di Ilaria Myr e Roberto Zadik
“Siamo chiusi dentro la camera di sicurezza, i terroristi sono entrati in casa nostra e hanno provato a forzare la finestra della camera di sicurezza ma non ci sono riusciti. Poi hanno sfondato la porta d’ingresso e hanno provato a entrare dove siamo nascosti. Ci sono spari ovunque”.
Queste le parole di Daniel Lanternari, un italiano che vive nel kibbutz Nir Yitzchak a pochi chilometri da Gaza, nelle ore più tragiche dell’attacco terroristico di Hamas in quella che viene chiamata le ‘Gaza envelope’, la zona israeliana popolata in 7 km intorno alla Striscia di Gaza. Un’oasi verde di pace e serenità, Nir Yitzchak, così come tutti gli altri kibbutzim e insediamenti della zona, da anni purtroppo bersaglio di migliaia di missili lanciati da Gaza e sotto il pericolo costante di vedere sbucare nei propri territori i tunnel scavati dai terroristi di Hamas. Cittadini israeliani che più volte negli anni hanno lamentato l’assenza dello Stato e che ora si sono trovati nella più tragica e inimmaginabile catastrofe mai avvenuta prima in Israele, con terroristi che entrano di casa in casa, uccidono e rapiscono le persone: uomini, donne bambini e anziani, indiscriminatamente.
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Tante altre persone, come Daniel, sono rimaste chiuse con anche bambini piccoli all’interno dei rifugi, senza potere uscire per bere qualcosa o andare in bagno, con i terroristi in casa che cercavano di entrare. Adele Raemer, del kibbutz Nirim, sulla sua pagina Facebook Life in border with Gaza, ha raccontato bene in tempo reale la situazione di sabato 7 ottobre. E come lei tanti altri, le cui storie stanno circolando ora sui social e vengono trasmesse alle radio e nei canali israeliani.
Yoni Asher ha raccontato alla Radio governativa israeliana Kan, l’infinita attesa che sua suocera, Efrat Katz, sua moglie e le sue due figlie piccole,7 di 3 e 5 anni, rispondessero alle sue continue chiamate. Egli ha poi specificato che sua suocera, che vive nel Kibbutz di Nir Oz al confine con Gaza, poco prima aveva visto i terroristi palestinesi rapire suo marito, un anziano di 79 anni. In preda alla disperazione, Asher ha cercato di contattare sua moglie, in qualsiasi modo, collegandosi dal suo laptop al cellulare della donna e, temendo un rapimento, ha constatato che, purtroppo la localizzazione dello stesso era nel villaggio di Khan Yunis, a sud di Gaza. La confusione era totale, mentre provava a chiamare la moglie, le linee internet erano sovraffollate dalle continue richieste di una marea di famiglie che, come lui, cercavano informazioni su dove fossero finiti i loro parenti soprattutto gli abitanti nei piccoli centri, al confine con Gaza, da dove è partito l’attacco dei terroristi sabato mattina.
Sempre Radio Kan riferisce la storia di una donna che ha cercato di descrivere al network la sua situazione ma che, a un certo punto, ha riagganciato il telefono, terrorizzata da un rumore improvviso. Altri hanno descritto l’attesa di ben nove ore, mentre i parenti erano in ostaggio dai terroristi piombati nelle loro abitazioni, prima che fossero liberati. Storie di terrore ed eroica autodifesa come quella dello zio di un uomo che ha sparato a un aggressore dopo che aveva cercato di lanciare una granata in casa sua.
Strazianti le telefonate dei parenti che chiamano le radio per sapere dove sono i propri parenti dispersi, se qualcuno li ha visti. Strazianti i video delle persone che sono state rapite dai terroristi: giovani che erano al rave di Reim, ma anche bambini, famiglie e anziani, portati via a Gaza. Strazianti i post sui social delle famiglie che piangono i propri cari, e le foto di famiglie distrutte.
