di David Zebuloni
Dopo un anno di tira e molla, di conflitti interni ed esterni, di promesse vane e accordi parziali: Israele ha un nuovo Governo. Un Governo insolito, il più grande dalla formazione dello Stato di Israele ad oggi. Ben 36 sono infatti i ministeri inaugurati alla Knesset.
Ad aprire l’inaugurazione, domenica 17 maggio, è Benjamin Netanyahu, il primo a governare nel Governo di rotazione con Gantz. L’atmosfera all’interno della Knesset è tesa e le urla di protesta sono molte. “Delinquente”, lo accusa Nitzan Horowitz, capolista del partito di sinistra Meretz. “Demagoga e bugiardo”, prosegue Ofer Cassif, della lista unitaria dei partiti arabi. Netanyahu sorride e risponde: “A chi è nuovo in quest’aula dico di fare attenzione, sono molti i parlamentari che un tempo pensavano di fare carriera con le accuse e oggi non sono più in politica. Fidatevi di me, che ho una lunga carriera alle spalle”. Un ammonimento che pare più una minaccia pronunciata soavemente. Poi prosegue parlando della crisi economica causata dal virus, del rapporto di amicizia con Trump, dell’importanza degli insediamenti ebraici in Giudea e Samaria, della minaccia iraniana e di quella sanitaria ancora in corso.
Il secondo a parlare è Benny Gantz, capolista del partito Kahol Lavan, che fino a due mesi fa si presentava agli elettori israeliani insieme al compagno Yair Lapid e oggi si siede al lato opposto della mappa politica. Gantz pare più provato di Netanyahu e le accuse di tradimento che gli vengono rivolte dai presenti in sala non gli scivolano addosso con la stessa naturalezza. Tuttavia Gantz dice di non aver rimorsi e di aver pensato solo ed esclusivamente al bene dei cittadini israeliani. “Né io né Netanyahu volevamo formare un governo insieme, entrambi noi desideravamo un altro tipo di coalizione”, dichiara con la mano sul cuore, “ma dopo tre gironi elettorali, l’unica decisione che potevamo prendere che rispettasse il cittadino israeliano, era quella di unire le forze”. Senza il voltafaccia di Gantz infatti, il quarto girone elettorale era assicurato.
Yair Lapid, nominato Capo dell’Opposizione, sale sul podio come un toro inferocito e non risparmia nessuno. “Voi siete il motivo per il quale il popolo non crede più nella politica”, afferma rivolgendosi agli ex alleati. A detta di Lapid una soluzione si poteva trovare comunque, senza dover ricorrere ai mandati del Likud e dei partiti ortodossi, ma i numeri parlano chiaro: l’unica alternativa al governo di rotazione era il ritorno alle urne. “Un uomo incriminato per corruzione, frode e abuso di ufficio non merita nemmeno di essere vicedirettore di una scuola”, rincara la dose Lapid alludendo al processo in corso di Netanyahu, “e voi gli permettete di governare di nuovo il paese?”. Poi parla delle grosse spese che l’apertura dei nuovi ministeri statali ha comportato. “Ad oggi ci sono più Ministri nella Knesset che malati di corona negli ospedali”.
Lapid non è l’unico a criticare il nuovo Governo per le sue dimensioni, sono in molti infatti a reputare incosciente la decisione di aprire trentasei ministeri in tempi di crisi. Sui social si comincia ad ironizzare e presto la campagna “Tu che ministro inutile sei?” diventa virale. Migliaia di israeliani vi partecipano inventando ruoli assurdi quali “Il ministro in sostegno dei dolci parve” e “Il ministro a favore dei parcheggi gratis a Tel Aviv”. Tuttavia, nel tentativo di accontentare entrambe le parti, il negoziato tra Netanyahu e Gantz si è concluso con un numero sproporzionato di Ministri e Viceministri. Tra i tanti troviamo anche Pnina Tamano, nominata Ministro all’Immigrazione, la prima di origine etiope a ricoprire una carica di questo calibro.
Un governo più eterogeneo
Il nuovo Governo parte col piede sinistro, questo è certo, ma potrebbe ancora rivelarsi il migliore avuto da molto tempo. Dopo un decennio di Governo di parte, nel quale a rappresentare gli elettori vi erano solo i partiti appartenenti al blocco di destra, nel Governo di Netanyahu e Gantz possiamo vedere una rappresentanza molto più vasta e completa della società israeliana. Unioni apparentemente incompatibili che lasciano perplessi gli elettori. Accanto ai partiti ultraortodossi troviamo infatti il partito laburista della sinistra storica, presieduto un tempo da Rabin e affidato oggi nelle mani di Amir Peretz e Orly Levy Abekasis.
Il Likud e Kachol Lavan invece si rivelano essere due partiti molti simili tra loro per tutto ciò che riguarda idee e priorità, ma lontani anni luce da un punto di vista di stile e valori. Un connubio dunque che potrebbe stupire e dimostrarsi vincente, o un’unione per potrebbe confermarsi sbagliata e pericolosa. Tutto dipende dalle intenzioni più o meno sincere di chi prende le decisioni. O come molti dicono: tutto dipende, di nuovo, dall’umore di Netanyahu.