di Paolo Castellano
Per Israele e per molti dei suoi sostenitori, la nuova normativa dell’Unione europea che impone l’etichettatura separata per le merci che provengono dagli insediamenti oltre confine, sono misure discriminatorie che ricordano alcuni episodi della lunga storia europea in cui l’antisemitismo venne istituzionalizzato. Tali riflessioni non tendono alla provocazione ma ad una presa di coscienza. Mercoledì 11 novembre in una decisa dichiarazione il ministero degli Esteri israeliano ha affermato che l’Unione europea ha un atteggiamento discriminatorio nei confronti di Israele e ignori tutte le altre controversie territoriali sparse per il mondo. Benjamin Netanyahu ha definito questa decisione come “una vergogna per l’Europa. Il premier israeliano Benyamin Netanyahu ha detto che «l’Unione europea deve vergognarsi. È una decisione ipocrita e che rivela un doppio atteggiamento: si applica solo ad Israele e non ad 200 conflitti nel mondo». La nota era stata sollecitata ad aprile da 16 governi Ue, compresa l’Italia. È prevista l’indicazione di provenienza da “insediamenti”.
Lo Stato ebraico ha minacciato «implicazioni» nei rapporti con l’Ue e convocato l’ambasciatore a Bruxelles. «Ci rammarichiamo che l’Ue abbia scelto, per ragioni politiche, di compiere un passo così discriminatorio ed eccezionale, ispirato dai movimenti di boicottaggio, specialmente in un momento in cui Israele sta affrontando un’ondata di terrorismo contro i suoi cittadini» ha scritto il ministero degli Esteri israeliano. Si tratta di «una questione tecnica e non politica» ha replicato il commissario europeo per l’Euro, Valdis Dombrovskis, «l’Ue non sostiene in alcun modo boicottaggi o sanzioni verso Israele».
Con Israele due pesi, due misure
Come riporta il The Times of Israel, i funzionari della UE hanno respinto tale accusa derubricandola come emotiva e irrilevante, rispondendo che le linee guida sono semplicemente un dovere di lunga data della politica europea e sono volte a tutelare il diritto del consumatore di sapere se una merce è stata prodotta entro i confini precedenti al 1967 di Israele o in un insediamento. Nell’analizzare il caso sul doppio standard europeo, i diplomatici israeliani hanno scovato un improbabile alleato: gli attivisti per l’autoregolamentazione del Sahara occidentale, un territorio ubicato in Nord Africa occupato dal Marocco. Il governo in esilio dai propri confini afferma che la sua terra è sotto occupazione straniera.
L’Assemblea Generale delle Nazioni Unite ha approvato questa posizione nel 1979, stabilendo che il Marocco avesse occupato con la forza l’ex colonia spagnola e ha decretato il “diritto inalienabile del popolo del Sahara Occidentale” di avere l’indipendenza. Nel 2005, l’Unione europea ha chiesto una risoluzione del conflitto che garantisse la “autodeterminazione del popolo del Sahara Occidentale”. Ma nonostante le obiezioni formali avanzate in questi anni dai Paesi Bassi e dalla Svezia ad etichettare i prodotti del Sahara occidentale marocchino, l’Unione europea ha emanato delle linee guida in materia di etichettatura paragonabili a quelle pubblicate mercoledì riguardo ai beni prodotti in Cisgiordania, Gerusalemme Est e il Golan Heights. Le merci realizzate in queste zone dovrebbero essere contrassegnate per specificare che sono state confezionate da coloni israeliani o palestinesi.
“Quando si tratta di prodotti provenienti dalla Palestina e dal Sahara occidentale, c’è chiaramente un doppio standard nel comportamento dell’Unione europea, e ciò sta erodendo la sua credibilità su tutta la linea”, ha detto Erik Hagen, un geografo norvegese e attivista nonché ex presidente del Western Sahara Resource Watch, un gruppo di pressione.
Gli accordi commerciali firmati nel 2000 e nel 2012 tra il Marocco e l’Unione europea non comprendono alcuna menzione alla terra occupata. Eppure, nel 2012, il Consiglio d’Affari esteri dell’Unione europea ha emesso una linea guida specificando che “Tutti gli accordi tra lo Stato di Israele e l’UE debbano inequivocabilmente indicare in modo esplicito la loro inapplicabilità nei territori occupati da Israele nel 1967”.
I funzionari israeliani hanno dichiarato che tali misure sono solo il preludio di un più ampio boicottaggio di Israele e hanno ripetutamente paragonato questo atteggiamento a quello perpetuato nei confronti degli Ebrei durante l’Olocausto. “La nostra memoria testimonia cosa sia accaduto quando l’Europa ha etichettato i prodotti ebraici,” ha detto il primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu. Nel mese d’aprile , l’ex ministro degli Esteri Avigdor Lieberman ha dichiarato che “l’Europa potrebbe anche etichettare i prodotti israeliani con una stella gialla”, riferendosi al simbolo che gli ebrei nell’Europa occupata dai nazisti erano obbligati ad indossare.
Il Sahara occidentale non è l’unica disputa territoriale su cui l’Unione europea non sia riuscita ad imporre la doppia etichettatura: ricordiamo infatti il Tibet governato dalla Cina, il Kashmir controllato dall’India e il nord di Cipro che è occupato dalla Turchia. Tutti questi casi secondo l’Europa non meritano etichette speciali. E allora non c’è da meravigliarsi dell’indignazione israeliana.
Sul Corriere della Sera di oggi Pier Luigi Battista ha scritto: “Esistono nel mondo un’infinità di territori contesi ma esiste solo un caso in cui le istituzioni del mondo diventano fiscali: quando c’è di mezzo Israele. E’ il solito trattamento speciale. La solita tentazione di boicottaggio. La decisione europea scredita l’idea di Europa”.
Interessante anche il punto di vista dell’ADUC–Associazione Diritti Utenti e Consumatori, che lungi dall’essere un organismo politico, critica la risoluzione come un atteggiamento parziale e poco rispettoso dei consumatori. “La Commissione europea usa un peso e due misure? – si legge nel comunicato -.Scevri da ideologie e partigianerie, ci sembra proprio di si’. Se poi dovessimo scegliere tra il petrolio dell’Arabia Saudita e i pompelmi israeliani, non ce ne voglia nessuna tifoseria, ma e’ evidente che scegliamo i pompelmi.