di Luciano Assin
Fra gli innumerevoli avvenimenti che si susseguono nella vertiginosa storia d’Israele sta passando praticamente innosservato il quarantesimo anniversario di un movimento che nel bene e nel male ha segnato e segnerà ancora per molto tempo il destino del paese, la nascita del “Gush Emunim”, il Blocco dei credenti.
Il Gush nasce il 9 febbraio 1974, pochi mesi dopo la conclusione della Guerra del Kippur uno dei conflitti più drammatici della storia israeliana. Anche se la forza principale del movimento proviene dalle file del sionismo nazional religioso è indubbio che i primi passi del Gush Emunim trovarono un appoggio morale e materiale in numerosi strati della popolazione.
Il ritorno alle origini del sionismo, la creazione di nuovi insediamenti, l’abbandono delle comodità borghesi per continuare la costruzione di uno stato che si era trovato a pochi passi dal collasso totale erano la prova della vitalità del paese, di come la parte migliore della gioventù fosse disposta a dei sacrifici non indifferenti pur di continuare l’epopea dei padri fondatori.
Il simbolo della lotta fra il governo Rabin ed i coloni del Gush è la stazione ferroviaria di Sebastia, una stazione di epoca ottomana ormai in disuso da decenni. Il braccio di ferro fra governo e coloni durerà diversi mesi, l’insediamento verrà evacuato per quattro volte, al quinto tentativo i contendenti arrivarono ad un compromesso che segnerà definitivamente il corso degli avvenimenti. Fra i promotori del compromesso oltre al ministro Israel Galili vi era anche l’allora ministro della difesa Shimon Peres. L’accordo di compromesso fra coloni e governo fu il punto di non ritorno di un processo diventato ormai quasi inarrestabile.
La vittoria delle destre nel 1977 non farà che catalizzare un fenomeno per molti inevitabile. I nomi di Kdumim, Efrat, Alon Moreh, Ariel e molti altri diverranno parte integrale non solo della geografia e della politica israeliana ma anche di quella mondiale. Il movimento dei coloni avrà innumerevoli promotori, su tutti spicca il nome di Arik Sharon che non si fermerà davanti a nessun ostacolo pur di continuare la spinta ideologica ma soprattutto politica della costruzione degli insediamenti nei territori occupati.
Non bisogna però pensare che la responsabilità politica del fenomeno Gush Emunim sia esclusivamente parte dei governi di destra, anche i governi laboristi hanno strizzato più di una volta l’occhio ai coloni in nome della politica del fatto compiuto.
Questo voler tener il piede in due staffe da parte di tutti i governi israeliani ha portato la democrazia israeliana ad una dicotomia subdola, sfuorviante e pericolosa. Se da una parte il Gush rappresenta il nuovo patriottismo, chi osa metterne in dubbio la sua esistenza, la sua etica e il suo diritto di agire si trova automaticamente dalla parte del torto. A farne le spese sono tre dei capisaldi di un regime democratico in buona salute: la magistratura. i media e il mondo accademico.
C’è poi da chiedersi perchè un movimento che fa dell’insediamento la sua bandiera non abbia mai pensato di indirizzare parte dei suoi sforzi nel deserto del Neghev, una zona ancora poco disabitata dove la popolazione beduina sta crescendo in maniera vertiginosa e si sta impadronendo poco a poco di una grossa parte di territori del demanio.
Si calcola che in Giudea e Samaria ci siano all’incirca 300 mila abitanti ebrei. In un recente servizio televisivo si calcola che solo 100 mila vi abitino per motivazioni ideologiche. La maggioranza ci vive per il basso costo delle abitazioni e per la qualità della vita. Ed anche i coloni di un tempo si sono imborghesiti nel corso degli anni. Le baracche di una volta si sono trasformate da tempo in eleganti ville dotate di piscina, ristoranti, palestre. Produttori di rinomati vini e formaggi fanno parte del panorama, tanto che le varie province della regione stanno puntando da molto tempo sul turismo interno con grande successo.
L’esperienza del disimpegno delle colonie di Gaza rappresenta per tutti i coloni un trauma inguaribile. Il fatto stesso che tutta l’operazione sia avvenuta senza spargimento di sangue e con il consenso della stragrande maggioranza dell’opinione pubblica ha dimostrato quanto sia precaria la loro situazione.
Personalmente penso che lo “zoccolo duro” dei coloni si aggiri attorno ai 30 mila, pochi rispetto al totale, ma abbastanza per rendere la vita molto dura a qualsiasi governo. La domanda è se un numero così esiguo abbia il diritto di tenere in scacco tutto il paese.
La spinta e le motivazioni che hanno portato alla nascita del Gush Emunim erano genuine anche se discutibili, ma il fatto che la loro esistenza sia stata sempre al limite della legalità ha incoraggiato la nascita di forze fanatiche ed estremiste in grado di minare l’esistenza stessa d’Israele. L’organizzazione clandestina degli anni ottanta, l’assassinio di Rabin e il nuovo fenomeno della “gioventù delle colline” sono tutte la prova di quanto il fanatismo abbia la possibilità di crescere facilmente in un simile ambito.
Anche se le mie opinioni politiche siano diametralmente opposte a quelle degli insediamenti non posso che provare amarezza per il distacco inesorabile fra i coloni “ideologici” e buona parte del paese. Abbiamo perso per strada buona parte del sionismo religioso, quello che una volta era il ponte di collegamento fra i valori etici della religione ebraica e la parte secolare, poco o per niente religiosa, portatrice di valori alternativi ma non necessariamente antitetici.