di Mara Vigevani
GERUSALEMME – Un gruppo di ragazzi controlla ogni ambulanza che esce da Abu Kabir, l’Istituto di patologia a Tel Aviv. Si tratta degli amici di Esti Weinstein, tutti nati e cresciuti nella hasidut Gur e che hanno abbandonato quel mondo. Sono i “hozrim besheela”, quelli che “ritornano alle domande”, cioè abbandonano il mondo ultraortodosso.
Anche Esti, 50 anni, era tornata a porsi delle domande, 7 anni fa, abbandonando il marito e 6 delle 7 figlie. Non poteva più vivere come hasidat Gur, regole troppo intransigenti, e troppa poca libertà per il suo spirito.
I ragazzi hanno protetto il corpo di Esti: si è suicidata la settimana scorsa ad Ashdod, dove erano nate le sue figlie. L’hanno protetta da quella parte di famiglia che non le ha permesso di riabbracciare le sue figlie e voleva che il funerale avvenisse secondo le loro regole.
Tami, unica figlia ad averla seguita, ci è riuscita e il funerale è stato come voleva lei: con tanti fiori. Al funerale sono arrivate anche le figlie che Esti non vedava più da anni, i suoi genitori e tutti quelli che le hanno voltato le spalle il giorno che ha abbandonato il hasidismo. Per un momento si sono riabbracciati nel dolore, senza tener conto delle differenze.
“Miei cari splendidi bambini , che non ho mai dimenticato, tutto ciò che ho fatto l’ho fatto per voi. Ma gli anni sono passati e il tempo non aiuta, e il dolore per non poter vivere con voi non mi abbandona, cresce”. Così scriveva Esti nel suo libro, in cui racconta del suo dolore e della vita tra le mura del mondo ultraortodosso.
Il caso di Esti ha aperto una finestra su un mondo assolutamente chiuso e su delle problematiche sociali del mondo ultraortodosso.
Esti, sposata a 17 anni, suo marito non pronunciava mai neppure il suo nome , per attenersi alle regole del “Takanot”, una lista di regole a cui le coppie del hassidismo gur si devono attenere. Esti decise già allora di togliersi la vita, non poteva più vivere in quel mondo di regole intransigenti. Quando il suo tentativo fallì, capì che l’unico modo per sopravvivere era quello di abbandonare il hassidismo.
Era sicura che sarebbe riuscita a rivedere le sue 6 figlie. Tami, la figlia maggiore la seguì quasi subito, ma le altre, influenzate dai rabbini e dai famigliari tagliarono ogni legame con lei.
Dal giorno del funerale, i casi di ” hozrey beshela” e le loro storie hanno riempito i giornali e i programmi televisivi israeliani: padri e madri che da anni non possono più vedere i propri figli, figli abbandonati a se stessi, pillole psicotiche che vengono date dai rabbini a quei hassidim “problematici” affinchè non si facciano troppe domande, e sopratutto vite spezzate per la sola decisione di aver scelto una vita diversa. Anche Ilanit non è più riuscita a rivedere i suoi 8 figli. “Il loro metodo è quello di tagliare ogni contatto con chi a deciso di abbandonare il hassidismo e demonizzarlo”, ha dichiarato Ilanit.
Aviva David non incontra i suoi 6 figli da 3 anni. In questi casi lo Stato lascia ai tribunali rabbinici occuparsi dei ragazzi, che ovviamente stanno sempre e solo dalla parte di chi è rimasto nel mondo hassidico. Persino gli assistenti sociali non riescono a controllare la situazione dei minorenni che rimangono con un genitore.
Lo Stato, il parlamento, i partiti, nulla fanno per risolvere questo tipo di situazioni.
Oltre a Esti, le percentuali di suicide tra gli ortodossi e ancora di più tra coloro che hanno abbandonato sono molto alte.