di Michael Soncin
La medicina computazionale è la medicina del futuro. L’Università Ebraica di Gerusalemme, già attiva in questo campo di ricerca, si sta preparando per ospitare un centro studi interamente dedicato, dove le tecnologie più all’avanguardia del momento vengono messe in pratica con lo scopo di migliorare i trattamenti per i pazienti. Ma cos’è esattamente e come funziona? L’argomento è stato trattato durante un recente webinar “Medicina computazionale – Big Data e algoritmi per migliorare la salute” (video), organizzato dall’Associazione Italiana Amici dell’Università di Gerusalemme e dalla HUJI – Hebrew University of Jerusalem.
Un nuovo paradigma nel sistema sanitario
“Negli ultimi anni la medicina sta andando incontro a una rivoluzione, passando da un solo tipo di cura uguale per tutti, allo sviluppo di trattamenti personalizzati, su misura per ogni singolo paziente. Un nuovo approccio che tiene conto non solo del tipo di malattia, ma delle variazioni individuali, di fattori come lo stile di vita, l’inquinamento, e i geni”, ha spiegato la professoressa Dina Ben-Yehuda, presidente della Facoltà di Medicina della Hebrew University. La medicina computazionale è praticamente un nuovo paradigma che sarà attuabile grazie all’utilizzo dell’intelligenza artificiale. “Presto avremo medici che parleranno due lingue: quello della medicina e quello della scienza computazionale. Abbiamo creato un nuovo programma di laurea dove gli allievi più brillanti studiano allo stesso tempo medicina e scienza computazionale. Sono circa una sessantina, tra cui molte studentesse. Mi auguro che questi ragazzi possano essere i nostri ambasciatori nello sviluppare nuove tecnologie, nuove idee, su come utilizzare l’IA – Intelligenza Artificiale, per essere dei medici migliori”, ha sottolineato la professoressa.
L’IA sostituirà i medici?
L’intelligenza artificiale prenderà il posto dei medici? “Sono certa – dice Ben-Yehuda – che questo non accadrà, anzi, nell’era digitale i pazienti avranno bisogno di ancora più empatia, perché l’IA ci renderà dei medici migliori, ma l’empatia non potrà mai mancare. Quando punto lo stetoscopio sul cuore dei pazienti e sento i loro battiti, mi rendo conto che non sto solo ascoltando le loro pulsazioni. Questo tipo di legame ha molto a che vedere con la buona medicina, e sono sicura che nessuna medicina potrà rimpiazzare questo”.
Compassione, empatia, fanno attivamente parte del programma didattico dei medici della Hebrew University, un insegnamento che più che ‘studiare’, si deve ‘trasmettere’; oltre ad un focus mirato sulla sicurezza del paziente e sulla qualità del trattamento.
Prevenire l’Alzheimer con la matematica
La medicina computazionale, tra le diverse funzioni, può aiutare nel prevenire l’insorgenza dell’Alzheimer. A parlarne è stato il dottor Shahar Arzy del Laboratorio di Neuropsichiatria Computazionale. Per spiegare in un altro modo l’iter operativo della medicina computazionale, al fine di renderlo maggiormente comprensibile, Arzy, prima di esporre i nuovi studi sull’Alzheimer, ha fatto l’esempio pratico del classico modello neurale, dove vengono immessi degli input, che non sono altro che i dati clinici dei pazienti, il loro stile di vita, la genomica e altri fattori, che vengono successivamente rielaborati dal modello in output, traducendosi in diagnosi, prognosi, trattamenti farmacologici e trattamenti non farmacologici, permettendo di fatto la prevenzione da eventuali patologie.
Perciò immettere grandi quantità di dati ed elaborarli attraverso grandi operazioni matematiche, quali algoritmi, attraverso l’IA, per “sviluppare un trattamento specifico su uno specifico paziente, serve moltissimo, perché siamo tutti diversi e perché la stessa malattia può nascere per motivi diversi, com’è emerso nei vari pazienti esaminati. Questo avviene attraverso la tecnologia del machine learning”. Indubbiamente un nuovo approccio, come quello che stanno cercando di adottare verso la malattia di Alzheimer, dove la prima parola chiave si chiama prevenzione, poiché è ormai risaputo che i primi sintomi compaiono, o meglio vengono diagnosticati, quando si è già in fase avanzata.
