di Luciano Assin
Dopo 471 lunghissimi ed estenuanti giorni è iniziata una nuova fase nel conflitto fra Hamas ed Israele, lo spiraglio di luce che si è aperto è ancora troppo stretto per poter intuire il futuro di questa trattativa. Con la speranza che Romi, Doron e Emily siano effettivamente le rondini che annunciano la primavera ecco le mie considerazioni al riguardo.
Hamas ha il controllo della striscia. Nonostante i gravi colpi inferti all’organizzazione i successori di Sinwar stanno dimostrando di aver ancora in piedi una struttura logistica e di comando in grado di coordinare il rilascio degli ostaggi secondo il ruolino di marcia concordato. Non è affatto un dato di poco conto.
Gli episodi di gioia da parte dei gazawi apparsi su tutte le reti televisive non lasciano presagire niente di buono. È difficile pensare che non ci sia una reale identificazione fra gli abitanti della striscia ed i loro dirigenti che con le loro scelte scellerate hanno causato così tanti danni e lutti ad una popolazione a questo punto non così innocente. Dopo queste immagini la speranza di un possibile accordo anche solo di non belligeranza, non può che allontanarsi.
Hamas ha cercato fino all’ultimo momento di non rispettare fino in fondo gli accordi sottoscritti. È una prassi normale dal loro punto di vista: tirare la corda il più possibile per vedere quanto sia disposta a cedere la controparte su dettagli a prima vista insignificanti. Nel passato Israele ha sempre “abbozzato” rivelandosi così un soggetto malleabile e debole. La tolleranza zero dimostrata oggi dovrà essere adottata sempre per non ritornare al punto di partenza.
La Croce Rossa ha fallito il suo compito. In oltre 15 mesi di conflitto non è mai riuscita a mettersi in contatto con gli ostaggi per accertarsi delle loro condizioni di salute e garantire loro le cure mediche necessarie, riducendo il loro ruolo ad un servizio taxi fra Gaza e Israele. Cosa ancora più grave e scandalosa non ha mai denunciato Hamas per questa continua mancanza delle più elementari regole umanitarie.
Se Trump è veramente il “game changer” che ha obbligato Bibi ad accettare un accordo che poteva essere raggiunto già quest’estate significa che il premier israeliano non è in grado di resistere alle pressioni esterne come sostengono i suoi critici. E questo è un grosso problema per un paese in perenne stato di allerta.
Il 19/1/2025 verrà ricordat0 in Israele come un misto di gioia, tristezza, lutti (tanti) e speranze (poche), il tutto accompagnato da tanta incertezza. Ci aspettano ancora mesi difficili, il prezzo da pagare sarà alto e per molti insopportabile. Ma è un costo indispensabile per cominciare a sanare una frattura non ancora incurabile che si è formata all’interno della società israeliana.
Bentornate a case Romi, Doron ed Emily. Almeno per un giorno tutto il paese ha avuto la possibilità di un pianto di gioia, un pianto liberatorio che ci siamo ampiamente meritato.