di Luciano Assin
Esiste a Roma in piazza Pasquino, non lontano da Palazzo Orsini, una statua in stile ellenico rappresentante forse un guerriero, forse Menelao o per altri Ercole. La statua, ritrovata nel 1500, diventò in breve tempo un problema di ordine pubblico per i papi dell’epoca, dato che sul Pasquino, il nome con il quale fu ribattezzata, venivano appesi cartelli satirici e denigratorii indirizzati verso i potenti della città, primi fra tutti i papi. “Pasquinata” fu il nome dato a questa forma di critica popolare e derivato direttamente dal nome della statua.
Lo stesso concetto di messaggio popolare ma con delle caratteristiche più polemiche e velenose si trasferì lentamente in Terra Santa, storpiandosi in Yiddish nel termine di pashquill. Il pashquill è in definitiva un manifesto, generalmente anonimo, che viene affisso nei quartieri ortodossi di Gerusalemme (ma se ne trovano anche a New York) e di altre città, usato principalmente per denigrare e attaccare rivali scomodi o per portare all’attenzione del pubblico problemi collegati al comportamento morale delle comunità in questione.
A seconda dei toni e dei contenuti, che possono anche arrivare a delle vere e proprie violenze verbali, il pashquill può portare il malcapitato a veder decretare una scomunica nei suoi confronti.
Chi si trovasse a passare per il quartiere di Mea Sharim a Gerusalemme, potrà comprendere in parte il significato e la potenza di questa forma di comunicazione, se non nei contenuti almeno nella quantità e nella variegatezza della loro distribuzione lungo le strade e i vicoli del quartiere. Personalmente mi ricordano gli innumerevoli tatzebao nei quali mi imbattevo ogni volta che attraversavo i corridoi e le sale della Statale di Milano negli anni Settanta.
Come già accennato, la forza del pashquill sta soprattutto nel suo anonimato. Innumerevoli sigle di comodo di “rabbini preoccupati” o la “commissione per il buoncostume” costituiscono la copertura ideale per propagandare le proprie idee ma soprattutto per screditare e porre in luce negativa gli avversari del momento.
Dato che è molto difficile, per non dire praticamente impossibile, distinguere fra critiche legittime e calunnie vere e proprie, l’establishment ortodosso cerca in tutti i modi di porre un freno a questo fenomeno, ma con risultati più che scoraggianti.
Bisogna aggiungere che anche l’utente medio di questi manifesti è molto attratto da quello che nel mondo parallelo a quello ortodosso viene definito come “gossip” e che a tutte le latitudini aggiunge un po’ di gusto al tran tran quotidiano. E, come nel mondo a noi conosciuto, anche nell’universo ortodosso si ricreano le stesse situazioni di personalità che, pur di continuare a rimanere sulla bocca di tutti, incoraggiano l’affissione di manifesti dove compaia il loro nome, non importa se in positivo o in negativo. “Non m’importa di come parlino di me, basta che ne parlino”, scriveva agli inzi del ’900 George Micheal Cohan coniando, forse inconsapevolmente, quello che è stato a lungo un’assioma nella pubblicità. Per vedere fino a che punto sia possibile pubblicare notizie più o meno assurde, un gruppo di laureati ortodossi americani provenienti dalle prestigiose università di Harvard e Princeton ha cominciato quasi per gioco a pubblicare dei pashquilim al limite dell’assurdo per arrivare ad una conclusione quasi scontata: in una situazione nella quale la realtà e l’inganno convivono nel quotidiano, niente può essere dato per certo e tutto è possibile. Alcuni esempi fra i tanti “falsi”: l’assoluto divieto di bere l’acqua dell’acquedotto municipale perché contaminata con avanzi di cibi proibiti, il divieto di utilizzare le banconote e le monete dei “sionisti”, la completa proibizione per le donne di uscire fuori di casa anche se vestite in modo castigato e altri ancora. Molte persone, alle quali è stato chiesto che cosa ne pensassero circa la veridicità di tali proclami, si sono dette per nulla scettiche rispetto alla loro genuinità: nel mondo ortodosso assumere posizioni di intransigenza viene spesso interpretato come segno di serietà e di studio profondo.
Nonostante la tecnica avanzi a passo di marcia anche nel mondo ortodosso, dove non mancano di certo blog, programmi radiofonici e stampa specializzata, c’è qualcosa di romantico nell’immaginare giovanotti un po’ smunti girare di notte, armati di pennello e colla fabbricata con acqua e farina, intenti ad affiggere i loro tatzebao, e chi è stato compagno negli anni Settanta in Italia ne sa qualcosa…
Luciano Assin