Israele Stato nazionale: perché la Legge Fondamentale divide Israele

Israele

di Alberto Corcos

Continua il dibattito sulla legge Stato-Nazione varata dalla Knesset il 19 luglio. Dopo gli interventi di Giorgio Sacerdoti e di Stefano Levi Della Torre, ecco una voce da Israele.

Ho letto con interesse il commento del Prof. Sacerdoti sulla legge fondamentale denominata Stato Nazionale, ma desidero intervenire per completare il quadro informativo per i lettori di Mosaico – e lo dico da cittadino d’Israele che segue la politica perché crede nella necessità di uno Stato Ebraico. Ma lo faccio con spirito critico, senza sottostare alla retorica del pensiero unico. Le precisazioni riguardano le gravi ricadute sugli equilibri e contrappesi politici provocate da questa nuova Legge Fondamentale. Si tratta di aspetti sfiorati nell’articolo del Prof. Sacerdoti, ma importantissimi per chi vive nell’Israele reale. Mi auguro che questo intervento faccia comprendere ai lettori perché questa legge ha sollevato un’ondata di proteste, culminata con una manifestazione di oltre 50.000 cittadini di ogni origine scesi in piazza Rabin per protestare sabato sera del 4 agosto.

La Legge sullo Stato Nazionale
La Legge Fondamentale: Stato Nazionale (QUI testo in Inglese), s’inserisce nel corpo “quasi-costituzionale” sia della Dichiarazione d’Indipendenza dello Stato d’Israele sia delle altre Leggi Fondamentali. Per adottarla democraticamente in modo consono al suo valore universale, sarebbe stata più opportuna una concertazione con tutte le forze politiche rappresentate alla Knesset nei 120 seggi. Tuttavia, la legge è passata per un pelo, come una legge qualsiasi, con 62 voti favorevoli e 55 contrari. Ma la questione della debole rappresentatività, anche se legale, non è tutto.
Afferma giustamente il Prof. Sacerdoti che questa legge non cambia diversi pilastri della natura dello Stato d’Israele e che molti di questi si trovano già chiaramente declinati ma sparsi in altre leggi. Ma allora che bisogno c’era di fare un’ulteriore Legge Fondamentale che ripete quanto già stabilito altrove? Perché proprio in questo periodo? Che i motivi di questa decisione possano essere altri che non quelli “patriottici” è molto probabile e ci tornerò fra poco; allora qual è il problema?

Problema n. 1 – Non riaffermazione della Democrazia e dei pari diritti dei cittadini. Pur non cambiando alcuni altri aspetti ideologici importanti, la Legge “Israele Stato Nazionale” stravolge un principio fondamentale condiviso per 70 anni: l’adesione ad un modello di stato ebraico democratico e liberale. Infatti, mentre la Dichiarazione d’Indipendenza garantisce “completa parità di diritti sociali e politici a tutti i suoi cittadini senza distinzione di religione, razza e sesso”, la legge approvata dal Governo Nethaniahu non riafferma i pari diritti di tutti i cittadini (nota: secondo l’Ufficio Centrale di Statistica il 74.5% della popolazione è composta da Ebrei, il 20.9% da Arabi, il 4.6% da Cristiani, Baha’i ed altri), anzi declassa la lingua araba parlata da Drusi, Circassi, Musulmani i quali in totale costituiscono più del 25,5% della popolazione.

È bene considerare che la lingua è un elemento identitario, riconosciuto come tale, oltre che dal diritto internazionale, anche a livello scientifico. Ma lo status “speciale” stabilito da questa Legge Fondamentale colloca le minoranze arabofone in una categoria non-paritaria, se non discriminata.
Non è poi un caso che una legge approvata due giorni prima della legge dello Stato Nazionale limiti l’accesso dei palestinesi all’Alta Corte di Giustizia ma espanda al contempo la giurisdizione della legge israeliana agli Ebrei residenti in Giudea e Samaria. Alcuni temono che questo possa essere un trampolino di lancio per l’annessione e l’unificazione della popolazione palestinese con quella israeliana, ponendo una grave ipoteca di rappresentatività e democrazia dello Stato d’Israele. Tutto ciò infine contribuirebbe a una percezione negativa di Israele da parte degli Ebrei della diaspora.

