di Luciano Assin
Sta avvenendo un pò in sordina, vista la difficile situazione che sta affrontando il paese, ma il dato in questione è sicuramente uno dei pochi punti di luce dal 7 ottobre in poi. Israele ha oltrepassato l’asticella dei 10 milioni di abitanti, attualmente lo Stato ebraico ha più abitanti della Svizzera, l’Austria, l’Ungheria e la Bielorussia, diventando così un paese di medie dimensioni rispetto alla media europea. I numeri sono impressionanti, soprattutto se parliamo di un paese con uno stile di vita occidentale: dagli 872mila abitanti che aveva il paese nel 1948, anno della sua fondazione, Israele è cresciuto di milione in milione mediamente ogni 9 anni, dal 2006 la media si è accorciata ed ogni 5-6 anni il paese aggiunge un’altra tacca.
E non è soltanto una questione legata al settore religioso, che tradizionalmente fa più figli, come si potrebbe pensare a prima vista. Anche a Tel Aviv, città laica ed edonista per eccellenza, gli israeliani ci danno dentro e sfornano in media più di 2 figli per donna. Un altro dato notevole è la drastica diminuzione di natalità nel settore arabo, 2,91 per donna, praticamente la metà rispetto a 50 anni fa.
Al di là dei numeri questi dati forniscono una fotografia abbastanza fedele di quello che Israele prima della guerra: un paese ottimista, pieno di voglia di vivere e di energie positive con rosee prospettive per il suo futuro.
La guerra in corso ha sicuramente rimescolato le carte cambiando le priorità politiche e quotidiane, ma non penso che possa influenzare in maniera drastica la voglia di vivere degli israeliani e di conseguenza lo sviluppo demografico del paese.
La grossa sfida riguardo allo sviluppo demografico riguarda invece la gestione del territorio: il 40 percento della popolazione è concentrata a Tel Aviv e dintorni. La “collina della primavera” ha una densità di 8.673 abitanti per kmq, mille in più di quanto ne abbia Milano tanto per intenderci, e questo dato trasforma tutto il centro nevralgico del paese in una zona con un traffico perennemente congestionato sempre sull’orlo del collasso.
Il sogno visionario di Ben Gurion di far rifiorire il deserto si è avverrato solo in parte, ed il deserto del Negev, che corrisponde ad oltre del 50% del paese dovrà obbligatoriamente diventare la nuova frontiera dove indirizzare le energie economiche e le risorse umane necessarie.
Come ho scritto in apertura, la notizia in questione è in definitiva un piccolo barlume di luce, ma visto che siamo nel bel mezzo della festività ebraica di Hannukà il seguente brano di una delle più popolari canzoni della “festa delle luci” è più che mai appropriato: “ognuno di noi è una piccola fiammella, ma tutti insieme siamo una grande luce”.
Bringthemhomenow. Mentre scrivo queste righe 100 ostaggi sono ancora in mano ai nazi islamisti di Hamas. Secondo le fonti israeliane circa la metà sono già morti. Tutto questo senza che la Croce Rossa Internazionale abbia avuto la possibilità di controllarne la loro situazione di salute in barba a qualsiasi regola umanitaria. Né Ginevra né le varie ONG umanitarie hanno avuto il coraggio etico e morale di ammettere la loro negligenza. Anche il fallimentare governo israeliano è complice di questa situazione.Ogni giorno che passa senza la loro liberazione è un giorno di troppo e la loro crudele ed inutile prigionia dovrebbe pesare sulla coscienza di ognuno di noi.
(Foto: Ted Eytan via Wikimedia Commons)