Ebrei ultraortodossi

Diario minimo (di un conflitto). Obiettori di (in)coscienza

Israele

di Luciano Assin
Una frattura pressoché insanabile si è formata all’interno del mondo religioso ebraico in Israele dopo il pogrom del 7 ottobre. Da una parte le “kippot srugot” vale a dire il settore religioso parallelo a quello laico che è presente in tutti i campi della società israeliana e riesce a conciliare lo studio della Torah con la vita quotidiana. Dalla parte opposta il settore Haredì, traducibile un pò superficialmente come ultra ortodosso, che pone invece lo studio delle Sacre Scritture come scopo principale autoescludendosi così in maniera considerevole dalle problematiche quotidiane della società israeliana. Prima fra tutte l’esonero totale dal servizio militare obbligatorio.

In un periodo come quello attuale nel quale il paese è in guerra da 15 mesi, già adesso è da considerarsi il conflitto più lungo in assoluto mai combattuto da Israele dal giorno della sua fondazione,  è sempre più evidente il distacco e l’isolazionismo dei “timorati di Dio” dal resto della società israeliana.

Uno dei punti più bassi di questa diatriba che accompagna il paese dal momento della sua nascita è stato toccato questa settimana dal deputato Itzhak Pindarus, capogruppo del partito haredì Yahadut haTorah il quale durante un convegno ha affermato: “Non posso guardarli negli occhi, ma vedo il prezzo che pagano allontanandosi dalla religione, e questa è la risposta perché io non mi trovo fra loro”.

È interessante sottolineare che le statistiche parlano di un buon 8% di haredim che abbandonano la retta via e abbandonano la religione senza per questo aver fatto un solo giorno di servizio militare.

Un’affermazione del genere, com’era prevedibile, ha scatenato reazioni indignate soprattutto in campo religioso. Il peso dell’attuale conflitto è sopportato principalmente dai membri della riserva, uomini e donne dai 21 ai 40 anni, che hanno combattuto mediamente per centinaia di giorni durante il 2024. Oltre a rischiare la vita quotidianamente i riservisti devono occuparsi delle proprie famiglie e del proprio lavoro, un’impresa pressochè impossibile in un paese dove il costo della vita è fra i più alti del mondo occidentale.

Il prezzo pagato in vite umane fino ad ora è tale che già è evidente che il numero dei nuovi arruolati non basterà a rimpiazzare le perdite, questo significa che verrà allungato sia il periodo di servizio obbligatorio sia l’età di uscita dalla riserva. Un peso ancora maggiore per quella parte del paese che contribuisce più di tutti allo sviluppo economico e tecnologico del paese.

È quindi inconcepibile come in un momento come questo tutta la leadership del mondo haredì si opponga in blocco a qualsiasi modifica dell’attuale status quo, che esonera di fatto tutti i giovani del settore. I principali rabbini hanno sottolineato l’intoccabilità di questo privilegio allargandolo anche a chi non studia nelle Yeshivot, adducendo il fatto che l’esercito è un cattivo maestro e porterebbe la gioventù ad uscire dal seminato. In pratica il loro stesso establishment ammette che più che la fede è l’indottrinamento quotidiano l’unico collante che li tiene uniti.

Dall’alto della loro arroganza gli ultra ortodossi dividono il mondo religioso in fedeli di serie A e serie B, autopromuovendosi come i più puri rappresentanti dell’ebraismo. Il malcontento all’interno delle kippot srugot ha ormai superato il limite di tolleranza, la percentuale di caduti è praticamente il doppio rispetto alla loro percentuale in seno alla popolazione, e il timore del varo di una legge che permetta di esentare definitivamente i giovani haredim potrebbe rappresentare la classica goccia che fa traboccare il vaso.

I deputati ultra ortodossi sanno che senza il loro appoggio il governo di Netanyahu è destinato a cadere, cosa assolutamente in contrasto col loro principale interesse: ricevere quanti più fondi statali per il mantenimento e il rafforzamento di tutte le strutture educative,  sociali e assistenziali create in questi decenni. In questo estenuante braccio di ferro si arriverà presumibilmente ad un compromesso che permetta ad entrambi i contendenti di salvare la faccia.

Per il momento le uniche armi, alquanto spuntate, in mano all’esercito e al governo per  arruolare questi improbabili obiettori di (in)coscienza sono sanzioni economiche e detentive, mai veramente attuate in passato. D’altra parte una famosa locuzione ebraica afferma: “senza pane non c’è Torah”. È tutta una questione di soldi.

 Bringthemhomenow. Mentre scrivo queste righe 100 ostaggi sono ancora in mano ai nazi islamisti di Hamas. Secondo le fonti israeliane circa la metà sono già morti. Ogni giorno che passa senza la loro liberazione è un giorno di troppo e la loro crudele ed inutile prigionia dovrebbe pesare sulla coscienza di ognuno di noi.