di Luciano Assin
Il dado è tratto. Il governo e l’esercito hanno dato il via libera per il ritorno degli sfollati del nord alle loro case. Non tutti torneranno nell’immediato futuro, c’è chi ha avuto la casa irrimediabilmente danneggiata e c’è chi ha ancora troppi dubbi, incertezze e insicurezze per poter prendere una decisione responsabile e ponderata.
Oggi a Sasa abbiamo celebrato ufficialmente l’inizio del ritorno approfittando della festività di Tu be Shvat, il capodanno degli alberi, data nella quale in tutta Israele si piantano nuovi alberi, simbolo di rinascita e fiducia nel futuro. In questa prospettiva oggi abbiamo piantato più di cento alberi in quello che abbiamo chiamato il “viale della vita”, un sentiero che collega l’entrata di Sasa al cimitero del Kibbutz.
In una soleggiata ma ventosa mattina invernale decine di famiglie con bambini, anziani e haverim in generale hanno interrato olivi, alberi da frutto, vigne e quant’altro per simboleggiare la fine di oltre 15 mesi di esilio forzato e la volontà di riprendere più forti di prima la nostra esistenza. Nella sua semplicità la giornata si è rivelata una meravigliosa esperienza, pochi fronzoli e molto impegno sia per le nuove generazioni sia per chi probabilmente non vedrà il frutto di questo lavoro che si rivelerà fra diversi anni.
Roy Rashkes, il promotore dell’iniziativa, si è collegato al concetto ebraico di “Tikun Olam” traducibile in “riparazione o miglioramento del mondo”. In pratica è nostro dovere lasciare ai nostri figli un mondo migliore di quello che ci è stato dato. “Se rispondo all’odio con altro odio non faccio che aumentarlo. Se rispondo al dolore con altro dolore aumento il dolore. Agendo in modo opposto, portando amore invece di odio, sicurezza invece di paura, pace al posto della guerra, ecco che contribuisco anche solo in minima parte a migliorare il mondo” ha scritto sul giornale del Kibbutz. Parole che possono sembrare utopiche e avulse dalla realtà, ma Roy è un uomo ancora in grado di sognare e va ammirato per questo.
Rimanendo nel concreto c’è ancora molta incertezza, per lo più legata alla domanda se la tregua col Libano durerà e per quanto tempo ancora. Sempre rimanendo nel concreto la risposta più eloquente è arrivata dalle coppie con bambini in età scolare e pre scolare che ritorneranno in massa in quello che è diventato più di sempre un posto di frontiera dove un’invasione simile a quella successa al sud può sempre avvenire. E questo è un enorme segnale di speranza.
Stiamo finendo di superare una delle più grandi sfide affrontate da Sasa negli ultimi 40 anni, il tessuto sociale della nostra comunità ha retto nonostante la distanza da casa ed i problemi psicologici e logistici che questo distacco ha provocato. Un grosso motivo di speranza per un futuro migliore di quello odierno.
Per concludere eccovi il ritornello di una canzone israeliana che bene si collega a questa realtà, la canzone si chiama Brosh (il cipresso) composta da Ehud Manor e dal cantante Ariel Zilber.
Ecco il cipresso, solitario/Di fronte al fuoco e all’acqua/Ecco il cipresso, solitario/Alto fino al cielo/Un cipresso solitario ma possente/Se solo potessi apprendere/Il comportamento di un singolo albero.
(Foto: © Kibbutz Sasa)