di Aldo Baquis, da Tel Aviv
Maschi e femmine separati. Gli uni di qua, le altre di là. è accaduto su un volo El Al; e poi in Piazza Rabin a Tel Aviv; o ancora alla Fiera della città con ascensori divisi per genere.
Una battaglia spirituale o di retroguardia? “Guerra dei sessi” o eccesso bigotto?
Tra chi invoca la Modestia femminile e chi grida alla Misoginia maschile, la società israeliana è in subbuglio e divampano le polemiche. Eppure, nell’esercito, le donne svettano nelle unità speciali e oggi comandano tank e carriarmati
La scena ricorda il Woody Allen dei primi tempi. Su un aereo della El Al in partenza a giugno da New York, diretto a Tel Aviv, quattro timorati ebrei si rifiutano di vedere sedute accanto a sé passeggere di sesso femminile. È una chiusura categorica, ideologica, inflessibile. Si rifiutano anche di negoziare lo spostamento delle indesiderate con le hostess, anch’esse di sesso femminile. Uno dei ribelli manterrà gli occhi chiusi per tutta la durata della crisi. «Pensavo fosse cieco», dirà poi un passeggero. Errore: in ossequio al suo concetto di “modestia”, il timorato si rifiutava di posare lo sguardo su ogni essere femminile in quanto tale. I minuti passano. L’aereo è fermo sulla pista. La torretta di controllo nervosamente chiede lumi. L’equipaggio maschile entra in azione. Le passeggere sono infine persuase ad accomodarsi altrove nel velivolo che finalmente decolla, con 80 minuti di ritardo. Ma al suo atterraggio la El Al – che già attraversa un periodo non felice, anche per la feroce concorrenza dei voli low cost – deve misurarsi con l’oltraggio dell’opinione pubblica laica. Perché quella che per gli uni è una virtù encomiabile – la “Modestia” – per altri è piuttosto “Misoginia”: ossia una forma di discriminazione sessuale odiosa ed esecrabile. Dunque da estirpare.
Non è facile gestire una linea aerea, in un Paese a elevatissimo tasso di ideologia come Israele. Perché da un lato non pare saggio scontentare il pubblico osservante, che rappresenta una fetta cospicua dei passeggeri della linea Tel Aviv-New York. Ma dall’altro, un’azienda israeliana di high-tech, forte di 6.000 dipendenti, minaccia adesso di boicottare la El Al se si mostrerà ancora remissiva di fronte a richieste umilianti per una parte dei passeggeri. In futuro, avverte adesso la El Al, chi protesta per la identità dell’occasionale compagno di viaggio sarà lasciato a terra, senza complimenti.
Nel frattempo Modestia e Misoginia si sono affrontate in un altro campo da giochi: la piazza Rabin di Tel Aviv, il “santuario” del laicismo israeliano, che ricorda il sacrificio del premier laburista abbattuto nel 1995 dalle pistolettate di uno zelota ebreo.
In quella piazza, il movimento Chabad ha chiesto a giugno al municipio di poter tenere una manifestazione di massa intitolata “Il Messia in Piazza”, in ossequio al defunto rabbino Menachem Mendel Schneerson. Il sindaco laburista Ron Hulday si è però opposto: non tanto per la venatura “messianica” dell’evento (che è stato anche oggetto di critiche nello stesso mondo ortodosso), quanto per la richiesta di separare fisicamente uomini e donne. Ma gli organizzatori non si sono perduti di animo e hanno espugnato il permesso dal tribunale distrettuale di Tel Aviv che ha dato il suo okay. Di conseguenza, la mitica piazza Rabin quella sera è stata tagliata da 50 metri di transenne in due fette: uomini di qua, donne di là. Polizia in mezzo per agguantare eventuali contestatori. Il tutto con grande felicità di quanti vi hanno visto una vittoria della “Modestia” (in una partita difficile, disputata in trasferta nella laica Tel Aviv) e con eguale costernazione di chi ha invece gridato con allarme alla “Misoginia”, ovvero quei tel-aviviani che temono che un giorno la loro città rischi di diventare simile a un rione della località di Beit Shemesh, dove cartelli stradali (apposti da privati, ma di tono perentorio) indicano marciapiedi separati per uomini e donne.
Fantascienza? Non proprio.
All’inizio di luglio i 3.000 partecipanti a un congresso tenuto nella Fiera di Tel Aviv si sono trovati di fronte ad “ascensori separati” per sessi: una separazione che avrebbe lasciati increduli abitanti di Londra, Parigi o Madrid.
Particolare inquietante: l’evento in questione non era stato organizzato da una stravagante setta mistica, bensì da un partito di governo – Focolare ebraico – che detiene i dicasteri dell’istruzione e della giustizia. La stretta separazione dei sessi, ha spiegato uno degli organizzatori al quotidiano Israel ha-Yom, non è affatto una forma di “misoginia”, ma a quanto gli risulta è una condicio-sine-qua-non affinchè avvenga il ritorno della Shechinà, la Presenza Divina, nel mondo.