Problema n. 2 – I rapporti Maggioranza-Minoranze. Un’altra Legge Fondamentale: “Dignità umana e Libertà” afferma “i valori dello Stato d’Israele come stato ebraico e democratico” nel quale “non sarà possibile alcuna violenza alla vita, fisica o morale di nessuna persona umana in quanto tale”. Alcuni giuristi affermano che questa formula significa “uguaglianza”; principio ignorato dalla nuova legge sullo Stato Nazionale che viceversa pone un’eccezione identitaria, ossia che la comunità civile araba israeliana è altro da quella dei cittadini ebrei.

Se dal lato religioso e nazionalista questo è persino ovvio, non lo è dal punto di vista del Diritto israeliano e del concetto occidentale di Democrazia, vigente in Israele da 70 anni. Questa uguaglianza non è un concorso per il Premio Israele: non può essere assegnato come riconoscimento a una comunità piuttosto che a un’altra. L’uguaglianza è un diritto naturale, di arabi ed ebrei, drusi, etiopi, sefarditi e askenaziti, donne, uomini e gay.

La reazione dei Drusi e dei Circassi, così come quella dei cittadini Ebrei liberal, è stata furibonda. Queste due comunità israeliane di lingua araba, con una propria fede religiosa, da sempre fraternamente leale e identificata con lo Stato, vanta soldati ed alti ufficiali nell’esercito (e parecchie vittime nei loro ranghi), è attiva nel lavoro e nella politica. Improvvisamente si è vista respinta, declassata e insultata da questa legge. Si sono dimessi alti ufficiali e parlamentari Drusi. Nethaniahu ha convocato una riunione per mediare e l’ha abbandonata pretestuosamente per mettere in cattiva luce i leader più giovani meno accomodanti.

Problema n. 3 – Rapporti con la Diaspora.
Se l’articolo del Prof. Sacerdoti descrive bene il pensiero dei fautori della legge, gli oppositori sottolineano che questa potrebbe incoraggiare i prossimi governi d’Israele, già sottoposti ad una forte pressione politica da parte di una minoranza in crescita, quella dei partiti haredim (i c.d. ultra-ortodossi), a prendere decisioni che riguarderebbero l’intero popolo ebraico. Questo, senza troppa considerazione per le ricadute sulle Comunità della diaspora e dunque in evidente contraddizione con la stessa Legge Fondamentale appena approvata. Così, sostengono gli oppositori della nuova legge, un principio che pretendesse (autoreferenzialmente) di rafforzare l’identità religiosa degli ebrei di Israele secondo una stretta adesione all’ortodossia, in conflitto con altre importanti correnti dell’Ebraismo e in primis con quella Reformed americana, potrebbe minare in ultima analisi l’unità del popolo ebraico. A questo si aggiunga quanto già detto nel primo punto, sull’assetto giuridico futuro dello Stato.

