di Redazione
È morta a 61 anni Liora Argamani, la madre di origini cinesi di Noa Argamani, l’ostaggio di Hamas liberato di recente. È morta di un tumore al cervello, ha comunicato martedì l’ospedale di Tel Aviv dove era ricoverata.
Che storia quella di Liora e di sua figlia Noa, la ragazza simbolo di quell’atroce 7 ottobre rimasto impresso nell’immaginario collettivo. Come dimenticare le immagini di lei trascinata via in moto, lo sguardo perso e sconvolto, le urla disperate che chiedevano aiuto e il volto proteso verso un inferno senza nome e senza perché.
Noa, 26 anni, la giovane dal volto esotico, rapita dal rave nel deserto Supernova durante un massacro in cui 3.000 terroristi hanno fatto irruzione in Israele via terra, aria e mare, uccidendo circa 1.200 persone, prendendo 251 ostaggi e perpetrando atti di brutalità e violenza sessuale. Noa, la bella ragazza che, come altre incolpevoli vittime del 7 ottobre, sembra essere il personaggio di un film che ci ricorda come la vita possa riservare prove atroci e disumane mai prima immaginabili.
Nella storia di Noa è racchiusa tutta questa imprevedibilità: dall’orrore del suo sequestro, al raccapriccio della prigionia, alla speranza di una liberazione e alla gioia incontenibile del tanto atteso rilascio. Fino alla felicità inaspettata e incredibile di poter riabbracciare i propri cari, di tornare a una vita normale, riabbracciare la sua cara madre afflitta da una grave malattia ma che non ha mai perso la speranza di poter rivedere l’amatissima figlia, una forza che l’ha tenuta in vita fino all’ultimo momento.
Poche ore dopo la liberazione, Noa si è riunita alla madre, tenuta in vita dallo straordinario staff medico dell’ospedale Ichilov che negli ultimi mesi ha fatto il possibile per mantenerla in uno stato che le consentisse di comunicare. L’ospedale Ichilov ha affermato in una nota che Liora «ha trascorso i suoi ultimi giorni insieme alla figlia Noa, tornata dalla prigionia, e alla sua famiglia più stretta». E ancora: «Trasmettiamo la richiesta della famiglia di rispettare la sua privacy in questo momento difficile», ha dichiarato.
Come aveva riportato The Times of Israel lo scorso novembre, Liora aveva fatto appello pubblicamente attraverso uno straziante videomessaggio per il rilascio della figlia, dicendo che non le restava molto da vivere implorando di poter vedere Noa prima che morisse. Ha anche rilasciato interviste ai media e scritto lettere ai leader mondiali in cui chiedeva il loro aiuto. «Ho il cancro, un cancro al cervello», aveva detto Argamani nel messaggio video, seduta nell’appartamento temporaneo della famiglia a Tel Aviv, vicino all’ospedale. «Non so quanto tempo mi rimane. Vorrei avere la possibilità di vedere la mia Noa a casa».
La giovane era apparsa in un video propagandistico di Hamas lo scorso gennaio. Lei era prima insieme ad altri due ostaggi e chiedeva al governo israeliano di poter ritornare a casa. In una seconda fase invece si vedeva da sola, raccontava che gli altri due compagni erano rimasti uccisi in un raid israeliano. Un terzo messaggio, ma solo audio è stato fatto recapitare da Hamas, ma la famiglia ha chiesto di non divulgarlo.
Come riporta ancora il Times of Israel, sabato sera 29 giugno, Noa ha parlato in un video proiettato durante una manifestazione a Tel Aviv, in cui si chiedeva al governo di raggiungere un accordo per garantire il rilascio degli ostaggi rimasti. «Come figlia unica dei miei genitori, come figlia di una madre malata terminale, la cosa che mi ha occupato di più durante la prigionia è stata la preoccupazione per i miei genitori», ha detto, aggiungendo che è «un grande privilegio essere al fianco di mia madre, dopo otto mesi di incertezza».
Una riflessione su questa storia
La storia di Noa e di sua madre Liora è un potente promemoria della resilienza umana, del coraggio di fronte alle avversità e dell’amore che trascende persino i confini della vita e della morte. Noa, con la sua giovinezza strappata e la sua successiva liberazione, incarna non solo il dolore e la sofferenza di Israele e del popolo ebraico, ma anche la speranza, la forza e la possibilità di rinascita.
Liora, da parte sua, ha mostrato una forza inimmaginabile. Malata e consapevole che il tempo stava per finire, ha lottato con ogni fibra del suo essere per vedere sua figlia ancora una volta. Il suo appello disperato ha toccato cuori in tutto il mondo, ricordandoci quanto possa essere potente l’amore di una madre.
Questa vicenda ci obbliga a riflettere sulla fragilità della vita e sulla forza delle connessioni umane. In questo terribile conflitto segnato dalla violenza e dall’odio, la storia di queste due donne insegna che, anche nei momenti più bui, è possibile trovare la luce, un motivo per continuare a lottare, e forse, una ragione per credere ancora nell’umanità.