Diario minimo (di un conflitto). Hezbollah – Israele: lo scontro è inevitabile, perché Unifil ha fallito

Israele

di Luciano Assin

Hezbollah si finanzia col commercio della droga, oltre che con gli aiuti iraniani. Sotto gli occhi (ciechi) di UNIFIL si è armata, ha costruito tunnel fin sotto al confine israeliano e si preparava a un altro 7 ottobre, ancora più sanguinoso, nel Nord di Israele

 

“Dal settentrione si rovescerà la sventura”. La frase in questione è una profezia di Geremia (quando ancora essere profeti era una professione seria e rispettata). Dal 70 d.c., con la distruzione del santuario di Gerusalemme, l’ebraismo stabilì che il dono della profezia diventasse esclusiva degli stolti, destinati così a rimanere inascoltati. Lungi dall’essere un profeta, proprio sulle pagine di Bet Magazine-Mosaico ho affermato per almeno due volte che una guerra su vasta scala con Hezbollah era inevitabile così come avevo denunciato l’inutilità della missione Unifil. Sperando di proseguire in questa serie positiva, ecco la mia sintetica analisi su come siamo arrivati a questo punto e quali potrebbero essere i possibili sviluppi.

Hezbollah. Nato come movimento di resistenza contro l’occupazione israeliana, Hezbollah è diventato in breve tempo un’organizzazione ibrida comprendente una componente militare affiancata da enti civili che si occupano di educazione, welfare e assistenza di vario genere. Di matrice sciita, il “partito di Dio” non rappresenta assolutamente né tutti gli aderenti a questa corrente dell’Islam, né chiaramente tutti i libanesi che sono composti da diverse minoranze: sunniti, cristiani, drusi, ecc. Per garantire la corretta gestione di tutte queste attività Hezbollah si finanzia col commercio della droga oltre che chiaramente con gli aiuti iraniani. Diverse nazioni la considerano un’organizzazione terroristica e l’Argentina ha emesso dei mandati di cattura verso alcuni dei suoi membri in seguito a due sanguinosi attentati avvenuti nel 1992 e nel 1994, che causarono oltre cento morti.

La situazione attuale. Dopo la seconda guerra del Libano del 2006, la frontiera settentrionale israeliana ha conosciuto un periodo di calma e prosperità senza precedenti. Israele non si faceva illusioni sulle reali intenzioni di Nasrallah ma pensava che la reciproca deterrenza fosse sufficiente per mantenere lo status quo. Si sapeva che parte delle abitazioni erano adibite a depositi di armi ed esplosivi così come era chiaro a tutti il piano di conquista della Galilea da parte dei miliziani sciiti, progetto per altro esposto pubblicamente dal leader libanese in diverse occasioni. Solo l’attuale operazione militare in corso ha rivelato le dimensioni dei preparativi e degli armamenti già immagazzinati in bunker e gallerie pronti ad entrare in azione in breve tempo. Stiamo parlando di decine se non centinaia di chilometri di tunnel sotterranei già equipaggiati con armi, uniformi, jeep, moto e altro ancora. Il piano d’invasione prevedeva che i miliziani arrivassero alla spicciolata in abiti civili per non destare sospetti, per poi vestirsi ed equipaggiarsi all’interno dei sotterranei. Un’organizzazione del genere non poteva passare inosservata alla forza di peacekeeping che avrebbe dovuto fare rispettare la risoluzione ONU 1701 che prevedeva la smilitarizzazione del Libano del sud e del trasferimento dei miliziani di Hezbollah a nord del fiume Litani.

Modalità di combattimento. Anche in guerra esistono delle logiche e dei modi di comportamento. Nasrallah ha cercato per molto tempo di evitare di colpire obiettivi civili conscio del fatto che azioni del genere avrebbero inevitabilmente portato delle conseguenze negative anche sui civili libanesi. In questo momento l’intensità dei combattimenti è tale che le città israeliane sono ormai parte degli obiettivi da colpire, ma scuole e ospedali libanesi non sono stati coinvolti nei preparativi sciiti e quindi non sono stati sottoposti a bombardamenti da parte israeliana; un fatto questo che sottolinea come sia possibile oltre che desiderabile, escludere la popolazione civile in maniera considerevole.

Escalation o guerra preventiva? Ecco uno dei grandi paradossi di questa guerra. È giusto che, sapendo i preparativi del nemico, Israele abbia preso l’iniziativa risparmiando così migliaia di vittime o bisogna aspettare passivamente l’attacco avversario prima di reagire? Essendo parte in causa opto decisamente per la prima possibilità, ma noto con dispiacere che buona parte del mondo occidentale vorrebbe che io collaborassi coi miei potenziali carnefici. Mi dispiace per questi ultimi, preferisco rimanere antipatico ma vivo, invece di essere commiserato dopo la mia prematura scomparsa.

Possibili sviluppi. In base alla situazione attuale mi azzardo a fare le seguenti previsioni. È auspicabile che Israele riesca a concludere le operazioni di terra prima dell’inverno, dove il freddo e le piogge porterebbero ad una guerra di posizione e logoramento. Senza un accordo ragionevole che abbia delle garanzie credibili (cosa in questo momento improbabile) l’esercito israeliano si troverà obbligato a creare una fascia di sicurezza di 4-5 chilometri entro i quali l’accesso ai civili sarà enormemente limitato. Per ridimensionare al massimo l’influenza dell’asse sciita iraniano sarà necessario ridurre al massimo le entrate economiche dell’organizzazione. Hezbollah ha creato una società finanziaria, Bayt al Mal, che di fatto è la principale fonte economica da cui dipende quasi totalmente. Si tratta di uno sforzo politico in cui dovranno essere coinvolti americani, europei e paesi arabi moderati.

Sinwar. La morte del leader di Hamas può aprire nuove possibilità, ma le numerose incognite e le infinite variabili non permettono per il momento di risolvere l’equazione. Israele ha sempre avuto difficoltà a trasformare i suoi successi militari in radicali cambiamenti politici. Ho dei seri dubbi che l’attuale assetto politico sia in grado di prendere decisioni impopolari ma coraggiose.

Bringthemhomenow. Mentre scrivo queste righe, 101 ostaggi sono ancora in mano ai nazi-islamisti di Hamas. Secondo le fonti israeliane circa la metà sono già morti. Tutto questo senza che la Croce Rossa Internazionale abbia avuto la possibilità di controllarne la situazione di salute in barba a qualsiasi regola umanitaria. Né Ginevra né le varie ONG umanitarie hanno avuto il coraggio etico e morale di ammettere la loro negligenza. Anche il fallimentare governo israeliano è complice di questa situazione. Ogni giorno che passa senza la loro liberazione è un giorno di troppo e la loro crudele ed inutile prigionia dovrebbe pesare sulla coscienza di ognuno di noi.