Da Gaza al kibbutz a piedi con un bambino di 4 mesi e uno di 4 anni
Quasi incredibile la storia di Avital Alajem, del Kibbutz Holit insieme ai due figli piccoli della sua cara amica Adi. “Intorno alle 13:30, i terroristi sono entrati in casa mia – ha raccontato al Canale Arutz 12 -. Ci siamo nascosti in un armadio. Hanno fatto saltare in aria la porta; il mio vicino è stato colpito e ucciso. Mi hanno tirato fuori dall’armadio, mi hanno portato in soggiorno e poi hanno portato i bambini della vicina Adi: Eshel, di quattro mesi e mezzo, e Negev, di quattro anni. In quel momento ci spostarono di casa in casa, tutto era in rovina, devastazione e sangue.” Dopo averli fatti passare la recinzione in dire34zione di Gaza. Ma a un certo punto il terrrista mette giù dalle sue spalle il bambino di 4 anni e si incammina verso Gaza. “Ho capito che ci stavano liberando. Abbiamo cominciato a camminare verso casa, verso il confine, da soli, a piedi, con i due bambini”. Per ore Avital cammina con i bambini, in mezzo alle esplosioni e altri terroristi, fino a che non arriva davanti al kibbutz prima del tramonto, prima che facesse buio. “Quando abbiamo raggiunto il confine del recinto del Kibbutz, era chiuso, una breccia era stata fissata. Abbiamo aspettato lì; speravo in una sorta di soccorsi. Non è venuto nessuno. Negev si è addormentato sulla sabbia. Nel kibbutz non c’erano più terroristi. Ho visto il movimento dei nostri veicoli, delle persone che erano state salvate. Attraverso qualche breccia nella recinzione, sono entrato con i bambini. Entrammo in uno dei quartieri, qualcuno venne verso di me e gridò: “Chi sei?”. Ho capito che era un israeliano. Siamo entrati in una delle case.” Dalla casa di un vicino del kibbutz Avital chiama il padre dei bambini, mentre la madre ancora non si trova. I bambini sono in cura al Shaare Zedek Medical Center, sotto sorveglianza durante la notte. “Negev è rimasto ferito a una gamba, ha una frattura, gli hanno messo una fasciatura alla gamba. Il piccolo, di quattro mesi e mezzo, ha inalato molto fumo di polvere da sparo , e la sua funzione respiratoria non è eccezionale. Ha la febbre, ma entrambi se la caveranno perché sono forti. Ho fornito energia a questi dolci bambini fino al ritorno della loro mamma a casa.”
La ricerca dei dispersi
“La nostra amata Diza Yemen, 84 anni, è scomparsa, i terroristi l’hanno rapita” si legge in un gruppo israeliano su Facebook. “Quella è mia nonna, si chiama Yaffa Adar, 85 anni. Mia nonna che ha fondato il kibbutz con le sue mani. Probabilmente gettata senza medicine, niente cibo, acqua, morendo di paura. Nessuno ci dice niente, tutte le informazioni che abbiamo le abbiamo scoperte dai video distribuiti sui social”.
Su tutto pesano l’assenza e la lentezza dei soccorsi e la totale mancanza di comunicazione alle famiglie, che cercano disperatamente notizie e vivono nell’angoscia.
Intanto solo nella notte di domenica 8 ottobre gli abitanti israeliani intorno a Gaza sono stati evacuati a Eilat, dopo avere atteso per ore i soccorsi dell’esercito: per altre ore, mentre i soldati perlustrano il territorio alla ricerca di terroristi, gli abitanti sono stati radunati tutti in un unico luogo (nei kibbutzim le mense). Inimmaginabile l’angoscia e lo strazio di capire chi non ce l’ha fatto o è scomparso.
E intanto circolano i video di volontari che nelle strade danno da mangiare e bere ai militari mentre si dirigono sui carri armati verso Gaza, così come di tanta gente che fa la coda negli ospedali per donare sangue.