Dopo 42 giorni di trattative, all’ultimo minuto rispetto alla deadline per formare il nuovo governo, Beniamin Netanyahu ha formato il nuovo governo. Determinante l’accordo siglato “Bayt Hayehudi” di Naftali Bennett raggiungendo i 61 seggi necessari per avere la maggioranza alla Knesset. Della nuova coalizione fanno parte anche i partiti “Kulanu” di Moshe Kahlon – nuovo ministro delle Finanze – e i religiosi “Shas” e “Unione per il Giudaismo nella Torà”.
Dopo aver vinto a sorpresa le elezioni politiche anticipate ottenendo 30 seggi per il suo Likud, Netanyahu ha faticato più del previsto per formare la maggioranza a causa dell’inattesa decisione dell’alleato Avigdor Lieberman – leader di “Israel Beitenu” e ministro degli Esteri uscente – di restare all’opposizione, lamentando “eccessivi cedimenti nei confronti dei partiti religiosi”.
Nelle scorse settimane Netanyahu ha cercato anche un’intesa con il centrosinistra di Isaac Herzog per una possibile unità nazionale ma le trattative sarebbero fallite – secondo indiscrezioni – per il veto posto dal Likud sull’entrata nel governo di Tzipi Livni, l’ex ministro della Giustizia co-leader del centrosinistra. Non si può tuttavia escludere che nelle prossime settimane il Likud tenti di riprendere le trattative con Lieberman ed anche con Herzog per allargare una coalizione che, con appena 1 seggio di maggioranza, inizia in salita il mandato di governo.
La maggioranza del governo alla Knesset è dunque molto risicata: un solo seggio.
Governo di ultrà?
E intanto c’è chi parla di governo “di ultrà”. Come spiega all’Huffington Post Avishai Margalit, docente all’Università ebraica di Gerusalemme, tra i più apprezzati analisti politici israeliani: “Quello che sta venendo alla luce è il governo più di destra nella storia dell’Israele contemporaneo”. Un governo, dice il giornale online, “di alleati ma non di “amici”. Perché c’è davvero poco di “amichevole” nel braccio di ferro imbastito da Netanyahu e Bennett, con quest’ultimo che vincolava il sì di Habayit Hayehudi all’assegnazione, naturalmente a lui, del cruciale ministero della Giustizia, una poltrona che “Bibi” pensava di affidare ad un suo uomo di vicino”.
“Quello che sta nascendo in Israele è un governo che non lascia spazio alla speranza di una ripresa del negoziato – dice Saeb Erekat, storico capo negoziatore dell’Autorità nazionale palestinese, raggiunto telefonicamente dall’Huffington Post nel suo ufficio a Gerico -. Netanyahu e i suoi alleati continueranno a perseguire una politica di colonizzazione, di pulizia etnica a Gerusalemme Est, di embargo totale a Gaza”. “Per quanto ci riguarda – aggiunge Erekat – continueremo a batterci in ogni sede e organismo internazionali, a cominciare dalla Corte di Giustizia dell’Aia, perché vengano inquisiti quei governanti israeliani che si sono macchiati di crimini di guerra contro la popolazione civile di Gaza”.
A portare ancora maggiore tensione a un quadro già di per sè alquanto movimentato è la nomina a Ministro della Giustizia della giovane Ayelet Shaked, sostenuta da Naftali Bennett, descritta dal Corriere della Sera come “Giovane e di ultradestra, volto laico dei coloni”. “La sinistra israeliana è preoccupata che da ministra della Giustizia rafforzi la sua battaglia contro le associazioni israeliane per i diritti umani e faccia passare la legge che ne limita i finanziamenti dall’estero – scrive il Corsera -. Per Shaked sono dei nemici in casa sponsorizzati dai liberal di tutto il mondo”.