La nostra forza sta nella nostra unità: come sostenere Israele in tempi di guerra

Israele

di Sofia Tranchina

 

Con la guerra che imperversa da tre mesi, e che minaccia di dilungarsi e di allargarsi al fronte Nord, Israele si è trovata ad affrontare un improvviso e radicale cambiamento interno.

 

Con oltre 200mila sfollati da 105 comunità vicine ai confini con la Striscia di Gaza e con il Libano, e altri 23mila sfollati dalla città settentrionale di Kiryat Shmona, lo Stato ebraico si trova a dover far posto alle famiglie sradicate dalla propria routine, dalla propria casa e dal proprio lavoro, costrette a vivere in alberghi sovraffollati ora travolti dal caos.

 

Le evacuazioni non sono l’unico movimento interno a sconvolgere il Paese in guerra, costretto a mobilitare migliaia di riservisti, distogliendoli dal proprio lavoro e causando uno stallo economico che pesa sulle famiglie dei soldati e inficia lo sviluppo di diversi settori.

Con un apporto di reclute impegnate nella difesa nettamente superiore a quello usuale, si è verificata un’improvvisa carenza di fornimenti necessari a sostenere lo sforzo umano. Ciò è evidente nelle mense delle basi militari, in cui il cibo sfama a fatica i nuovi arrivati, e nei magazzini in cui mancano elmi, vesti antiproiettile, e attrezzatura tattica per tutti.

Inoltre, i componenti delle famiglie che rimangono a casa hanno bisogno di aiuti nelle mansioni quotidiane e nella cura dei bambini.

The ATeam

 

Infine, la repentina partenza in massa dei lavoratori stranieri, insieme allo sfollamento delle comunità di confine, ha trascinato nell’incuria le aziende agricole che sostengono il settore alimentare locale, trovatesi improvvisamente senza manodopera.

Buona parte del raccolto di quest’anno sta marcendo sugli alberi e il rischio è che i danni si protraggano nel tempo causando una carestia.

 

Per questo, migliaia di volontari sono arrivate da tutto il mondo, nonostante i rischi, con il solo desiderio di aiutare a superare l’instabilità e la crisi. Si sono create così numerose iniziative (autonome e statali) per raccogliere i volontari e smistarli.

 

«Dopo il 7 ottobre avevo bisogno di fare qualcosa», racconta Sharon Anvar, ebrea italiana di origini persiane. «Sono cresciuta in un paesino italiano senza ebrei, lontana dalla comunità e lontana da Israele. Ma quando  il programma di volontariato Onward di Birthright (Taglit) mi ha riportata lì, ho sentito di essere tornata a casa».

Birthright dà la possibilità a giovani ebrei di tutto il mondo di unirsi alle attività di smistamento di materie prime, di raccolta di prodotti agricoli, e di preparazione dei pasti per l’esercito.

«In Israele ritrovo le mie radici e, in un certo senso, ritrovo me stessa. Il 7 ottobre ho sentito che casa mia era in pericolo, come se fosse stato violato il mio posto sicuro, e ho sentito il bisogno di aiutare le persone che erano lì. L’esperienza di volontariato è stata fortissima sotto tanti punti di vista: ho vissuto Israele, parlando con le persone del posto, con i soldati ricoverati in ospedale, e con un ostaggio liberato (Mia Shem).

Nonostante sia un momento tragico per il Paese, stando lì si sente la sua vitalità, il suo desiderio di continuare ad essere. È un’energia che dà forza a tutti quelli che si fanno coinvolgere».

 

Per aiutare i soldati a sostenere il peso della guerra, cinque amici (Tzahi, Alex, Moran, Sefi and Eyal) – aiutati da 2mila volontari – si sono mobilitati per costruire e mantenere il complesso di ristoro di Gilat Junction (a metà strada tra Ber Sheeva e il confine con Gaza).

Si fanno chiamare The A Team (צוות לעניין) e ogni giorno ricevono tra i 25mila e i 30mila soldati: hanno fatto pavimentare la zona, installato docce calde e lavanderie funzionanti, e procurano alle truppe equipaggiamento da combattimento, abiti tattici, sacchi a pelo, libri, biancheria intima e vestiti nuovi.

