Israele mon amour

Israele

di Pia Jarach

«Avevano solo 3 minuti per uscire dalla fabbrica segreta e sparpagliarsi per il kibbutz senza essere scoperti dagli altri e poter prendere una boccata d’aria e mangiare con tutti gli altri nella grande mensa comunitaria…»

Sembra l’incipit di un romanzo di Ken Follett, invece sono le parole che hanno segnato l’inizio della nostra missione in Israele, per voce della guida dell’Istituto Ayalon nel Kibbutz Hill. Appena scesi dall’aereo siamo stati catapultati indietro nel tempo, visitando la fabbrica di munizioni clandestina che dal 1945 al 1948 ha prodotto sotto il naso dei mandatari britannici milioni di pallottole, che hanno permesso al giovane Stato d’Israele di difendersi autonomamente dall’attacco dei Paesi Arabi che non ne accettavano la nascita.

45 eroici volontari dell’Haganà (quasi lo stesso numero di noi partecipanti a questa missione del KH!) si sono prodigati nella clandestinità e in modo rocambolesco per anni, coperti solo dall’inconsapevole sferragliare di una lavanderia e dal calore di un forno per la panificazione.

Il giorno seguente, sempre per restare in tema di avventura, eccoci tutti con un paio di occhialini 3D sul naso per vedere il video di presentazione delle Industrie Aerospaziali Israeliane, con droni che sembravano sfiorarci e scenari di attacchi aerei degni dei migliori videogames. Eppure anche questa è realtà: i droni (velivoli senza pilota) li abbiamo visti in “carena e bulloni”, abbiamo spalancato gli occhi nel vedere i giganteschi hangar a ridosso del Ben Gurion Airport popolati di aerei di mezzo mondo in manutenzione o in trasformazione (già, perché Israele è specializzato in questo e quasi tutte le compagnie si fidano dei suoi tecnici e delle sue tecnologie!) e abbiamo ascoltato incantati quanti ordini evade Israele in questo campo. La nostra meraviglia per le tecnologie avanzate locali è poi proseguita durante la visita alla Elbit System, la società di sistemi satellitari elettro-ottici, dove abbiamo potuto vedere ad occhio nudo i particolari del paesaggio a 40km di distanza, attraverso le lenti di binocoli termici adatti alla visione notturna, che Israele vende in tutto il mondo.

Niente a che vedere con la tenerezza delle bimbe etiopi che nel Centro di Assorbimento di Ashkelon ci hanno accolto nel pomeriggio danzando per noi e offrendoci il loro pane per la festa e il loro caffè. In questo e negli altri centri sostenuti dal KH, i nuovi immigrati dall’Etiopia trovano la loro prima casa, arredata e con tutto ciò che a noi sembra normale avere in casa, dal frigorifero alla cucina e all’acqua calda. Ma per la maggior parte di loro si tratta di un vero salto nel futuro, giacché nel loro Paese d’origine vivevano ancora con ritmi antichi e poverissimi. I bambini imparano in fretta, frequentano le scuole pubbliche e l’ulpan (corso di ebraico) interno al centro; le donne e gli uomini imparano la lingua e sono sostenuti economicamente e culturalmente fino a quando non sono in grado di “volare” da soli con le proprie famiglie: il percorso può durare anche più di un anno.

Già di per sé è una realtà non semplice e gli operatori che vi lavorano devono avere un cuore particolarmente grande, perché lo stipendio non può bastare quando per esempio viene lanciato l’allarme che segnala l’arrivo di razzi dalla striscia di Gaza: a quel punto ci si deve mettere qualcosa di più per portare nei rifugi in una manciata di minuti tutti i bambini che stanno giocando ignari nella piazzetta del centro, mentre i genitori stanno lavorando… Ad Ashkelon come in atre località di quest’area d’Israele succede molto spesso ed è destabilizzante, anche se poi vince sempre la voglia di vivere e di andare avanti.

Quella sera siamo stati ospiti a cena del nuovo Ambasciatore italiano in Israele, il Dr. Talò e di sua moglie, nella splendida residenza ufficiale di Tel Aviv e abbiamo  capito di condividere con loro le già forti emozioni che la giovane Israele sa trasmettere e la voglia di esportarle insieme alle tecnologie nella nostra vecchia Italia.

