di David Zebuloni
Dopo il quarto tormentato girone elettorale in meno di due anni, Israele sembra essere a un punto di rottura. L’unica vera democrazia del Medio Oriente si trova infatti a pagare il caro prezzo della democrazia stessa. Con un’affluenza, alle elezioni del 23 marzo, del 67 per cento, gli israeliani non riescono dunque a decretare un vincitore assoluto. I due blocchi in corsa, quello di destra e quello di sinistra, sfiorano senza toccare il fatale numero di 61 mandati, ovvero il numero di seggi necessari per formare un governo. Le quinte elezioni sembrano più vicine che mai, ma esistono ancora alcuni scenari secondo i quali la situazione potrebbe ribaltarsi, a favore o a sfavore del governo attuale: il governo di Benyamin Netanyahu.
Andiamo per ordine. I due blocchi in questione sono per l’appunto il blocco di destra e quello di sinistra. Il primo comprende lo storico partito Likud, ovvero il partito del premier in carica Netanyahu, il partito di estrema destra HaTzionut HaDatit e i due partiti ultraortodossi Shas e Yahadut HaTorah. Nell’insieme, i partiti elencati ottengono 52 mandati. Dal lato opposto della mappa politica israeliana, troviamo il blocco di “sinistra” (per modo di dire) capeggiato dal partito Yesh Atid di Yair Lapid, seguito dal partito Blu e Bianco di Benny Gantz, l’ex partito di estrema destra Israel Beitenu ribattezzato nell’ultimo anno di “sinistra moderata”, il partito storico della sinistra laburista che prende il nome di Avoda e il partito di estrema sinistra conosciuto come Meretz. Nell’insieme, questo blocco di partiti ottiene 45 mandati. Meritano un ulteriore approfondimento quattro partiti che non compaiono nella lista dei blocchi citati, ma che potrebbero fare la differenza e garantire a una delle due fazioni un governo solido e duraturo di almeno 61 mandati. I partiti in questione sono i due partiti di destra, Yamina e Tikva Hadasha, e i due partiti arabi Raam e HaReshima Hameshutefet.
Partendo da Naftali Bennett, capolista di Yamina, scopriamo forse il candidato politico più forte e determinante del momento. Nominato dai media e dai sondaggi la “grande promessa” della quarta tornata elettorale, Naftali Bennett ha deluso gli elettori con un misero risultato di 7 mandati, eppure tutti i partiti sembrano volerlo nel proprio blocco. Tutti paiono corteggiarlo pur di averlo in squadra, tanto che Lapid sembrerebbe avergli proposto un governo di rotazione che vede entrambi loro nei panni di premier, due anni ciascuno, con precedenza a Bennett.
Il secondo partito è quello di Gideon Saar, Tikva Hadasha. Un partito nato dal desiderio di Saar di porsi come alternativa a Netanyahu e spodestarlo dal titolo di Capo del Governo e leader indiscusso della destra israeliana. Da ex membro del Likud, dunque, Saar è diventato il nemico numero uno del premier in carica. Colui che Netanyahu preferisce non nominare nelle interviste, tanto il sangue che scorre tra i due è amaro. Ed ecco sorgere un problema apparentemente irrisolvibile: da un lato il capolista di Tikva Hadasha ha giurato di non sostenere Netanyahu al governo, dall’altro ha giurato di non promuovere un governo di sinistra perché si definisce un uomo convintamente di destra.
Il risultato? Quando il Capo di Stato, Reuven Rivlin, ha chiesto a Saar a chi volesse dare la fiducia, egli ha preferito astenersi, non aggiungendo così i suoi 6 mandati a nessuno dei due blocchi. Ultimi, ma non per importanza, sono i tanto discussi partiti arabi. Da un lato troviamo, con 6 mandati, HaReshima Hameshutefet: il partito arabo per eccellenza, così come lo conosciamo da sempre. Membro dell’opposizione dalla fondazione dello Stato d’Israele a oggi, HaReshima Hameshutefet non teme di sembrare poco integrata nel governo israeliano. Anzi, a tratti sembra proprio non volersi integrare. Nella cerimonia del giuramento al governo, infatti, numerosi membri di questo partito si sono rifiutati categoricamente di prestare giuramento e fedeltà allo Stato d’Israele. Dall’altro lato invece, con 4 sorprendenti mandati, troviamo il partito Raam. Un partito arabo del tutto inedito, così come non lo avevamo mai conosciuto prima. Un partito che fa l’occhiolino al blocco di destra, che attacca ripetutamente HaReshima Hameshutefet definendola succube di una sinistra israeliana che non le permette mai di governare. Un partito che corteggia Netanyahu e dice di voler far parte della coalizione per potersi prendere cura dei cittadini arabi in Israele.
Torniamo dunque a noi e ai vari scenari che potrebbero stravolgere e sconvolgere la politica israeliana. Come decretato da Rivlin, il premier Netanyahu è il primo a dover tentare di formare un governo. La sua possibilità di riuscire in questa impresa, tuttavia, risulta alquanto improbabile, se non impossibile. Netanyahu dovrebbe riuscire infatti ad integrare sia Yamina che Raam nel suo blocco. Se da un lato Yamina si definisce un partito di destra e si troverebbe pertanto più a suo agio nel governo di Netanyahu, la tentazione di governare insieme a Lapid potrebbe rivelarsi talmente forte da spingerlo ad entrare nel blocco di sinistra. Per quanto riguarda Raam, invece, il problema si fa più complesso. Se mai Netanyahu dovesse decidere di annettere il partito arabo, per la prima volta nella storia, alla sua coalizione, il partito di estrema destra HaTzionut HaDatit farebbe un passo indietro togliendo il suo appoggio. Il monito del capolista Bezalel Smootrich a Netanyahu, infatti, non lascia spazio a fraintendimenti: “O noi o loro, decidi”.
L’ipotesi Yair Lapid
Anche se Netanyahu non dovesse riuscire a formare un governo, Israele potrebbe comunque non tornare alle urne per la quinta volta in due anni. Il mandato del Capo di Stato passerebbe a Yair Lapid, il quale ha diverse possibilità per riuscire ad arrivare a 61 mandati, seppur arrancando. Lapid avrebbe bisogno del sostegno di entrambi i partiti arabi e di Naftali Bennett. Un governo simile risulterebbe poco omogeneo e poco longevo, poiché definito dal solo desiderio comune di impedire a Netanyahu di governare di nuovo. Non vi sono infatti altre ideologie o altri moventi a legare dei partiti tanto diversi quali Yamina, così profondamente di destra da averlo inciso nel suo nome, e Avoda, così profondamente di sinistra (“Lavoro”). Tuttavia, nonostante la grave crisi governativa in corso, Israele non si trova di certo in ginocchio. Al contrario, sotto certi aspetti lo Stato Ebraico pare trovarsi all’apice della sua reputazione. Con un’operazione vaccini ben riuscita, Israele riesce effettivamente a tornare alla normalità. Riaprono i ristoranti, i teatri e le palestre. I numeri dei contagi si azzerano e i cittadini possono persino smettere di indossare la mascherina all’aperto. Va sicuramente riconosciuto un merito al governo attuale per questo primato mondiale nella lotta contro il Covid. Una dedizione alla causa così assoluta, da parte dei leader israeliani, che fa sperare in un ulteriore tentativo sincero da parte loro di formare un governo stabile, prima che sia troppo tardi. Prima che il popolo perda del tutto la fiducia in loro.
(Foto: courtesy Haim Zach/GPO)