Insomma, chi avesse scorso frettolosamente i giornali avrebbe potuto concludere che nella separazione fra i sessi all’interno della farhesia (lo spazio pubblico), Israele stesse perdendo velocemente posizioni scendendo a livelli iraniani o indiani.
Conclusione però avventata, perché negli stessi giorni il portavoce militare israeliano annunciava invece con orgoglio che quattro soldatesse di leva – cresciute in unità miste di combattenti maschi e femmine, la Caracal e la Bardelas – avevano appena concluso il corso da comandanti di tank e carro armato. Non è chiaro se esistano altri esempi del genere al mondo. «Non abbiamo fatto loro ‘sconti’», ha assicurato il comandante. Hanno dimostrato di essere non solo in perfetto controllo dei mezzi blindati, ma hanno anche dovuto orizzontarsi in zone aperte, partecipare ad attacchi di obiettivi, e dare prova di autorevolezza sui loro sottoposti. «Sono ragazze straordinarie», ha aggiunto, indirizzando implicitamente le sue parole a rabbini nazional-religiosi (istruttori di corsi pre-militari), che di recente si sono espressi categoricamente contro la inclusione di ragazze nelle unità combattenti dell’esercito e, in particolare, contro la possibilità che esse si trovino rinchiuse nelle torrette dei loro blindati con soldati di sesso maschile. In questa circostanza gli oltranzisti della cosiddetta “Modestia” hanno perso una posizione: l’esercito si è confermato infatti come un fermo difensore dei valori dell’Israele laico di un tempo. Quello di David Ben Gurion che ancora nel luglio di 60 anni fa diceva «Non saranno i rabbini a comandare. Israele non sarà uno Stato teocratico, occorre impedire guerre di religione».
Chi conosce Israele, sa bene che è comunque uno Stato molto dinamico, in perpetuo fermento. Ecco così che Modestia e Misognia si sono affrontate in queste settimane anche sul terreno più scottante: quello della Spianata del Muro del Pianto. Sul tavolo c’è la irrisolta questione dell’allestimento di un settore per le preghiere non strettamente ortodosse a ridosso del Muro. La richiesta è giunta da ebrei riformati e conservative Usa, che si sono sentiti discriminati dall’establishment ortodosso che controlla l’area del Muro.
Per complesse alchimie di politica interna, negli ultimi anni il Likud si è gradualmente avvicinato alle posizioni degli ortodossi e la Ministra che dovrebbe seguire il progetto del nuovo settore di preghiere (Miri Regev, cultura e sport) ha dunque preso adesso posizione: «Per motivi di coscienza mi sarebbe insopportabile la vista di donne in preghiera al Muro del Pianto con addosso un talled», ha detto, prima di autosollevarsi da quella incombenza.
Ed è così in questo punto preciso che il confronto politico ha cessato di essere una questione interna israeliana e ha messo in questione i rapporti stessi fra Israele e Diaspora, in particolare quella statunitense.
Con la crescente influenza sull’esecutivo di Gerusalemme degli ambienti ortodossi e di quelli nazional-religiosi di Focolare ebraico, gli ebrei riformati e conservative americani si sentono sempre più alienati in Israele. La frattura – secondo recenti sondaggi di opinione condotti in Usa – si sta allargando. E qui, a sorpresa, entra in campo un fattore inaspettato: l’ex leader laburista Yitzhak Herzog detto Buji, che a fine giugno è stato nominato nuovo presidente dell’Agenzia ebraica, la Sochnut, in sostituzione di Nathan Sharansky che l’ha guidata negli ultimi nove anni. Proprio Herzog, di cui è ben noto il carattere mite, potrebbe essere il ricucitore delle relazioni fra Israele e Diaspora Usa. Herzog è molto popolare fra gli ebrei anglosassoni, essendo nipote dell’ex rabbino-capo di Israele Yitzhak ha-Levy Herzog (in precedenza rabbino-capo degli ebrei irlandesi), nonché figlio di Haim Herzog, ex comandante dell’Intelligence militare, generale della riserva, ex ambasciatore all’Onu e poi Presidente e capo dello Stato (1983-93). Nel suo Dna familiare ci sono tutti gli elementi utili a stemperare le tensioni fra ortodossia e laicismo, fra nazionalismo e rapporti col mondo esterno. Il successo dell’ex leader laburista Herzog sarebbe una vittoria non solo personale, ma anche per tutto il Paese, e un contributo alla rimarginazione della terribile ferita avvenuta il 4 novembre 1995, quando il suo illustre maestro di pensiero, Itzchak Rabin, fu abbattuto dalle pallottole di un fondamentalista ebreo. Più importante ancora: sarebbe la conferma che il crimine non paga, che quel crimine non ha pagato, seminando veleno e gramigna.