La mattina seguente abbiamo dato un ultimo saluto al mare scintillante e già costellato di bagnanti davanti al nostro hotel Dan di Hayarkon Street e con la nostra guida, Giordana Moscati, e il nostro shaliach, Dani Viterbo, siamo partiti alla volta di Gerusalemme. Il pullman ci ha lasciato in prossimità del Parlamento, la Knesset. Prima di entrare non abbiamo resistito a farci qualche foto con la gigantesca menorah posta di fronte all’ingresso e poi è iniziata l’esplorazione del cuore della democrazia israeliana.  Per fortuna ben 5 membri del nostro gruppo erano bambini, fra i 10 e l’anno e mezzo, perché durante tutta la visita non facevamo che incontrare folti gruppi di orgogliosi bimbi di ogni età con le loro insegnanti e il nostro gruppo senza di loro avrebbe quasi stonato!

Margherita, Carola, Francesca, Ginevra e Tancredi, sono stati esemplari perfino durante l’incontro con il ministro Benny Begin, che oltre che lontano mille miglia dall’immagine di ministro che abbiamo dalle nostre parti (d’accordo, è un ministro senza portafoglio…ma anche senza assistenti, né segretari, senza giacca, senza auto blu, allergico alla scorta e senza nemmeno biglietto da visita!) ci ha illustrato molti aspetti della realtà odierna del suo Paese con un fare semplice e diretto comprensibile a tutti.  La sala del Parlamento ci ha quindi accolto fra i suoi banchi e gli splendidi e giganteschi arazzi di Chagall ci hanno stupito e affascinato prima di riprendere la nostra strada verso il Muro del Pianto, il Kotel, e l’emozionante visita al camminamento rinvenuto sotto il Muro stesso. Lì si sono cominciati a vedere i primi occhi luccicanti di commozione, i primi veri sguardi di chi è già innamorato e ritrova l’oggetto del suo amore o di chi si sta perdutamente innamorando: della città shel zaav, tutta d’oro, e di Israele.

Finalmente in albergo, il David Citadel, affacciato magicamente sulle mura della città vecchia, di fianco alla recuperata strada di Mamilla che ti porta in un batter d’occhio alla porta di Jaffa e nell’ombelico del Mondo con le sue sinagoghe, moschee, chiese e monasteri, botteghe e ambulanti, viandanti e sacerdoti, turisti e indaffarati cittadini.

Il ritmo dei nostri impegni è serrato, abbiamo giusto il tempo di cambiarci e poi fuori di nuovo diretti a un ottimo ristorante e all’incontro con l’adrenalinico rappresentante del progetto Ayalim. La sua vitalità e il suo ottimismo ci hanno lasciati senza parole e ci hanno fatto venire una gran voglia di partecipare fisicamente alla costruzione dei nuovi Villaggi per Studenti nel Negev e in Galilea. Il progetto, sostenuto anch’esso dal KH, vede centinaia di studenti (e la lista d’attesa aumenta di ora in ora) che hanno voglia di dare il proprio contributo alla ripopolazione delle aree più ruvide e inospitali d’Israele, vicino a realtà urbane difficili vuoi per la loro perifericità, vuoi per le tensioni con Hamas e Hetzbollah, vuoi per la povertà della popolazione. I giovani di Ayalim decidono di dare il proprio tempo libero come volontari mentre frequentano le università in quelle aree e, contemporaneamente di aiutare a costruire nuovi villaggi di soli giovani e abitarvi temporaneamente. La scommessa è quella di un nuovo stile di pionerismo che porti a far rifiorire anche le zone ritenute fin ora più inospitali, dove mettere nuove radici e crescervi nuove famiglie, per un futuro come quello auspicato dallo stesso Ben Gurion, nel deserto.

E’ già venerdì, sembra passato molto più tempo da che siamo partiti dall’Italia.

Si visita Yad Vashem, il cuore si gonfia ancora una volta di emozioni forti.

