La Croce Rossa si presta al progetto comunicativo di Hamas, che viene così legittimato

Israele

di Ugo Volli

Nelle tragiche e grottesche coreografie ripetutamente allestite nelle scorse settimane da Hamas per la restituzione su riscatto degli israeliani rapiti c’era un elemento in più, oltre ai terroristi ben armati e vestiti di uniformi fumettistiche con passamontagna nero, ai cameraman anch’essi abbigliati di tuta mimetica, all’”innocente” popolo di Gaza in festa, e ai poveri prigionieri, o ai loro resti, costretti a un ruolo umiliante e inumano.

Erano le automobile bianche della Croce Rossa, ben schierate in fila in attesa del carico e i suoi funzionari in pettorina rossa, seduti sul palco  con una bandierina palestinese davanti, che si facevano riprendere intenti a stringere la mano del capo terrorista prima di firmare il documento insensato che veniva loro sottoposto: una sorta di ricevuta per la merce umana che dovevano condurre qualche chilometro più in là, dove le attendevano i mezzi delle forze armate israeliane. È una mediazione che poteva svolgere un qualunque mezzo di trasporto non qualificato, o che poteva essere evitata con la consegna al confine, come avviene nei film neri e probabilmente anche in realtà per gli scambi delle spie. Ma la Croce Rossa nel progetto comunicativo di Hamas aveva evidentemente una funzione di legittimazione, di riconoscimento del carattere ufficiale e quasi diplomatico di quella la consegna di una refurtiva umana, dell’esibizione del crimine e del suo potere.

La Croce Rossa si è prestata a questo ignobile teatrino, non ha rifiutato di firmare la ricevuta di un sequestro di persona e solo tardi, negli ultimi giorni, dopo essere stata sepolta dalle critiche per la sua complicità con Hamas, ha emesso un comunicato dicendo che era necessario rispettare la dignità umana degli “ostaggi” e condurre gli scambi in maniera dignitosa. Ma non per questo si è sottratta alla lugubre ultima cerimonia con le bare nere dei due bambini Bibas, dell’anziano Ofed Lifschnitz e di una persona sconosciuta spacciata per Shiri Bibas, marchiate dalla data del loro “arresto” (“l’arresto” di un neonato e di un bimbo di 5 anni, il 7 ottobre del 2023…), sullo sfondo del grande telone con l’immagine di un Netanyahu con i denti insanguinati di un vampiro e l’accusa di aver ucciso lui le vittime di Hamas.

 

Perché tanta accondiscendenza da parte della Croce Rossa?  I comunicati dell’ente invocano la “neutralità” della sua azione, ma basta cercare un po’ sui siti, quello internazionale e anche quello italiano, per trovare un robusto impegno negli anni a favore della “Palestina”, senza alcun accenno alle vittime del terrorismo. E fra i funzionari che hanno stretto la mano ai terroristi e firmato i suoi documenti, c’è chi ha individuato un personaggio di origine siriana, autore di numerosi post in rete contro Israele, il cui nome sembra sia Ahmad al-Sarraf.

Fatto sta che la Croce Rossa si era comportata sostanzialmente nella stessa maniera anche durante la prima tregua di un anno fa, quando le consegne dei rapiti da liberare erano state più tumultuose e meno coreografate, ma avevano lo stesso senso di mettere in scena la potenza di Hamas. E quando Israele aveva ottenuto di poter far consegnare proprio alla Croce Rossa un po’ di medicine essenziali ai rapiti, l’organizzazione non aveva potuto o voluto consegnare questi salvavita a persone spesso anziane, ferite, denutrite, malate. Né mai in  un anno e mezzo di guerra ha fatto loro visita, pur pretendendo di accedere alle prigioni israeliane, che del resto sono sotto la sorveglianza di giudici e polizia indipendente, tanto che qualche soldato di guardia che ha maltrattato i prigionieri è stato indagato e rinviato a giudizio.

Per capire l’atteggiamento della Croce Rossa però bisogna andare più  indietro, ricordare quel che è accaduto durante la Shoà. Delegazioni della Croce Rossa Internazionale furono ammesse in diverse occasioni a visitare i lager di Teresienstadt, Dachau, Buchenwald, Ravensbrück (non Auschwitz dove non furono ammessi e non insistettero per andare). In queste visite non vi trovarono niente di irregolare: secondo i loro rapporti i deportati erano in salute, il cibo sufficiente, il trattamento normale. Si può certamente pensare a un pregiudizio antisemita. O a forme patologiche di cecità selettiva. Ma anche a stare al risultato di un’inchiesta compiuta dall’organizzazione stessa, nel 1948, il presidente del Comitato internazionale della Croce Rossa, Max Huber, ammise che l’organizzazione “non era riuscita a comprendere appieno” l’entità della Shoà mentre essa si svolgeva. Così oggi, quasi ottant’anni dopo, la Croce Rossa non riesce a comprendere appieno il senso di quel che fanno i nuovi nazisti di Hamas, e non rifiuta di collaborare con loro.