«Forniamo ciò che manca, nutriamo e ci prendiamo cura del morale e dei bisogni delle truppe», raccontano i fondatori: lì, i soldati che rientrano da Gaza possono mangiare cibo fresco e nutriente, riposarsi, e ricevere trattamenti terapeutici, dalla fisioterapia ai bagni ghiacciati. «La nostra forza è nella nostra unità».

Grazie ai fondi ricevuti, gli aiuti che riescono a procurare sono sempre maggiori, «ma ogni donazione è preziosa», spiega Michal Kollinger.

«Venire qui è come tornare a casa. Dopo giorni sul campo, questo posto mi dà energia. Non sapete quanto questo aiuti: sentiamo l’abbraccio commovente della nazione che ci supporta», racconta la soldatessa N.Z.

 

Tra le iniziative che organizzano anche alloggio e spostamenti, Make A Soldier Smile permette di viaggiare attraverso Israele installando cucine “pop-up” in diverse basi militari, in cui preparare e servire pasti freschi. È un programma riconosciuto e approvato dallo Stato e opera sotto il comando dell’Unità di Volontariato dell’IDF. Offre esperienze da 1 a 6 giorni, con la possibilità di pernottare presso il centro di addestramento di una base militare vicino a Gerusalemme.

Thank Israeli Soldiers permette invece di organizzare feste di compleanno o matrimoni in basi militari, offrendo pasti festivi per risollevare il morale delle truppe.

Sempre in ambito militare, l’IDF mette a disposizione il programma Sar-El, con cui dare un contributo alla sicurezza dello Stato lavorando direttamente in caserma, fianco a fianco con i soldati, in ruoli di supporto logistico e civile non legati al combattimento (imballaggio di forniture mediche, riparazione di macchinari, controllo delle attrezzature, e manutenzione della base).

Il programma può durare da 1 a 3 settimane, pernottando in caserma dalla domenica al giovedì, mentre i fine settimana vengono trascorsi fuori dalla base.

 

Chi cerca maggiore flessibilità di giorni e orari può contribuire alle iniziative che non richiedono continuità: Osim Sameach porta i volontari a visitare i feriti (civili o militari) negli ospedali, con dolci e bevande; One Family permette di aiutare le vittime del terrorismo, con donazioni e aiuti diretti, e raccoglie volontari che visitino i feriti, aiutino nel trasporto o che propongano workshop; Ohr Meir & Bracha cerca mentori per i figli di vittime del terrorismo: «serve qualcuno che li porti a fare una gita, li aiuti con i compiti o semplicemente “ci sia” per loro».

 

Per sostenere le famiglie evacuate, attualmente costrette a soggiornare in alberghi lontani dalle proprie case distrutte dal terrorismo e dalla propria routine, si può anche contattare uno dei referenti elencati qui; per offrire attività ricreative interattive, quali gruppi di discussione, serate di poesia, o lezioni di yoga, è disponibile questo form.

 

Per i volontari interessati al settore agricolo, Leket Israel organizza il raccolto nei campi di Rishon Lezion, e lo smistamento e il confezionamento degli alimenti nel loro centro logistico di Gan Haim, per la distribuzione ai partner no-profit.

Altre aziende, kibbutzim e moshavim bisognosi di aiuti sono elencati qui.

 

Il Jewish National Fund USA organizza tutti i mercoledì, per 70€, il trasporto da e per Gerusalemme e un pranzo kasher, dando la possibilità di aiutare nei campi per una giornata, di collaborare con HaShomer HaChadash nelle fattorie, e di trascorrere del tempo con gli sfollati.

Anche One Heart offre la possibilità di fare volontariato in zone rurali, oltre che di aiutare le famiglie dei soldati e le famiglie colpite dalla guerra nelle mansioni quotidiane.

 

Da sgomberare e pulire i miklatim (rifugi antiaerei), a consegnare cibo agli anziani bisognosi con l’organizzazione Adopt-A-Safta, oltre alle iniziative indipendenti del gruppo Facebook Swords of Iron, le opportunità per fare la differenza non mancano.

 

Foto in alto e nel reportage: Gilat Junction (© Sofia Tranchina per Mosaico – tutti i diritti riservati)