Tutto ciò non fa presagire niente di positivo nei futuri rapporti di questo Governo con le minoranze fino ad oggi leali alleate, nei confronti di metà del Paese che ha chiesto di emendare la legge e con alcune importanti componenti delle Comunità ebraiche della diaspora.
Qualche lettore potrebbe anche pensare che questo sia il punto di vista di un fanatico estremista di sinistra e ovviamente traditore della Patria, ma vorrei tranquillizzarlo.
Queste stesse considerazioni, sia pure in tempi e con accenti diversi, sono state appena pubblicate sulle testate nazionali, con articoli su noti e pericolosi Bolscevichi (così ha definito pubblicamente gli oppositori di questa legge il figlio di Bibi, Yair Nethaniahu!): in primis Reuven Rivlin Presidente dello Stato d’Israele, seguito da molti esperti e politici israeliani di indiscutibile lealtà per lo Stato: dagli ex capi di Stato Maggiore di Tsahal Benny Ganz e Gaby Ashkenazi (“Voglio dire [a Drusi e Circassi] che sto con loro. Li ho conosciuti per decenni, abbiamo combattuto gli uni accanto agli altri, siamo caduti gli uni accanto agli altri”), da tre ex Direttori del Mossad Tamir Pardo (“Non è una questione di destra o sinistra, né di seguire un partito o un altro. È una questione di valori”), Yuval Diskin (“Questa legge è un abominio”) e Ami Ayalon. Da una serie di intellettuali e artisti, sconosciuti in Italia ma molto seguiti in Israele. Da otto Capi della Polizia in congedo: Yaakov Terner, Rafi Peled, Asaf Hefetz, Yehuda Vilk, Shlomo Aharonishki, Moshe Karadi, Dudi Cohen and Yohanan Danino. Da politici liberali, per citarne solo alcuni, come Benny Begin, Sherwin Pomerantz (industriale e presidente dell’Istituto di Studi Ebraici “Pardes”), Zipi Livni (“Convertiamo la Dichiarazione d’Indipendenza in Legge Fondamentale in sostituzione di quella sullo Stato Nazionale”), e del centro come Avi Gabbay, Ron Huldai (sindaco di T.A. “una brutta macchia per la democrazia”).

Le possibili motivazioni di questa legge
Perché dunque il Governo Nethaniahu se ne sarebbe uscito adesso con questa legge formulata in questi termini? Tutto si può dire di Bibi, ma non che sia un ingenuo. Infatti, i motivi della tempistica sono chiaramente legati a due aspetti della sua vita politica.
1. Nethaniahu ha tre inchieste penali pendenti per reati come corruzione, abuso di fiducia e interessi privati (violazione del giuramento di fedeltà allo Stato) che attendono dal Procuratore dello Stato una decisione, cioè se archiviare o procedere (l’azione penale sembrerebbe la più probabile, si parla di febbraio-marzo). Così lui cerca di acquisire meriti da unico salvatore della nazione, senza condividere niente con quei 55 deputati delle opposizioni che, fatti opportuni emendamenti, avrebbe potuto coinvolgere nella votazione.
2. La coalizione di destra sta incrinandosi in vista delle prossime elezioni a metà 2019. Ogni leader di partito cerca di fare leggi che lo mettano in buona luce davanti ai suoi elettori con un cinico calcolo elettorale. Le ultime leggi non giovano alla nazione ma al leader del partito promotore, per fare colpo sulle emozioni dei propri elettori. In tutti i casi o Nethaniahu supporta quelle leggi o i partiti si dimettono dal Governo che si scioglierebbe subito, e Bibi perderebbe l’immunità.

 

Una realtà dura da digerire
Per questi motivi il Likud ha promosso un’intensa campagna denigratoria contro la Polizia e la Corte Suprema di Giustizia che stanno indagando Nethaniahu (è il metodo: ricordate le litanie berlusconiane sulle “toghe rosse” e il complottismo?) inducendo nella Corte una prudenza aggiuntiva. Il partito Yahadut HaTorà Hameuhedet (haredim askenaziti) ha potuto rinviare la decisione sull’arruolamento degli studenti di yeshivà, e lo Shas (haredim sefarditi) ha ottenuto la chiusura inderogabile di quasi – ma non tutti! – gli esercizi commerciali di Shabbat (ricordate la battuta dell’ebreo che di shabbat trova una banconota per terra, la raccoglie e grida al miracolo: Shabbat tutt’intorno ma non davanti ai miei piedi!).

E poi Lieberman che spinge invece la legge sul reclutamento dei haredim per deliziare i russi antireligiosi, ma soprattutto per far loro dimenticare il grave caso di corruzione e di riciclaggio che da quattro anni pende sul suo partito Israel Beitenu. E finalmente il partito nazional-religioso Bait Yehudì col duo Bennet e Shaked (ministra della Giustizia) i quali hanno indotto Nethaniahu a far votare la Legge Israele Stato Nazionale, mentre la Shaked ha minacciato pubblicamente una battaglia legale contro la Corte Suprema di Giustizia (che dovrebbe esserle superordinata) se questa “si azzarda” a bocciare la Legge in questione.