“Al momento – sottolinea Arzy – i pazienti che soffrono di questo disturbo nel pianeta sono circa 40 milioni, saranno circa 55 entro il 2030 e si arriverà ai 100 milioni entro il 2050. Molti degli sforzi fatti per sviluppare delle cure contro l’Alzheimer sono trattamenti biologici, ma questi trattamenti ad oggi non hanno ancora avuto il risultato sperato. Una delle sfide è come prima cosa comprendere maggiormente che cos’è, poi effettuare uno screening di massa, cruciale, per un’identificazione precoce della malattia, prima che avanzi. Qui entra poi in gioco la medicina di precisione per prevenire la malattia a livello del singolo paziente”.
Inoltre, si è soliti definire la malattia di Alzheimer come un problema di memoria. “La memoria è uno dei fattori che compaiono quando la malattia è già allo stadio avanzato. Utilizzando queste nuove tecnologie, un algoritmo di machine learning applicato ai big-data ha identificato quattro sottocategorie di Alzheimer, localizzate in regioni differenti: comportamentale; amnesico (memoria); logopenico (linguaggio); posteriore (visivo). Parlando della variante comportamentale, sosteniamo che riguardi un disordine dell’orientamento, che ha a che vedere con la modulazione tra l’oggetto e il mondo esterno. Infatti, le persone affette da Alzheimer tendono a perdere l’orientamento del tempo e dello spazio e a non riconoscere più le persone”.
“Clara”. L’App che aiuta ad individuare i primi stadi dell’Alzheimer
Una delle grandi sfide è di identificare i pazienti nella fase preclinica. “Abbiamo sviluppato un’applicazione digitale – che si avvale dell’IA – di nome Clara, dotata di molteplici funzionalità, come le attività ludiche a scopo orientativo, connesse direttamente alle funzioni della memoria e della percezione, con una serie di domande specificatamente legate alla prevenzione dell’Alzheimer. Un grande vantaggio di fare questo tipo lavoro nell’università rispetto a chi lo fa all’interno di un’azienda, è che non lo facciamo per un profitto. Questo perché abbiamo molte collaborazioni attive con Clara in tutto il mondo: Cina, Stati Uniti, Brasile e anche in Italia, a Bologna”, ha sottolineato Arzy.
Nel corso della conferenza è stato evidenziato che i risultati ottenuti hanno avuto alti gradi di affidabilità, dimostrandosi di aiuto nella prevenzione, poiché nei test screening si è potuta vedere la comparsa dei primi sintomi. Clara riesce a fare questo in pochi minuti, ma è da puntualizzare che l’App non è per chi ha già la malattia, ma il suo utilizzo potrebbe rendere possibile scoprire se si è ai primi stadi.
La fecondazione in vitro per ridurre il rischio di sviluppare malattie nell’adulto
La fecondazione in vitro è una metodologia che potrebbe permettere di abbassare le probabilità di contrarre gravi patologie future al bambino che deve nascere. Senza dubbio una realtà possibile, fatta di numerose opportunità, ma di altrettanti problemi, soprattutto di natura etica.
Il professore Shai Carmi che lavora nell’ambito della genetica computazionale, utilizzando gli strumenti della statistica, si occupa nello specifico dei test genetici degli embrioni umani. Come egli ha esposto, le circostanze che rimandano a questa scelta sono per esempio quando i genitori sono portatori di mutazioni genetiche, che possono trasmettere malattie gravi ai figli; altre situazioni riguardano l’infertilità o casi di aborti ricorrenti.
Ci sono malattie che possono essere causate da errori di un singolo gene, responsabili – citandone alcune – della fibrosi cistica, dell’atrofia muscolare spinale, della sindrome del X Fragile o della malattia di Tay-Sachs; altre dette complesse o poligeniche, poiché coinvolgono centinaia o migliaia di geni, come: arresto cardiaco, ictus, ipertensione, cancro, Parkinson, Alzheimer, diabete, artrite.
“Grazie alle attuali capacità di leggere la sequenza del Dna degli individui nei recenti anni, c’è stato un enorme progresso nel capire la genetica di questi disturbi e ora conosciamo i nomi di centinaia di geni associabili all’insorgenza di essi. Oggi è possibile calcolare il punteggio di rischio negli embrioni che non sono ancora nati, e che non sono ancora stati trasferiti nell’utero materno, per qualsiasi malattia si desideri. Stessa cosa si può fare nell’adulto, il tutto studiando la sequenza del suo DNA”, ha illustrato Carmi.
