Guardare in faccia la realtà

Israele

di Luciano Assin, guida turistica in Israele, abitante del kibbutz Sasa al confine con il Libano (dal blog: L’altraisraele)
È passato un anno dal pogrom del 7.10.23 e non si riesce nemmeno ad intravedere l’inizio di una possibile conclusione di questo sanguinoso conflitto che nel frattempo si è allargato coinvolgendo l’Iran ed i suoi proxy iracheni, siriani e yemeniti. Non avendo nessun dono divinatorio su come si la situazione si evolverà non mi resta che cercare di analizzare questi 12 mesi confrontandomi anche con parte delle accuse rivolte verso Israele. Le risposte non fanno parte del politically correct ma bisogna confrontarsi con la realtà, per quanto difficile possa essere, e non rifugiarsi dietro ai triti luoghi comuni. Un grande numero di chi leggerà queste righe ha già delle posizioni salde e inamovibili ed a loro non sarò di grande aiuto. Mi rivolgo quindi a chi ancora nutre qualche dubbio sulle dinamiche di questo conflitto ed è aperto al dialogo ed a sentire una delle tante campane a favore di questo o quel contendente. Buona lettura.

Genocidio. Una delle accuse più comuni rivolte verso Israele. Ognuno avrà la sua particolare versione di come definire questa parola. Per me il genocidio è la sistematica intenzione di eliminare fisicamente un popolo per il solo fatto di esistere senza distinzioni. Seguendo questo criteri noi israeliani siamo un branco di incompetenti assolutamente inadatti a pianificare il genocidio palestinesi. I nazisti riuscirono in poco più di 6 anni a sterminare la popolazione ebraica europea riducendola  da 10 milioni a meno di 4. Nel 1947, secondo il censimento britannico della Palestina Mandataria (che comprendeva l’attuale Israele. Gaza e la Cisgiordania)i residenti arabi erano 1.300.000. Secondo i dati UNRWA del 2014 i palestinesi che vivono in Cisgiordania e nella striscia di Gaza erano 4 milioni. Israele è stato fondato nel 1948 ed in questo lasso di tempo la popolazione palestinese è triplicata. Un genocidio all’incontrario direi.

Massacro palestinese. Come è possibile che a fronte dei  40mila morti palestinesi il numero delle vittime israeliane così infinitamente più basso? Non è questa la prova inconfutabile del massacro in corso? Le cifre fornite dal Ministero della salute di Hamas parlano di 40mila morti senza distinzione fra civili e miliziani. L’IDF parla di circa 17mila miliziani uccisi in combattimento. Una reale cernita delle vittime si potrà avere solo dopo la conclusione delle ostilità ed affidarsi esclusivamente ad una sola fonte non è chiaramente attendibile.

Le perdite civili israeliane sono invece molto base sia per il sistema antimissile sia per le stanze protette che ogni appartamento israeliano costruito dopo il 1991 deve avere per legge. Se Hamas si fosse occupato dell’incolumità e del benessere del proprio popolo investendo le centinaia di milioni di euro in infrastrutture civili invece che costruire una rete sotterranea lunga quanto la metro di Londra i numeri sarebbero stati ben diversi. Non dimentichiamoci poi che durante i bombardamenti israeliani la rete sotterranea è diventata inacessibile alla popolazione civile con la dichiarata intenzione da parte di Hamas di ottenere il massimo di morti civili per  aumentare la propria popolarità agli occhi dell’opinioni pubblica internazionale. Ad oggi Hanas e Hezbollah hanno lanciato più di 20mila razzi verso il territorio israeliano in maniera del tutto indiscriminata. Senza le protezioni sviluppate in tutti questi anni anche il numero dei civili israeliani avrebbe abbondantemente superato la decina di migliaia di morti, con buona pace dei ragionieri della morte votati alla par condicio.

La disperazione palestinese ha portato alla strage del 7 ottobre. Un altro dei grandi cavalli di battaglia di chi sostiene incondizionatamente la causa palestinese. Sfortunatamente per  i fautori di questa tesi il pogrom di un anno fa era stato progettato e pianificato da anni e non è quindi lo sfogo inevitabile di una situazione umanitaria insostenibile. Se così fosse anche la Cisgiordania e tutto il mondo arabo si sarebbero dovuti unire in questa lotta, almeno questa era la scommessa di Sinwar, dimostratasi errata e foriera di una nuova Nakba per il popolo palestinese. Sempre seguendo questo brillante ragionamento allora gli ebrei reduci dai campi di sterminio nazifascisti avrebbero dovuto mettere a ferro e fuoco Germania e Italia invece di riuscire a rialzarsi e crearsi un nuovo futuro.

La resistenza palestinese. Chiamare leggitima resistenza il massacro indiscriminato di civili, stuprando e bruciando, è assolutamente incompatibile coi valori della resistenza partigiana che io conosco. Azioni del genere sono molto più in linea con le stragi naziste di Marzabotto, Sant’Anna di Stazzema e le fosse Ardeatine. In una sola giornata e con mezzi “artigianali” (vale a dire senza carri armati, bombardieri, cannoni, ecc.) i valorosi resistenti palestinesi sono riusciti ad uccidere 1200 civili, più o meno la media giornaliera delle prime esecuzioni di massa naziste prima della Soluzione finale. In nessun momento della sua lunga e dolorosa lotta contro i paesi arabi ed il terrorismo Israele è riuscito a commettere un simile eccidio.

