Chi ha paura dei Palestinian Papers

Israele

di Raffaele Picciotto

Nome in codice: Palestinian Papers, le carte palestinesi. Tema: i verbali riservati degli incontri avvenuti tra il 1999 e il 2010 tra israeliani, palestinesi e americani. Fonte: l’emittente televisiva del Qatar Al Jazeera e il quotidiano britannico The Guardian. Le notizie dello scoop del Guardian e di Al Jazeera sono state rese note anche su Internet rappresentando così una specie di caso Wikileaks di parte palestinese. È grazie a loro che siamo venuti oggi a conoscenza dell’esistenza di una mole incredibile di scartoffie e documenti redatti a commento e a verbale delle trattative, ovviamente riservate, finora intercorse tra le parti in causa del conflitto israelo-palestinese. Trattative diplomatiche i cui esiti non emergono quasi mai. Incontri tra capi di gabinetto i cui temi di discussione sono tenuti segreti. Con noi che spesso, leggendo i giornali o guardando i notiziari alla TV, inondati dai commenti più disparati su un incontro al vertice o su di un determinato fatto, ci siamo domandati: ma di che cosa avranno parlato veramente quei due (quei tre, quei cinque)? Per la gioia di cronisti, amanti di spy-stories e storici, i documenti svelati ci parlano di confini, di eventuali spartizioni, di territori contesi, di incomprensioni e idiosincrasie fra diplomatici, di Rasputin della politica, personaggi politici, ministri. Non solo. Da queste carte emergono commenti e considerazioni su colloqui e trattative tra Israeliani e Palestinesi, sia che siano stati fatti progressi negoziali sia che ci sia uno stallo nelle trattative -attribuito all’intransigenza di una o dell’altra parte. I Palestinian Papers offrono così un interessante squarcio su un decennio di trattative e di stop-and-go, e stupisce finora la scarsa rilevanza data dai media a queste carte.

Quelle rese pubbliche sono un totale di 1.684 documenti tra cui: 275 minuti di riunioni riservate; 690 e-mail; 153 rapporti e studi; 134 appunti e note per riunioni; 64 bozze di accordo; 54 mappe tabelle e grafici; 51 files non cartacei. Documenti di parte Palestinese soltanto, che riguardano gli incontri della delegazione Palestinese con Israeliani e Americani.

La diffusione di tali notizie è stata motivata dal desiderio accusare i propri leader sbandierando, urbi et orbi, le concessioni di parte Palestinese come se si trattasse di un tradimento e una svendita dei diritti dei Palestinesi all’odiato nemico Sionista. Come dire “guardate cari fratelli palestinesi che cosa fanno i nostri capi che ci stanno dando in pasto a Israele”.

Ma per un osservatore esterno, come siamo noi in questo momento, al di fuori della natura propagandistica dei commenti, si tratta di trarre interessanti informazioni sullo stato e sull’avanzamento delle trattative fino allo stallo odierno. È difficile in queste poche righe dare conto dell’ampiezza dei temi trattati e approfondire tutti gli aspetti delle trattative (i confini, Gerusalemme e i luoghi santi, i profughi , la sicurezza di Israele…). Abbiamo scelto di pubblicare solo alcune informazioni sulle trattative riguardanti i confini e lo scambio di territori. Innanzitutto chi legge deve tenere presente che si parte dal principio che nulla è concordato se tutto non è concordato. Una formula capestro questa che garantisce come qualsiasi offerta o accordo non siano mai da considerarsi definitivi se non nell’ambito di un accordo globale; la qual cosa quindi non escluderà che nuovi negoziati possano ribaltare in futuro la situazione. Ma veniamo a uno dei tanti incontri documentati nelle carte segrete. Il problema affrontato è quello dello scambio di territori, i cosiddetti swaps, partendo dalla linea verde (la linea armistiziale dal 1949 al 1967). Lo scopo è di definire una volta per tutte i confini fra Israele e la futura entità palestinese. Vengono gettate sul tavolo due diverse proposte: una di parte palestinese che propone lo scambio di territori dell’1,9%. e una di parte israeliana che prevede l’annessione del 6,8% del territorio della West Bank contro cessione del 5,5% del territorio Israeliano. Quest’ultima proposta vede un passaggio sicuro tra la striscia di Gaza e la Cisgiordania sotto sovranità israeliana e controllo palestinese.

La proposta israeliana è studiata in modo da includere (dati del 2008)  413.000 persone, residenti al di là della linea verde, all’interno del territorio israeliano, mentre potrebbe essere necessaria l’evacuazione di circa 56.000 persone dalle colonie isolate all’interno del futuro Stato palestinese (sempreché non si giunga ad un accordo diverso). Il 4 maggio 2008 viene tenuta una riunione al King David Hotel di Gerusalemme tra la delegazione israeliana presieduta da Tzipi Livni, allora Ministro degli Esteri e la delegazione palestinese condotta da Ahmed Qurei (Abu Ala) e Saeb Erekat (capo negoziatore palestinese); in questa riunione viene presentata la proposta palestinese.

