di Roberto Zadik
Ex ostaggio dei terroristi di Hamas, rapita il 7 ottobre, Gabriella Leimberg ha raccontato al Times of Israel la sua esperienza, un anno dopo la sua liberazione avvenuta il 27 novembre 2023
Il dolore del rapimento, la perdita dei famigliari, la violenza fisica e psicologica inflitta dai terroristi da quel 7 ottobre e la solitaria angoscia di quei giorni infiniti. Cosa hanno vissuto e vivono gli ostaggi di Hamas da oltre un anno dopo ripetuti tentativi di liberarli e faticosi negoziati? Se ne parla sempre troppo poco nei media internazionali ma un’intervista esclusiva del Times of Israel uscita lunedì 25 novembre e firmata dalla giornalista Jessica Steinberg, svela la sofferenza della sessantenne di origine argentina Gabriella Leimberg rapita il 7 ottobre assieme ad alcuni famigliari nel Kibbutz di Nir Yitzhak e rilasciata il 27 novembre 2023 dopo quasi due mesi.
Non solo il trauma della prigionia ma le difficoltà di metabolizzare quel dolore per ricominciare una cosiddetta “normalità”. “Non avrei mai immaginato di vivere a sessant’anni un’esperienza del genere” racconta al sito la donna ricordando l’accaduto. Secondo la sua testimonianza, lei e la sua famiglia erano andati nel Kibbutz per celebrare il fine settimana di Simchà Torah quando sono stati rapiti assieme a vari parenti. Oltre a lei, i terroristi hanno preso in ostaggio anche la figlia diciassettenne Mia, la sorella Clara, suo fratello Fernando e il suo compagno Luis Har.
Come ha sottolineato, anche dopo la liberazione (avvenuta in seguito alla breve tregua fra Israele e Hamas in quei giorni, dal 24 al 30 novembre 2023), nonostante la gioia della fine di quell’incubo, rimaneva la preoccupazione per le sorti di Fernando e di Luis che sarebbero stati rilasciati circa due mesi dopo, lo scorso 12 febbraio.
“Hamas ci disse che eravamo nella lista degli ostaggi da liberare, anche se questo valeva solamente per noi tre – ha ricordato la Leimberg – ed è stato terribile il distacco da Fernando e Luis, pur nella speranza che venissero liberati al più presto”. È stato peggio, ha affermato, lasciare nelle mani dei terroristi i propri cari di quello che avevano vissuto fino a quel momento, dopo cinquantatre giorni passati assieme a loro in condizioni disumane.
La preoccupazione veniva acuita dal fatto che Luis avesse quasi settant’anni, il più anziano della famiglia e Mia, la più giovane fosse solo un’adolescente in mezzo a una serie di bambini anche molto piccoli e perfino neonati finiti con loro nelle mani di Hamas. “Ogni notte andavamo a dormire non sapendo se saremmo stati liberati e passavano i giorni e purtroppo non era mai il nostro turno” ricorda la donna che a causa dello shock di quell’esperienza non ha ancora ripreso la sua professione di psicologa attiva nel sociale, a Gerusalemme, a sostegno di adulti con bisogni speciali. Da quando è stata rilasciata, ha fatto sapere che per ricominciare ha cercato rifugio nell’affetto della famiglia e degli amici, concentrandosi sulla sua interiorità e su quella dei suoi cari.
Malgrado tutto questo, la figlia Mia si è diplomata alle superiori pensando di arruolarsi prossimamente come soldatessa dell’esercito, mentre riguardo al suo caso Gabriella Leimberg ha dichiarato di avere maggiori difficoltà di ripresa. “Ci sono momenti in cui vorrei tornare alla mia vecchia vita e andare al lavoro, ma ho bisogno di tempo – ha detto – è stato terribile lasciare mio marito da solo mentre ero stata liberata. E lo stesso trauma l’ha vissuto mia sorella Clara mentre era con me a Gaza e le sue figlie erano in Israele”.
Gli stati d’animo peggiori erano l’angoscia di sapere di essere vive mentre i famigliari non avevano alcuna notizia e ignoravano cosa ci stesse succedendo e la nostalgia dell’armonia di una grande famiglia ebraica sudamericana che ogni anno andava in quel Kibbutz per festeggiare compleanni e ricorrenze, mangiando le loro specialità preferite che sembrava essere ormai un ricordo troppo lontano.
Quel 7 ottobre nel Kibbutz si era scatenata la violenza dei terroristi, cinque residenti erano stati barbaramente uccisi mentre otto fra cui i membri della famiglia Leimberg erano stati presi in ostaggio. La donna ha raccontato particolari terrificanti, come il fatto che due persone, Lior Rudaeff e Tal Halimi sono ancora ostaggi a Gaza, mentre lo scorso 24 luglio l’esercito israeliano ha rinvenuto il cadavere di Oren Goldin che è stato poi sepolto in Israele.
Ma come sono stati trattati i membri della famiglia Leimberg dai terroristi in quella prigionia? Quali sono state le torture e le angherie vissute? Lo sconvolgimento è stato tale che la donna preferisce mantenere un certo riserbo su questo tema ricordando solamente “la continua angoscia, l’assenza di libertà e la persistente minaccia di venire uccisi prima o poi. È stato un inferno e siamo state molto fortunate ad essere tornate a casa”. Nonostante la contentezza di essere scampata a quella situazione, ha evidenziato che ancora 101 persone si trovano in ostaggio a Gaza e che parteciperà alla manifestazione per la liberazione degli ostaggi che si tiene a Tel Aviv, malgrado lei viva a Gerusalemme. “Penso sia fondamentale esserci, sono una madre e sono stata una prigioniera, voglio esprimere solidarietà verso altre mamme che sono state nella mia condizione” ha detto la donna esprimendo profonda gratitudine verso lo Stato d’Israele. “Se sono tornata a casa è stato grazie a questo paese e all’esercito che grazie alla tregua è riuscito a portare in salvo ben centocinque persone – ha affermato emozionata ribadendo che – ora la mia speranza è che gli altri ostaggi vengano liberati tutti assieme. Uno dei miei pensieri ricorrenti nella mia detenzione è stato che grazie alla forza di questo paese che ha combattuto per noi, saremmo stati salvati. Voglio continuare a crederci”.
Foto in alto: Gabriella Leimbergcon la figlia e il marito dopo la liberazione da Gaza