Poi al Villaggio Dr. Israel Goldstein, villaggio per giovani dell’Havat Hanoar a Gerusalemme.  Nato per assorbire i giovani sopravvissuti alla Shoah e dar loro un futuro nella neonata Israele, oggi è un punto di eccellenza nella formazione dei giovani che scelgono di venire in Israele senza famiglia, stupendi ponti fra culture ebraiche sopite nei Paesi d’origine e il futuro. Ci hanno accolto nel Centro Culturale Luigi Einaudi e ci hanno mostrato tutta la loro energia e bravura artistica, in una performance piena di colore, di musica, di danze e di calore. Ci ha raggiunto per l’occasione l’Ambasciatore Talò con il figlio minore, che è rimasto come tutti piacevolmente impressionato da tanta e tangibile effervescenza. Vorrei dilungarmi anche su questo, ma lo spazio non me lo consente. Dirò solo che anche il Villaggio è sostenuto dal KH, ed è un condensato di tutto ciò di cui avrebbe disperatamente bisogno anche l’Italia per trasformare finalmente il suo sistema educativo in un vero giardino di vitalità, speranza e di eccellenza. Con il suo direttore Pini Cohen e con la direttrice dello sviluppo, Judy Segal si cercano vie di scambio continue e scommetto che alla fine ce la faremo!

In albergo svelti, prima che inizio il mistico Shabbat di Gerusalemme…

Il kiddush ci vede riuniti in una sala dell’hotel, dove abbiamo il piacere di ospitare l’ultimo Ambasciatore d’Israele al Cairo, Itzhak Levanon, che ci racconta della primavera araba da lui vissuta in prima persona e da cui è dovuto letteralmente fuggire insieme a tutto il personale dell’Ambasciata. Di nuovo un’avventura faticosa, di nuovo una fuga per il solo fatto di essere ebrei e di rappresentare lo Stato d’Israele: finirà mai questa condanna?

Per fortuna il cuore si alleggerisce da questi pensieri ascoltando le bravissime e giovani cantanti del coro “a cappella” Hakol Hashishà.

Sabato è festa, ci aspettano e ci accolgono con affetto alla Sinagoga Italiana, dove incontriamo amici e parenti in un clima ancora totalmente estivo.

Poi si passeggia, si cammina, c’è chi farà l’Avdalà per tutti…

Appena usciti dallo Shabbat ci dirigiamo verso la Torre di Davide in città Vecchia per assistere al magico spettacolo Light and Sound sulla storia di Gerusalemme. Ed è emozione pura per tutti, prima di cenare al Darna, favoloso ristorante marocchino, e lasciare che ognuno di noi esprima i suoi sentimenti sulla missione. Chi c’era lo ricorderà come un momento catartico soprattutto per alcuni che senza vergogna, ormai in una specie di famiglia allargata, ha lasciato che l’emozione sgorgasse fra riso e pianto, applausi e abbracci.

Domenica. In mattinata ci attende ancora la visita alla base di polizia al confine con l’Autorità Palestinese di Kalandia (Atarot), vicino a Ramallah. E’ interessante e impressionante capire sul campo come sia difficile conciliare la sicurezza con il rispetto verso tutti e con quanta scrupolosa attenzione e professionalità venga svolto questo lavoro da parte israeliana, siano esse giovani reclute addette al controllo delle telecamere, o poliziotti di carriera pronti a intervenire per sventare infiltrazioni, attacchi e attentati.

Un veloce giro al mercato di Mahanè Yehuda conclude la nostra missione, fra acquisti di spezie e un ultimo falafel annaffiato dalla mitica spremuta fresca di melograno o arancia…

I profumi e i colori di Gerusalemme sembrano salutarci di malavoglia e sono certa che ognuno di noi le prometta in cuor suo di tornare presto e di parlare in Italia di tutto ciò che abbiamo visto, sentito, toccato con mano per promuovere un’immagine più reale e positiva di Israele di quanto non si continui a leggere sulla nostra stampa imbevuta troppo spesso di pregiudizi e di opportunismi.

A questo servono le missioni del Keren Hayesod: a ridare vigore al legame con questo Paese speciale e unico, a crearne di nuovi, a seminare negli animi bellezza, speranza e voglia di vivere. Servono a creare nuove amicizie, servono a ricordarci che credere in qualcosa da la forza di superare ogni avversità presente e di guardare al futuro senza tremare. Servono a capire una volta di più che aiutare gli altri e vederne i risultati, beh, è meglio di qualsiasi cura ricostituente. Ci rivediamo l’anno prossimo. A Gerusalemme, con amore.