Vediamo in dettaglio, a titolo esemplificativo, la parte di proposta relativa alla zona di Gerusalemme (Sud e Nord) e alla zona strategica di Latrun aiutandoci con le mappe presentate dai palestinesi. Va premesso che la Città Vecchia di Gerusalemme con i luoghi santi, non viene presa in considerazione da questa proposta in quanto la destinazione del cosiddetto Holy Basin viene affrontata con un negoziato ad hoc. Tuttavia, dalle mappe, si nota come, realisticamente, già a priori il quartiere ebraico della Città Vecchia (sotto occupazione giordana dal 1949 al 1967) venga assegnato ad Israele. Israele aveva dal 1949 al 1967 un’enclave isolata a Est, circondata da territori in mano araba: il Monte Scopus (Har Hatzofim), sede dell’Università Ebraica e dell’ospedale Hadassah.  Durante quel periodo, a causa della difficoltà di accesso entrambe le istituzioni costruirono due nuove sedi a Gerusalemme Ovest: l’Università un nuovo campus a Givat Ram, vicino alla Knesset e una nuova sede ad Ein Kerem dell’ospedale Hadassah (la cui sinagoga fu poi abbellita dalle celebri vetrate di Chagall). Dopo il 1967, Israele sviluppò una cintura di quartieri prevalentemente religiosi come Ramot, Ramat Shlomo e Maalot Dafna oltre a Ramat Eshkol,  e Givat Ha Tzarfatit (French Hill) per collegare Gerusalemme Ovest al Monte Scopus.

Con un certo realismo questi quartieri vengono quindi a far parte dei territori ceduti ad Israele. Inoltre in questa proposta sono inclusi a nord  i nuovi quartieri di Neve Yaakov e Pisgat Zeev (quest’ultimo sarà prossimamente raggiunto dalla nuova metropolitana leggera); Pisgat Zeev  verrebbe connesso a Givat Ha -Tsarfatit tramite un ponte, che bypassa la zona araba di Shuafat.

Anche a Sud appaiono due quartieri che verrebbero a far parte della Gerusalemme israeliana e cioè East Talpiot e Har Gilò (ricordate? A Gilò fu costruita una barriera, poi demolita, perché dalla vicina località di Bet Jalla cecchini palestinesi sparavano sui passanti).

Un’altra zona strategica è quella di Latrun; questa località (chiamata dai crociati Le Thoron des Chevaliers, dove Riccardo Cuor di Leone passò un Natale durante la guerra contro Saladino), rappresentò un cuneo arabo durante il quasi ventennio giordano, sede di un convento e di una stazione della Legione Araba (ora museo israeliano dei carri armati), e si trova circa a metà strada fra Tel Aviv e Gerusalemme. Il possesso arabo di questa località obbligava gli israeliani a fare una lunga deviazione per poter raggiungere Gerusalemme; oggi è attraversata dalla trafficata autostrada Tel Aviv- Gerusalemme. Prendendo atto della situazione, questa lingua di terra verrebbe a far parte di Israele.

La cittadina di Modiin Illit è una  propaggine religiosa di Modiin, la città dei Maccabei, poco distante dall’aeroporto Ben Gurion. Secondo la pianificazione strategica, Modiin -progettata dal celebre architetto Moshe Safdie-, dovrebbe diventare una città di 240.000 abitanti. Anche Modiin Illit sarebbe, con questa proposta, ceduta ad Israele.

Viene tuttavia specificato dai negoziatori palestinesi che le cittadine di Maalè Adumim e Ariel dovranno far parte del territorio palestinese. Maalè Adumim è una cittadina nuova, costruita a Est di Gerusalemme, ai margini del deserto della Giudea, ed è connessa a Gerusalemme da un’autostrada; dal punto di vista palestinese spezzerebbe la continuità territoriale fra la zona nord (Samaria) e la zona sud (Giudea) della West Bank. Ariel è invece una cittadina a circa 40 km a Est di Tel Aviv costituirebbe un cuneo israeliano all’interno della Samaria. A Tzipi Livni che chiede come può garantire la sicurezza a chi resterà dalla parte palestinese, Saeb Erekat fa capire che non vi potranno essere cittadini ebrei all’interno del territorio palestinese.

In data 31 Agosto 2008, il Primo Ministro Ehud Olmert presenta la sua controproposta ad Abu Mazen.

Questa volta il territorio da annettere ad Israele, come il lettore potrà vedere dalle mappe, comprende le summenzionate località di Maalè Adumim e Ariel. Inoltre comprende in più il blocco di Gush Etzion presso Betlemme (una colonia ebraica che fu conquistata dagli arabi nel 1948), e la propaggine di Givat Zeev  a Nord di Gerusalemme. Nella stessa area di Gerusalemme comprende anche il nuovo quartiere di Har Homa a Sud di Gerusalemme. Così, verrebbe preservata la continuità fra la parte meridionale e settentrionale del futuro Stato palestinese tramite una strada che attraverserebbe la zona Est della città fino ad arrivare a Ramallah; una strada di bypass unirebbe inoltre il blocco di Gush Etzion a Gerusalemme.

Quanto sopra esposto non esaurisce il resoconto delle trattative sui confini; un problema affrontato ma irrisolto, -sempre nell’ambito della definizione territoriale- è la richiesta israeliana di presidiare per ragioni di sicurezza la fascia di confine con la Giordania nella valle del Giordano. Le trattative attualmente sono in un momento di stallo e la gravità di questa sospensione delle trattative è dimostrata dalle dimissioni successive del capo negoziatore palestinese Saeb Erekat e dell’inviato americano George Mitchell.

Come si vede dagli esempi riportati esiste, al di là delle mosse propagandistiche, una reale possibilità di avvicinamento tra le due posizioni. Tuttavia oltre alle diverse problematiche che non abbiamo potuto affrontare neanche accennandole, resta un problema, forse il più serio; l’educazione delle giovani generazioni palestinesi all’odio verso il nemico e la celebrazione, sempre trionfale, di atti di “martirio”.

Se questo problema non verrà affrontato, la pace difficilmente si avvicinerà malgrado l’urgenza espressa in un’intervista alla CNN dal Presidente Israeliano Shimon Peres.