di David Zebuloni
A meno di un anno dall’ultima volta, e per la quarta volta in meno di due anni, il popolo israeliano torna alle urne – domani, il 23 di marzo. A turbare gli elettori e i media locali, è una semplice domanda: quando avverrà il prossimo girone elettorale? Abituati a votare con una frequenza semestrale, gli israeliani temono di non riuscire più ad uscire da questa lunga crisi governativa. Ci sarà dunque un quinto girone e poi un sesto? Oppure il quarto girone si rivelerà decisivo e riuscirà a ripristinare la serenità all’interno della Knesset? Rispondere a queste domande risulta difficile, se non impossibile. I sondaggi mutano di giorno in giorno e vi sono decine di scenari diversi che potrebbero stravolgere i risultati. Eppure, esiste qualche dato importante che può indicarci la strada e aiutarci a capire meglio l’attuale quadro politico israeliano.
Come nelle elezioni precedenti, anche questa volta il fulcro del problema risulta essere il rapporto astioso che vi è tra i partiti di destra. Tutto gira attorno ad una questione irrisolta: Bibi sì o Bibi no? Tutto inizia e finisce con lui: l’uomo più potente della politica israeliana, Benjamin Netanyahu. Secondo l’ultimo sondaggio pubblicato da N12, Netanyahu detiene 32 mandati, un numero importantissimo, che non vede rivali, ma insufficiente per riuscire a formare una coalizione solida di 61 mandati assolutamente necessari per governare il Paese. In suo soccorso vengono dunque i partiti ortodossi e ultraortodossi, che insieme aggiungono al blocco di Netanyahu altri 15 mandati. Anche il partito di estrema destra di Bezalel Smotrich potrebbe aggiungere al blocco 4 mandati, se solo non fosse che la sua presenza in parlamento è messa in dubbio dalla soglia di sbarramento che rischia di non superare.
Ed ecco il vero dramma di Benjamin Netanyahu: i partiti di Gidon Saar e di Naftali Bennett, due partiti dichiaratamente di destra e dichiaratamente contro il governo attuale, potrebbero risolvere il tutto aggiungendo rispettivamente 9 mandati al blocco di Netanyahu, permettendo così al Primo Ministro in carica di continuare a governare indisturbatamente per altri quattro anni. Tuttavia, entrambi sembrerebbero non averne alcuna intenzione. Saar, infatti, ha ripetutamente dichiarato di non voler sostenere la presidenza di Netanyahu per alcun motivo, mentre Bennett non ha rilasciato dichiarazioni troppo esplicite a riguardo, ma ha ripetutamente affermato che preferirebbe sostituire l’attuale Premier.
Un altro dramma della politica israeliana è quello della sua sinistra storica. Se il blocco di destra si rappacificasse e unisse le forze, infatti, potrebbe tranquillamente superare i 61 mandati. Quello di sinistra, invece, pare proprio non esserne in grado. Secondo molti opinionisti politici, il blocco di sinistra pare essere in via di estinzione. Il partito laburista di Rabin, oggi sotto la guida di Meirav Michaeli, ottiene nei sondaggi 6 soli mandati. Il partito di estrema sinistra di Nitzan Horowitz, invece, si batte per superare la soglia di sbarramento e ottenere così 4 mandati. Complessivamente dunque, e nel migliore dei casi, i due partiti potrebbero ottenere dieci mandati. A bilanciare dunque il numero ridotto di seggi nel blocco di sinistra vi sono Yair Lapid e Avigdor Lieberman, storicamente appartenenti al blocco di centro, ma ribattezzati di sinistra per via delle circostanze. Lapid conduce con 18 mandati, seguito da Lieberman con 7 mandati. Ad essersi quasi estinto è anche il partito di Benny Gantz, che fino al terzo girone elettorale si è battuto testa a testa contro Netanyahu per la presidenza, mentre oggi si batte per superare la soglia di sbarramento.
A proposito della famigerata soglia di sbarramento, vale la pena soffermarsi un attimo e precisare che, in queste elezioni più che mai, potrebbe fare il bello e il cattivo tempo all’interno della Knesset. Basta infatti che uno dei partiti citati non ricevesse il numero di voti necessari per superare la soglia di sbarramento per entrare di diritto in parlamento, che tutti i blocchi ipotetici formati dai sondaggi verrebbero in un attimo annullati. Gli israeliani potrebbero quindi tornare alle urne per la quinta volta e rieleggere i propri rappresentati con la triste convinzione che nulla possa ormai salvare la crisi governativa: un prezzo da pagare in nome della democrazia. L’unica, peraltro, in Medio Oriente.