“Procedure simili a questo o affini non sono permesse in molte nazioni, ma negli Stati Uniti sono legali, con compagnie che offrono questo tipo di consulenze, come Genomic Prediction o la compagnia Orchid. Siamo consapevoli che ci sono molte implicazioni etiche e sociali nell’uso di queste tecnologie, con rischi eventuali di un’imposizione di norme sociali indesiderate”.
Il Centro di Medicina Computazionale
È chiaro quindi che la medicina computazionale ci può dire quanto è alto il rischio di contrarre una determinata malattia, aiutando così a prevenirla: dai disturbi neurodegenerativi come l’Alzheimer, alla selezione dell’embrione con le probabilità più basse di ammalarsi in futuro. Queste descritte sono alcune delle possibilità di quella che sarà la rivoluzione prossima nel sistema sanitario globale. Possibilità che si stanno già attuando alla Hebrew University, con un edificio apposito, per ospitare un centro studi d’eccellenza, costruito attorno all’idea di avere un gruppo interdisciplinare, formato da medici, ricercatori, ed esperti in medicina computazionale.
Come spiega il professore Ittai Ben-Porath (vicepreside della Facoltà di Medicina), il centro includerà programmi in cui convoglieranno diversi tipi di studi: individuazione dei meccanismi che sono alla base delle malattie, sviluppo di nuovi metodi diagnostici, creazione di protocolli a partire dai dati per tradurli in trattamenti, miglioramento della progettazione dei farmaci e della loro somministrazione, nuovi approcci alla nanomedicina e nuove strategie per la prevenzione.
“All’interno ci saranno spazi dedicati all’insegnamento, un centro sulle innovazioni, studi sulla genomica, un comparto specifico dedito alla ricerca medica, un altro allo sviluppo dei modelli biologici; con un focus sull’invecchiamento, sul cancro, sulle malattie metaboliche, sulla ricerca riguardante le infiammazioni e le infezioni”, ha illustrato Ben-Porath.
L’etica nell’era dell’Intelligenza Artificiale
L’utilizzo dell’IA non avviene solo nell’ambito della medicina, ma come sappiamo può aiutare nella gestione del traffico stradale, nelle coltivazioni agricole, nella traduzione di opere come il Talmud, nella sicurezza, contro le truffe nell’e-commerce e così via. Queste sono solo una piccola parte – ma sufficiente per comprenderne la portata – delle tante innovazioni Made in Israel, con Tel Aviv decretata superpotenza mondiale di tecnologia e innovazione.
Quindi, se ancora non ce ne fossimo accorti, l’intelligenza artificiale sta cambiando e cambierà sempre più le nostre vite. Quali sono le implicazioni etiche e le norme che regolano la privacy del suo utilizzo, soprattutto per la questione dei nostri dati? Le implicazioni sono molte, e ancor più rappresentano una pressoché integrale novità, fatta di tante domande e di poche riposte.
“In Israele ogni scelta deve sempre incontrare e includere le questioni religiose, anche attraverso una commissione multidisciplinare, che include filosofi e legislatori, sull’uso dell’IA e del materiale genetico”, ha raccontato la professoressa Dina Ben-Yehuda della Hebrew University.
A livello planetario la sfida si fa ancora più complessa, perché si incrocia con i sistemi legislativi di ciascun paese. “Chiunque non sia stupito di fronte a una tale rivoluzione digitale non ne ha afferrato la portata. Stiamo parlando di un nuovo capitolo della storia umana”. Lo scrive Luciano Floridi, una voce di origini italiane, tra i massimi esperti di filosofia contemporanea, nel suo libro Etica dell’intelligenza artificiale, pubblicato da Raffaello Cortina, dove affronta passato, presente e futuro dell’IA, delineando quali sono e quali potrebbero essere, i rischi, ma anche le buone pratiche per il bene sociale. Una lettura utile per imparare a leggere un alfabeto di una lingua già in costruzione: “Questa particolare pagina della storia umana è stata voltata ed è iniziato un nuovo capitolo. Le generazioni future non sapranno mai com’era una realtà esclusivamente analogica, offline, predigitale. Siamo l’ultima generazione che l’avrà vissuta”.