di David Zebuloni
In altre circostanze, in altri periodi storici, il 5 di novembre sarebbe stato ricordato come un giorno di assoluta routine, ma nell’Israele odierna, con l’attuale crisi governativa, dopo più di tre anni dall’ultima volta che è stato approvato il Bilancio, il 5 di novembre verrà ricordato come un giorno storico e cruciale per l’esistenza dello Stato Ebraico. “Oggi è un giorno di festa per lo Stato d’Israele. Dopo anni di caos abbiamo creato un governo, superato la variante Delta e ora abbiamo approvato un budget per Israele”, ha twittato il neo premier Naftali Bennett, quasi dimenticando la disputa virulenta avuta con il suo predecessore Benjamin Netanyahu qualche ora prima.
“Tutto ciò che sa fare Bibi è dividere il popolo, mettere i buoni contro i cattivi. Se ci fosse unione tra di noi, non esisterebbe Bibi”, ha accusato Bennett durante la disputa parlamentare che ha preceduto la votazione del Bilancio, rivolgendosi per la prima volta al capo dell’opposizione con il suo soprannome, e non con il cognome o con la carina politica. “Il tuo governo è fatto solo di menzogne. Migliaia di cittadini si sentono traditi e stanno tornando a casa”, ha risposto Netanyahu, riferendosi ai sondaggi favorevoli che mostrano una crescita rinnovata del suo partito storico: il Likud.
La tanto attesa e sudata votazione, dunque, si è protratta fino alle 5 di mattina ed è passata per il rotto della cuffia, con 59 parlamentari a favore e 56 a sfavore. I primi, ovviamente, della coalizione e i secondi dell’opposizione. La promessa è stata è così mantenuta: il governo del cambiamento, composto da otto partiti apparentemente compatibili come l’acqua e l’olio, è riuscito a superare i primi mesi turbolenti al timone e ad approvare il suo primo vero Bilancio. Se ciò basti a dimostrare che il governo Bennett non è solo un governo tutto-ma-non-Bibi, ma un governo solido e ideologicamente ben consolidato, non è ancora certo. Una cosa sola è sicura: l’eventualità di un imminente girone elettorale, pare allontanarsi sempre di più.