di Ilaria Ester Ramazzotti
“Siamo passati dalla difesa all’offesa: le organizzazioni di boicottaggio devono sapere che lo Stato di Israele agirà per fermarle e impedire ai loro rappresentanti di entrare nel paese per danneggiare i suoi cittadini”. Così ha dichiarato lo scorso 7 gennaio il ministro della Sicurezza pubblica e degli Affari strategici di Israele Gilad Erdan, pubblicando un elenco di 21 organizzazioni internazionali a favore del movimento BDS, per il boicottaggio dello Stato ebraico, sottolineando che i loro rappresentanti non potranno entrare nei confini della nazione.
L’elenco include gruppi pro-BDS che, secondo il ministero, conducono campagne di “falsità e incitamento” nel tentativo di minare la legittimità di Israele in tutto il mondo e che agiscono con costanza e continuità contro lo Stato israeliano facendo pressioni su gruppi, istituzioni e Stati per boicottare Israele”. Nella black list sono comprese sei organizzazioni con sede negli Stati Uniti, come la Jewish Voice for Peace, e dieci organizzazioni europee, tra cui i principali gruppi BDS attivi in Italia, Francia, Norvegia e Svezia. Il divieto di ingresso sarà applicato a partire da marzo e limitato alle persone che ricoprono posizioni di responsabilità o che sono molto attive all’interno delle organizzazioni. Il ministero ha aggiunto che passerà i nomi delle organizzazioni al ministero degli Interni e alle pattuglie di confine.
“La formulazione di questa lista è un altro passo avanti nella nostra battaglia contro l’incitamento e le bugie delle organizzazioni BDS. Nessun paese concederebbe l’ingresso a visitatori che cercano di danneggiarlo, specialmente a quelli il cui obiettivo è quello di porre fine a Israele come stato ebraico”, ha aggiunto Erdan. Il ministro dell’Interno Arye Deri ha evidenziato che, quale incaricato in materia, userà la sua “autorità per impedire [l’ingresso a] individui e rappresentanti di gruppi il cui unico scopo fosse quello di danneggiare Israele, la sua sicurezza e i suoi confini”.
Alcune organizzazioni bandite dal provvedimento hanno per contro rilasciato dichiarazioni secondo cui la mossa di Israele servirebbe solo a dimostrare che il movimento BDS si sta diffondendo con un forte impatto. Lo riporta il Jerusalem Post lo scorso 7 gennaio. Rebecca Vilkomerson, direttore esecutivo di Jewish Voice for Peace, ha definito il divieto “sconcertante ma non sorprendente, data l’ulteriore erosione delle norme democratiche e la preoccupazione crescente suscitata dal potere del BDS quale strumento per rivendicare la libertà”. Secondo l’associazione irlandese Palestine Solidarity Campaign è invece un “distintivo d’onore” essere sulla lista nera redatta dal ministero israeliano, mentre Yousef Munayyer, direttore esecutivo della Campagna per i diritti dei palestinesi degli Stati Uniti, ha detto che: “È chiaro quanto sia diventato efficace costruire il movimento per i diritti dei palestinesi in tutto il mondo”.