Hezbollah. Il giorno immediatamente successivo all’attacco di Hamas anche Hezbollah si è unito ai combattimenti. Hezbollah non è l’esercito libanese. Di fatto un’organizzazione terroristica paramilitare tiene in scacco un’intera nazione. Se veramente il Libano è interessato ad unirsi alla lotta contro l’”opressore sionista” perché non se ne fa carico il legittimo governo libanese invece di delegare il partito di Dio, che sicuramente non rappresenta tutta la popolazione libanese, e neanche tutta la componente sciita? In questo contesto la missione UNIFIL si è rivelata fallimentare ed assolutamente incapace di mantenere il controllo del territorio

Il fronte arabo moderato. Forse la più grande delusione subita da Sinwar. I paesi arabi stanno a guardare e non si sono intromessi militarmente e a malapena politicamente. Egitto e Giordania non hanno interrotto i loro rapporti diplomatici con Gerusalemme così come la quase totalità dei paesi arabi. Anche la minoranza araba israeliana ha deciso da quale parte stare e la mancanza quasi totale di manifestazioni e proteste pubbliche sono forse la dimostrazione più lampante di quanto sia stata scellerata la mossa di Hamas.

Netanyahu. Sono un acerrimo avversario di Bibi, lo considero un politico corrotto alla guida di un governo fascista che sta conducendo il  paese allo sfascio. Chi segue la mia pagina Facebook ed il mio blog avrà avuto modo di leggere cosa ne penso al riguardo da decine di anni. Ma chi crede che in un simile contesto di un attacco indiscriminato verso la popolazione civile potesse passare impunita si sbaglia di grosso. Qualsiasi premier israeliano, non importa di quale orientamento politico, avrebbe agito in maniera simile, molto probabilmente privilegiando la liberazione degli ostaggi in cambio di una tregua più o meno lunga, ma niente di più. Il problema principale da parte degli israeliani è l’assoluta mancanza di come gestire il dopo Hamas.

E se cambiassimo la prospettiva? Il campo propal non fa che richiedere rinunce da parte di Israele, dimenticandosi chi ha iniziato le ostilità. Chiaramente non ho i mezzi per garantire niente, ma conoscendo la situazione politica interna sono pressoché sicuro che se Hamas si dichiarasse pronto a restituire tutti gli ostaggi incondizionatamente in cambio di una tregua e Hezbollah si ritirasse a nord del fiume Litani (come previsto dalla risoluzione ONU 1701) l’attuale governo israeliano avrebbe enormi difficoltà a rifiutare una proposta del genere. Tutti sappiamo però che una proposta del genere non potrà mai arrivare.

Pacifismo arabo. Mentre almeno metà della popolazione israeliana manifesta settimanalmente per una conclusione del conflitto e per la liberazione degli ostaggi, non ho ancora visto un cenno di dissenso palestinese verso la leadership di Hamas. La mancanza di una consistente voce di protesta verso l’attuale politica di Hamas fa pensare più ad una dittatura invece che ad una società dove esiste un dibattito interno comprendente una legittima opposizione. E questo preoccupa molto tutti gli israeliani che cercano se non una soluzione almeno un dialogo.

Siamo tornati indietro di 50 anni. Questo è il fatto più preoccupante. La diffidenza dell’opinione pubblica nei confronti dei palestinesi è aumentata in maniera esponenziale. Hamas, Hezbollah e l’Iran non possono essere considerati degli interlocutori in quanto affermano esplicitamente di volere la distruzione di Israele, e faranno tutto quello che potranno per ottenere il loro scopo. Senza un leader palestinese che sia in grado di arrivare ad un compromesso con la controparte israeliana che comporterà delle grosse e dolorose rinunce da entrambe le parti i prossimi anni continueranno ad essere forieri di lutti e distruzioni. I palestinesi dovranno abituarsi ad abbandonare il loro status di profughi che non ha fatto che accrescere rabbia e frustrazioni invece di indirizzare le loro energie per il proprio benessere e quello dei loro figli. Ci sono riusciti 800mila profughi ebrei scacciati senza nessuna colpa dai paesi arabi, non c’è motivo che anche i palestinesi possano farcela.

Israele continuerà ad essere l’antica Atene del Medio Oriente. Circondata da un mondo non proprio amichevole, la società israeliana si è sempre dimostrata resiliente e capace di assorbire colpi tremendi in grado di mettere in ginocchio qualsiasi nazione. Finche Israele continuerà ad essere una democrazia vivace e vitale il paese sarà in grado di affrontare tutte le sfide che il futuro le riserva.

Questa mia analisi rispecchia quello che io pensi sia la realtà attuale. Non è molto bella da vedersi, ma bisogna avere il coraggio di guardarla in faccia e di trovare le possibili vie per migliorarla. È nell’interesse di chiunque abbia a cuore il benessere di tutti gli abitanti della regione.

 

(Foto in alto: il Kibbutz Nir Oz dopo l’attacco terroristico del 7 ottobre)