berliner” lo rende poi riconoscibile a distanza in ogni edicola.
Malgrado l’occasione di festa, anche oggi Schocken non ha rinunciato a una nuova stoccata al governo di Benyamin Netanyahu che, a suo avviso, “è foriero di messianesimo, di nazionalismo e di frammentazione dello Stato di diritto”. Ai dipendenti ha invece detto, con fierezza – come riporta l’ANSA – : “Avete dato vita a un posto di lavoro dinamico, che sa esaminare criticamente il proprio prodotto e che offre un contributo significativo alla società”.