Preso da questi giochi politici, il governo Nethaniahu non sembrerebbe avere la capacità o la volontà di prendere decisioni idonee a risolvere i problemi veri e più pressanti per il popolo israeliano. Sul tavolo c’è una gran quantità di questioni irrisolte: in primo luogo, la mancanza di una visione e di una strategia politica ed economica (durerà la leadership dell’hi-tech? Senza infrastrutture industriali robuste, ci sarà benessere per tutti?). C’era una volta un sistema scolastico (riforma Piron) che funzionava, oggi la riforma Bennet produce più haredim e bullismo, ma meno competenze tecnico-scientifiche degli scolari (confrontate con i dati OCSE) e questo riduce il potenziale competitivo in campo scientifico e hi-tech a medio termine: perché non si interviene?
Poi, come gestire lo stillicidio di palloni incendiari e missili che si abbattono periodicamente sulla regione di Eshkol, dipende solo dalla minaccia iraniana? Che dire dell’Istituto Nazionale della Previdenza (Bituah Leumi) che ha annunciato un profondo deficit per il 2022 e il conseguente rischio di fallimento nel 2037: va tutto bene? E quanto può attendere la revisione delle pensioni degli invalidi e dei superstiti della Shoà che sono sotto il minimo della sopravvivenza: sono soltanto fatti loro? Gli attuali minimi salariali non garantiscono una vita decorosa dei lavoratori generici, una coppia arriva con fatica a fine mese – per inciso succede a diversi olim italiani – è bene per loro e per il Paese?
A nord di Tiberiade, ha avvertito il Controllore dello Stato, le abitazioni sono ad altissimo rischio sismico; ma le imprese edili evitano i lavori di messa in sicurezza perché “non remunerativi” anche con i sussidi della legge TAMA 383 , mentre il Governo lascia circolare un’enorme massa di capitali per costruire nuovi condominii in Yehudà VeShomron: la vita dei residenti poveri a nord vale meno di quella degli elettori “patrioti” benestanti del sud?

Tempo di populismo
Tutto questo avviene mentre un poco alla volta, legge dopo legge, il Governo sembrerebbe trovare occasioni per smembrare un tessuto democratico, certamente imperfetto ma costruito e condiviso nei 70 anni di Stato dai Liberali del Likud prima maniera e dai Laburisti, e sostituirlo con la visione del Likud di oggi e dei Nazional-Religiosi: uno Stato populista, autoritario d’ispirazione religiosa, simile a quelli turco o polacco. O forse alla Ceausescu, viste le denunce pubblicate da quotidiani non “di sinistra”, d’ingerenze nelle decisioni di Stato della moglie Sara e del figlio Yair.
Molti israeliani sono stanchi di questa situazione e si pongono un legittimo interrogativo: chi potrebbe efficacemente prendere le redini del governo e dei ministeri chiave? Nethaniahu innegabilmente è anche il leader che ha avuto il merito nelle legislature precedenti di aver modernizzato Israele; lui ha stretto ulteriormente la collaborazione con gli USA, accordi con la Russia di Putin, ha promosso Israele in Africa e in Asia. Nella diaspora come in Israele, tanti sono convinti che esista solo Nethaniahu, molto abile nell’autocelebrazione, per taluni a volte sopra le righe di uno statista, in oltre un decennio di comunicazione.
Ma per fortuna non è proprio così. In questo groviglio di interessi di partito, di coalizione e di casi di corruzione fra tali “patrioti”, coccolati e idealizzati nella diaspora, chi ci sta perdendo sono tutti i cittadini dello Stato d’Israele (e con loro anche gli stessi Ebrei della diaspora). Sono in molti ormai ad augurarsi che i politici rimasti fuori dall’attuale politica e quegli amministratori pubblici stimati dimessi anche dal Likud o da importanti incarichi di Governo in attesa di nuove elezioni, possano in futuro riportare il Paese lontano dalla retorica di Nethaniahu e dei suoi sodali, verso i valori fondanti d’Israele per ricompattare il Paese e affrontare in modo adeguato tanto i gravi problemi irrisolti, quanto le complesse questioni internazionali all’orizzonte.